cibi al veleno mozzarella e carne ecco i ganster della tavola



da repubblica.it
 
Alimenti contraffatti, vino sintetico, olio colorato
artificialmente. Viaggio nel business da un miliardo l'anno
Cibi al veleno, mozzarella e carne
ecco i gangster della tavola
dal nostro inviato PAOLO BERIZZI

CASERTA - Le mozzarelle galleggiano nella vasca di raffreddamento. Sbattono
una contro l'altra. Hanno cortecce nodose, imperfette. Il tempo di arrivare
a temperatura, di rassodarsi, e un nastro d'acciaio le destina alla
salamoia, ultima liturgia prima del confezionamento.

"Queste se ne vanno in America" fa il casaro senza staccare gli occhi dalle
sue creature. Sono mozzarelle di bufala taroccate. Piene di latte
boliviano. Latte in polvere rigenerato, corretto col siero innesto e
mischiato con quello locale casertano, che costa quattro volte tanto e per
questo sta attraversando un periodo di vacche magre. Il "boliviano" arriva
ogni settimana via Olanda ai porti di Napoli e Salerno. Con le loro
autocisterne i produttori campani si attaccano alle navi come fossero
mammelle. Fanno il pieno. Poi riempiono i serbatoi dei caseifici. Agro
aversano, litorale domizio, alto avellinese, salernitano.

Incrociano e imbastardiscono. E guadagnano. Le bufale bolicasertane il
casaro le piazza sul mercato a 6 euro al chilo anziché 9. Per produrle
spende una miseria. La materia prima per fare un chilo di mozzarella costa
circa 5 euro. Il latte di bufala 1,35 al kg. Con 1 kg di latte boliviano
(50 centesimi) di chili di mozzarella se ne fanno 5. Una "bufala" delle
bufale che ammazza il mercato. Una delle tante sofisticazioni che infettano
le terre da dove vengono i migliori e anche i peggiori prodotti agro
alimentari su piazza. Puglia, Campania, basso Lazio.

E' un mondo senza etica e con regole fisse (le loro) quello dei pirati
della tavola. Abbattere i costi. Creare un prodotto mediocre, a volte
immangiabile. Che però viene immesso normalmente sul mercato. Rischi
bassissimi, ottimi guadagni, possibilità di riciclare ingenti quantità di
denaro. "Il business più fiorente è il riciclaggio di prodotti scaduti -
dice il colonnello Ernesto Di Gregorio, comandante dei Nas di Napoli con
delega su tutto il Sud - . Poi, certo, i tarocchi: latticini, olio, vino,
concentrato di pomodoro, carne, pesce". Sconfezionano e riconfezionano gli
spacciatori di cibo. Appiccicano etichette posticce, "rinfrescano"
prosciutti e salami. Tengono in vita la carne con nitrati e solfiti. I
primi abbattono la flora batterica, i secondi mantengono il colore.

Così hamburger e salsicce possono resistere per giorni, senza dare
nell'occhio, al banco della vendita. "Tagliano" le mozzarelle, le
sbiancano, le gonfiano. Allungano e colorano l'olio, impestano il vino.
Sganciano bombe sul nostro sistema gastrointestinale e circolatorio.

Sono banditi della tavola. Professionisti della frode capaci di inserirsi
nella catena della piccola e della grande distribuzione, di puntellare con
quintali di merce truccata un mercato che rende qualcosa come 1 miliardo di
euro l'anno. Smerciano prodotti che invadono le nostre tavole, che
riempiono gli scaffali delle botteghe e dei supermercati, che ritroviamo
proposti nei menù dei ristoranti e in quelli meno ambiziosi delle mense e
delle tavole calde. Aziende, uffici pubblici, navi, caserme. "Vede, queste
invece vanno al Nord. Ormai su la bufala la trovi dappertutto, e la compri
anche bene". L'uomo ha un faccione ispido. I polpastrelli duri e ustionati
(mettete le mani nella pasta di latte a 90 gradi per vent'anni).

