restituire i parchi ai giochi dei bambini



da eddyburg

Restituite i parchi ai giochi dei bambini
Data di pubblicazione: 24.09.2010

Autore: Augé, Marc

C’è chi ai bambini vuole dare il moschetto e chi lo spazio pubblico, magari con qualche boschetto. La Repubblica, 25 settembre 2010

Sono figlio della città e della guerra. Sono cresciuto a Parigi. Nel 1945 avevo dieci anni. Se provo a mettere in relazione il tema dei miei giochi d´infanzia e quello dei luoghi della città in cui sono cresciuto (in questo caso Parigi), posso supporre, senza grosse possibilità di essere smentito, che le due realtà siano cambiate moltissimo; la cosa più sorprendente sarebbe che i miei ricordi riuscissero a dire qualcosa a un bambino o a un preadolescente di oggi.

Iniziamo con qualche ricordo.

Durante la guerra lo stato maggiore tedesco aveva occupato, vicino al giardino di Luxembourg e al Senato, il "Lycée Montaigne", che normalmente era la mia scuola. Così, fino all´ottobre del ´44, quando il "Lycée Montaigne" tornò alla sua funzione originale, noi bambini eravamo stati smistati in diverse scuole primarie del quinto arrondissement. Avevo nove anni e a scuola ci andavo da solo a piedi partendo dalla rue Monge, risalendo la rue de la Montagne Sainte-Geneviève, discendendo la rue Soufflot e attraversando il giardino di Luxembourg.

I miei primi luoghi di gioco furono i cortili delle scuole e la strada, poi il giardino di Luxembourg. Il mio quartiere, da cui non mi sono mai allontanato se non per ritornarci, l´ho percorso in tutti i sensi, prima accompagnato dall´uno o l´altro dei miei genitori e poi da solo. È il luogo della mia infanzia al quale sono rimasto fedele. Viaggio molto, ma, a intervalli più o meno regolari, lo ritrovo e mi ci ritrovo.

I nostri giochi d´infanzia erano molto fisici e segnati dagli eventi dell´epoca. Le prime classi della scuola elementare erano miste e le bambine avevano i loro giochi, per esempio "la campana" (la marelle), ai quali di solito noi bambini non ci associavamo. Partecipavamo solamente quando cedevamo alla tentazione di mostrare la nostra forza, mettendoci quindi a saltare di casella in casella con un piede solo, cercando di raggiungere il cielo che coronava quella struttura tracciata frettolosamente per terra con il gesso. Di solito noi giocavamo alla guerra. Divaricavamo le braccia e volavamo per il cortile ruggendo come i motori degli aerei. Da buoni piccoli maschi fallocratici ci suddividevamo i ruoli: alcuni di noi attaccavano le bambine, gli altri le difendevano. L´arbitraggio arrivava spesso dal cielo, quando le sirene risuonavano. Era l´allarme, la guerra vera. Ci facevano scendere di corsa nei rifugi sotterranei, che in questa parte di Parigi erano un pezzo delle catacombe. Quando dopo l´allarme rientravamo a casa, cercavamo i frammenti dei proiettili tirati dalla DCA (la difesa contraerea). Erano delle calamite eccellenti ed erano facili da trasportare poiché si fissavano le une sulle altre, formando dei piccoli cumuli irregolari e compatti che laceravano le nostre tasche (...).

Oggi i giochi sono cambiati e c´è sicuramente molto da osservare e imparare a contatto con i bambini e gli adolescenti. La familiarità che la maggior parte di loro ha con gli strumenti elettronici modifica sia il loro rapporto con la solitudine, sia il modo di instaurare relazioni sociali. È vero anche, d´altro canto, che la geografia della città e dell´ambiente si trasforma. Tuttavia, non è detto che la necessità di aprire spazi pubblici per i bambini e gli adolescenti non resti ancora una necessità urgente. Un mio collega, David Lepoutre, ha scritto un libro molto interessante sull´etnologia della città, Coeur de banlieue, pubblicato nel 1997 da Odile Jacob. Lepoutre insegnava, all´inizio degli anni Novanta, nel quartiere della Courneuve e la Cité des Quatre Mille e aveva avuto modo di notare che i bambini, a volte molto piccoli e per la maggior parte figli di genitori immigrati, tendevano a formare delle bande, la cui prima occupazione era di appropriarsi del territorio, del loro ambiente, trasformandolo attraverso l´immaginazione: inventavano frontiere, luoghi straordinari e persino riti d´iniziazione. In queste bande di preadolescenti e adolescenti c´erano ragazzi di diverse età, ed era verso i sedici anni il periodo in cui avveniva la selezione tra chi abbandonava la banda e chi entrava invece nel mondo della delinquenza, sollecitato da traffici di tutti i generi.

Senza la pretesa di paragonare il giardino di Luxembourg degli anni ´50 e le banlieue degli anni ´90 o di oggi, vorrei suggerire l´idea che i temi del gioco, dello spazio e dell´infanzia hanno da molto tempo una portata sociale e politica fondamentale. Uno dei problemi delle banlieue è che gli spazi di cui i giovani cercano di appropriarsi non sono spazi pubblici, semplicemente perché gli spazi pubblici non esistono o comunque non esistono più oggi. L´immaginario corre liberamente senza un ambiente circostante che lo accolga e dunque senza una protezione simbolica. Il miracolo dei giardini pubblici è dovuto al fatto che sono un bene che permane. Le Tuileries o il Luxembourg non sono cambiati da quando Proust o Anatole France li frequentavano da bambini. Ma, dato il decentramento della capitale verso le periferie, questi giardini fungono da spazi pubblici solamente per una manciata insignificante di favoriti.

Uno degli obiettivi del Grand Paris, di cui si parla tanto oggi, dovrebbe essere la creazione, vicino agli edifici scolastici, di luoghi perenni, tra i quali i giardini pubblici restano ancora oggi il miglior esempio. Questi luoghi dovrebbero manifestarsi in modo spettacolare e simbolico come degli spazi pubblici, situarsi in prossimità di edifici pubblici, di teatri o di cinema, non limitarsi alla riduttiva funzione di luoghi di passaggio ma restare aperti, in quanto spazi ludici, alle iniziative dei giovani.

Alla fine tutto è politico. Va bene creare stadi, piscine, luoghi strutturati per la formazione di "corpi efficacemente disciplinati", ma è bene anche lasciare che si crei qualche luogo di libera espressione di sé e di confronto con gli altri in spazi che permettono tutto senza nulla imporre. Recentemente mi è capitato di vedere dei ragazzi molto giovani e di talento che si allenavano con lo skateboard la domenica vicino alla fontana di Trocadéro, sotto uno sguardo vagamente preoccupato ma allo stesso tempo ammirato dei passanti e dei turisti. Spero che potremo ancora per lungo tempo continuare a osservarli giocare e sfidarsi nel cuore di Parigi. È il loro modo per crescere ed educarsi.

Traduzione di Chiara Pavan

Il testo è parte dell´intervento che Marc Augé terrà a "Tocatì", il Festival Internazionale dei Giochi in Strada che si terrà da oggi al 26 settembre a Verona, organizzato dall´Associazione Giochi Antichi e dal comune. Il Paese ospite dell´ottava edizione è la Svizzera