come avviare nuove strade di sviluppo sociale ed economico che tengano conto dei limiti biofisici




 
da greenport.it
10/04/2009

 La macroeconomia come un sottosistema aperto di un ecosistema naturale non illimitato
 di Gianfranco Bologna
 
ROMA. In questi giorni è stato reso noto dalla commissione per lo Sviluppo Sostenibile del governo del Regno Unito il suo ultimo rapporto dal titolo “Prosperity without growth ? The transition to a sustainable economy” (vedasi il sito www.sd-commission.org.uk ) che affronta la problematica centrale per il nostro futuro e cioè come avviarsi concretamente su nuove strade di sviluppo sociale ed economico che tengano ben conto dei limiti biofisici che la terra presenta rispetto alla nostra crescita materiale e quantitativa. Il rapporto fa presente che l’attuale crisi finanziaria ed economica presenta una straordinaria occasione per intraprendere da subito un cambiamento di rotta, avviando una nuova economia sostenibile, basata sulla sua decarbonizzazione, con nuovi indicatori di benessere diversi da quelli economici classici, quali il prodotto interno lordo, e che rendano realmente conto della capacità di registrare la prosperità, la felicità ed il benessere di un popolo. Vengono poi definiti 12 fasi per entrare in una nuova dimensione economica.

Esiste ormai una notevole ed avanzata riflessione sulla costruzione di un nuovo modello economico che non è più appannaggio dei soli circoli culturali, accademici e scientifici o delle associazioni impegnate nei campi sociali ed ambientali, come è avvenuto nell’arco degli ultimi decenni, ed è una riflessione che coinvolge commissioni di tanti governi, grandi economisti, opinionisti, studiosi di fama, figure politiche di spicco ecc.
Le dichiarazioni e le prese di posizione sull’importanza di cambiare i nostri modelli economici di riferimento si susseguono. Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz ha recentemente ricordato il lavoro che lui stesso, insieme all’altro premio Nobel per l’economia Amartya Sen ed al noto economista Jean Paul Fitoussi, stanno facendo nell’apposita Commission on the measurement of economic performance and social progress da loro presieduta e voluta lo scorso anno dal presidente francese Nicholas Sarkozy (vedasi il sito www.stiglitz-sen-fitoussi.fr).

Negli ultimi tempi sono stati pubblicati gli atti di due importanti conferenze tenutesi recentemente su questi argomenti: una presso il Parlamento Europeo, dal titolo “Beyond Gdp. Measuring progress, true wealth and the well-being of nations” (cioè oltre il prodotto interno lordo, la ricchezza reale ed il benessere delle nazioni) organizzata dallo stesso Parlamento europeo, dalla Commissione europea, dal Club di Roma, dal Wwf e dall’Ocse a Bruxelles nel novembre 2007 (vedasi il sito www.beyond-gdp.ue da cui è possibile scaricare la pubblicazione degli atti della conferenza), e l’altra tenutasi a Parigi nell’aprile 2008 dal titolo “First international conference on economic de-growth for ecological sustainability and social equity”, (la prima conferenza internazionale sulla decrescita economica per la sostenibilità ecologica e l’equità sociale), organizzata al gruppo Research and degrowth, insieme ad altri importanti istituzioni come il Club di Roma e il Sustainable europe eesearch institute (Seri) (vedasi il sito www.degrowth.net dal quale è possibile scaricare la pubblicazione degli atti della conferenza).

La prossima conferenza biennale dell’International society for ecological economics , Isee, (vedasi il sito www.ecoeco.org) si terrà in agosto a Brema in Germania ed è dedicata proprio al tema “Advancing sustainability in a time of crisis”.
Mentre in tutto il mondo questa riflessione sulla nuova economia necessaria ad affrontare i cambiamenti epocali che abbiamo di fronte sono all’ordine del giorno, nel nostro paese questo dibattito è ben lungi dall’essere affrontato con autorevolezza e profondità. D’altronde da noi dobbiamo invece e purtroppo, assistere all’approvazione in Senato della mozione presentata da alcuni senatori del Partito della Libertà che inducono il Governo (che, ahinoi arriva a dare parere favorevole, sic !) ad impegnarsi in tutte le sedi per far presente che non esiste un cambiamento climatico indotto dall’intervento umano e che conseguentemente è insensato impegnarsi nella lotta al global warming.

Sarkozy ingaggia i premi Nobel Stiglitz e Sen per riflettere sui nuovi indicatori di benessere e da noi alcuni senatori di cui si ignora totalmente la competenza scientifica, ci illuminano sull’inesistenza del cambiamento climatico antropogenico. Obama ingaggia il premio Nobel per la Fisica Steven Chu, esperto, tra le altre cose, di energie rinnovabili, come ministro dell’energia per tracciare la strada concreta di una nuova politica energetica innovativa e capace di futuro e da noi la proposta governativa è quella di tornare all’energia nucleare. Scienza, cultura, innovazione e cambiamento sembrano appartenerci sempre di meno.

Le prime riflessioni e ricerche interessate a costruire un “ponte” tra le discipline ecologiche e quelle economiche risalgono agli anni Sessanta, grazie all’opera pionieristica di grandi economisti Nicholas Georgescu-Roegen, di Kenneth Boulding e di un allievo di Georgescu-Roegen, Herman Daly, oggi universalmente riconosciuto come uno dei fondatori dell’economia ecologica ed uno dei maggiori esperti di sviluppo sostenibile.

Molte di queste analisi si limitavano inizialmente a un semplice “aggiustamento” dell’economia neoclassica affinché tenesse in conto, in qualche forma, le risorse naturali. Il lavoro sui cosiddetti “costi esterni” – cioè su quanto la collettività si trova a pagare per non aver preso in considerazione il valore delle risorse naturali – e quindi il tentativo di “internalizzare” nei conti economici queste esternalità, è stato uno degli spunti di riflessione più interessanti in questo campo. Il corso di queste ricerche ha dato vita ad un filone di indagine ed analisi definito “economia ambientale”.

L’economia ecologica ha invece un approccio più critico rispetto all’economia tradizionale; si interroga sulla dimensione fondativa dell’economia neoclassica che, basata sull’imperativo della “crescita” continua, si scontra con due limiti fondamentali alla crescita stessa: quello biofisico e quello etico-sociale. Diventa indispensabile allora modificare l’impostazione del problema.

Scrive infatti Daly nel suo bel libro del 2001 “Oltre la crescita. L’economia dello sviluppo sostenibile” pubblicato dalle edizioni di Comunità : «Ciò che è necessario a questo punto non è un’analisi sempre più raffinata di una visione difettosa, ma una nuova visione. Questo non vuol dire che tutto ciò che è stato costruito sulla base della vecchia visione sia necessariamente da buttare via, ma quando si altera la visione preanalitica è probabile che ne conseguano cambiamenti anche fondamentali. Il mutamento di visione necessario consiste nel rappresentare la macroeconomia come un sottosistema aperto di un ecosistema naturale non illimitato (l’ambiente), anziché come un flusso circolare isolato di valore e scambio astratto, non vincolato da equilibri di massa, entropia ed esauribilità».
Questa è la strada che ora è necessario percorrere nel concreto.