I modi smaliziati del sensale di un tempo. Apprezza il "don" anteposto al
nome. "'A bufala piace a tutti, ce la chiedono, e noi gliela mandiamo... ",
gongola. E' un produttore sofisticatore. Tarocca mozzarelle e ricotte. Le
produce mischiando latte bufalino locale e latte congelato e liofilizzato
proveniente dall'estero. Cagliate targate Romania, Ungheria, Polonia,
Estonia, Lituania. E, ultima novità, il "boliviano". "Almeno la metà dei
130 caseifici che hanno il marchio Dop sofisticano la mozzarella di
bufala", è l'allarme lanciato da Lino Martone, segretario del Siab, il
sindacato degli allevatori bufalini di Caserta. "Non è così, il prodotto
Dop, almeno quello, lo garantiamo", replica Luigi Chianese che del
consorzio Mozzarella di bufala campana è il presidente. "Con gli altri
prodotti forse qualche problemino c'è - ammette - ma dobbiamo ancora capire
bene dove sta".

Pare tutto perfetto, tutto normale in questo caseificio di Cancello e
Arnone. Alto casertano, 5 mila anime a cavallo delle due rive del Volturno.
Una densità casearia pari a quella camorristica. Trattori e Mercedes tirate
a lucido. Fa impressione vederle scivolare tra le campagne impregnate di
diossina (per questo, dice Guglielmo Donadello di Legambiente, "la
mozzarella campana oggi è uno dei prodotti più pericolosi d'Italia"). Al
volante, uomini in canotta e in età matura. Accade a Casal di Principe, a
Castel Volturno, a Grazzanise, a Marcianise. Sono i feudi del clan dei
casalesi, i potenti camorristi le cui fortune milionarie poggiano
soprattutto sul calcestruzzo. Ma non solo. Nascono come allevatori e
casificatori i casalesi, molti di loro continuano il mestiere (come
racconta un'indagine della Dda di Napoli). Le famiglie Schiavone, Zagaria,
Iovine: ognuna ha parenti che allevano bufale e vacche. Ognuna rifornisce
caseifici o ne possiede.

Come Claudio Schiavone, cugino del boss Francesco "Sandokan" Schiavone. Una
stradina defilata di Casal di Principe. Vendita di latticini al minuto.
Dicono le mozzarelle di bufala più buone della zona. "I più bravi nel
settore sono proprio loro, i casalesi", ragiona un esperto che è anche
conoscitore delle tecniche di adulterazione dei derivati del latte.

Ci sono caseifici che spuntano come funghi nella notte. Senza licenza
edilizia. Vi lavorano, in media, una decina di persone. Se il capo ordina,
bisogna obbedire. Truccare. "Il latte di bufala concentrato, unito al siero
dolce, ti dà una mozzarella gonfiata dieci volte superiore al normale" -
spiega ancora Martone che ha presentato una denuncia alla Procura della
Repubblica. C'è qualcosa che non va nell'area dop (250 mila bufale) da
Latina a Foggia passando da Caserta e Salerno.

"Molte aziende rifiutano il latte di bufala nostrano. Il prezzo alla stalla
è sceso di 20 centesimi al litro. Eppure la produzione di mozzarelle non
diminuisce, anzi. E allora: con che latte le fanno?". Con le cagliate
romene. Le congelano di inverno e le scongelano d'estate, quando la
richiesta di latticini aumenta del 30 per cento. Per sbiancarle (arrivano
in Italia scurite dal tempo e dal viaggio) usano la calce e la soda
caustica. La usano anche per correggere l'acidità della mozzarella. O per
"tirare" la ricotta, perché così si accelera il processo di separazione del
grasso dal siero e si favorisce l'affioramento del formaggio fresco. In
certi caseifici tengono scorte di sacchi di calce.

"Quando li becchiamo il casificatore si giustifica dicendo che serve per
pitturare una parete scrostata" - dice il colonnello Di Gregorio. Dal suo
ufficio all'ultimo piano di una torre del centro direzionale di Napoli, tra
la Procura e il carcere di Poggioreale, si domina un pezzo di città.
"Sequestriamo di tutto, anche l'inimmaginabile. La calce qui la mettono
pure sullo stoccafisso, per sbiancarlo e renderlo più morbido".
Ne combinavano di tutti i colori al mercato ittico di Porta Nolana, il più
antico di Napoli. I Nas l'hanno chiuso il 29 luglio. Sequestro di tutta
l'area. Rivolta dei venditori. Decine di cassonetti bruciati. Igiene
sanitaria da suk terzomondiale. Molluschi turchi e greci importati coi Tir,
moribondi, marci, rianimati con acqua di mare. Anguille cinesi vendute come
pescato locale.

Dal mare si risale verso i piccoli centri dell'entroterra campano. Per fare
una prova abbiamo bussato in una macelleria dalle parti di Baiano, ai
confini dell'Agro Nolano: "Ho della carne in scadenza, manzo, la
ritirate?". "Per questo mese siamo a posto, ma se ripassate tra una decina
di giorni ve la ritiro", ha risposto il figlio del titolare. Siamo in area
dot: denominazione origine tarocca. Mani esperte manipolano i cibi, li
ingentiliscono dopo averli acquistati già "avviati" dall'Est europeo.
Prendiamo la pummarola. "Le importazioni dalla Cina sono triplicate del 207
per cento, con un trend che porterà in Italia oltre 150 milioni di chili a
fine anno - spiega Vito Amendolara, direttore della Coldiretti campana - Il
concentrato di pomodoro che arriva a Napoli e Salerno viene rielaborato,
riconfezionato, etichettato e esportato come Dop".

Un flagello, da queste parti, la sofisticazione. I rapporti delle
operazioni dei Nas e dei Nac dei carabinieri disegnano una mappa che parte
dal Lazio, taglia la Campania e piega verso Puglia e Sicilia, lambendo
anche la Basilicata che si sta affacciando sul mercato della pirateria agro
alimentare. Cinquecento chili di capperi marocchini spacciati come "di
Pantelleria". Quintali di miele moldavo pieno di pesticidi. Centinaia di
fusti di sale industriale - estratto dalle saline nordafricane infestate
dai colibatteri fecali - smerciato come sale alimentare. Tutta roba
scoperta nell'hinterland napoletano, e destinata con marchio falsificato al
mercato nazionale e internazionale. Sulla torta del cibo truccato la
camorra ha messo le mani da tempo, assieme alle organizzazioni criminali
dell'Est europeo e cinesi. Un coinvolgimento organico di cui la Dia ha
preso atto. La stessa cosa avviene in Puglia. Qui il prodotto taroccato per
eccellenza è l'olio. La molitura delle olive e l'imbottigliamento
rappresentano, da soli, il 2 per cento del Pil regionale.

Peccato che gli ulivi siano diventati terra di conquista dei corsari.
L'extravergine d'oliva "corretto": è questo il loro fiore all'occhiello.
Importano olio di colza o di nocciolino dalla Spagna, dalla Turchia, dalla
Grecia, dalla Tunisia. Lo allungano col verdone per dargli il colore. Lo
profumano. "Almeno il 75 per cento del nostro olio non ha una chiara
origine certificata - dice Antonio De Concilio della Coldiretti pugliese -
. In pratica è ad alto rischio sofisticazione". Un litro di extravergine
vero costa 5 o 6 euro, farlocco 50 o 60 centesimi. Ma dove finisce? Chi lo
compra? Finisce nelle grandi catene dei discount. Nelle botteghe di paese.
Nelle mense pubbliche e private, nelle pizzerie.

Ne ordina grandi partite chi deve sfamare senza pretese tante persone. Come
il vino a 50 centesimi a bottiglia. Rita Macripò è il presidente delle
Cantine Lizzano, Taranto, dal 1957: 21 dipendenti, 600 soci consorziati.
"Come fanno? Acquistano uva da tavola, la correggono con acido tartarico e
coloranti. Quando i Nas o la Guardia di Finanza vanno nelle aziende - a
volte sono semplici cisterne e basta - nell'ufficio anziché i libri
contabili trovano le pistole". Sta girando una voce nel tarantino. Gli
investigatori la ritengono attendibile. Dei produttori locali avrebbero
ordinato partite enormi di tannino cinese di origine sintetica. Servirà a
"correggere", a produrre bottiglie da vendere a 40 centesimi.

"Certe catene se ne fregano che sia robaccia - dice Macripò - . La comprano
e basta. Faccio un esempio. A Taranto ci sono 40 mila marinai. Vuol dire un
quarto di vino a testa al giorno. Fanno 10 mila litri al giorno, cioè 100
quintali, cioè 365 quintali l'anno. Secondo lei la Marina Militare che vino
compra? Il nostro che costa 2,5 euro o quello che costa 40 centesimi?
Pretendono tutti prezzi sempre più bassi. Così i produttori onesti vengono
sbattuti fuori dal mercato".

A fianco del listino prezzi abbattuto, scoprendo i magheggi dei pirati
agroalimentari, ritornano alla mente i sacchi di calce. I caseifici a
scomparsa e le mozzarelle drogate. L'olio pitturato, il vino sintetico. Il
pesce in coma. Il menù dell'altra alimentazione.