il grande bluff della patente a punti



 da espresso.it
15 giugno 2007

Il bluff della patente a punti
di Marco Lillo

Sanzioni perse o registrate in ritardo. Metà dei comuni ignorano le norme. Risultato: la legge non fa più paura. E quattro italiani su cinque hanno persino ottenuto il premio di buona condotta
C'era una volta il cartello dei sindaci pacifisti che non volevano i reattori atomici nel giardino di casa e scrivevano alle porte del paese: 'Comune denuclearizzato'. Oggi va di moda il 'Comune depuntizzato', una zona franca dove la patente è sacra e inviolabile e i vigili non si azzardano a togliere un punto a nessuno. In 4340 comuni italiani su 8.157 i vigili non hanno mai comunicato al ministero dei Trasporti una sola decurtazione dei punti della patente. Anche i dati trasmessi dalla polizia o dai carabinieri arrivano con molti mesi di ritardo e spesso si perdono nei meandri della burocrazia.

La capitale di questa Italia che fa le multe, ma non segnala nulla alla struttura centrale, che rimpingua la cassa a suon di verbali e poi se ne infischia della prevenzione degli incidenti, è Vibo Valentia. Basta dare un'occhiata al cervellone del ministero per scoprire che in questa terra adagiata tra i monti della Sila e il mar Tirreno vige un patto tacito di non belligeranza tra l'autorità e gli automobilisti indisciplinati.

Se volete parlare al telefonino mentre bevete una birra procedendo a zig zag contromano o se sognate di sfrecciare sul lungomare senza casco mentre la moto si impenna al vento, questo è il posto che fa per voi. Dovrete solo metter mano al portafoglio per conciliare col vigile di turno, ma nessuno vi sfilerà le amate ruote da sotto il sedere. La polizia municipale di Vibo stacca verbali per 330 mila euro ogni anno (comunque pochi rispetto agli altri comuni), ma in compenso non ha mai sfiorato con un dito la patente di uno dei suoi 23 mila automobilisti su 34 mila abitanti, né quella di turisti e passanti che incrociano nelle sue strade.

A quattro anni dall'entrata in vigore della patente a punti, proprio da Vibo può partire il viaggio per capire perché l'unico provvedimento del governo Berlusconi circondato da unanimi apprezzamenti non funziona più. Lo spauracchio del ritiro della patente, che per tre anni è riuscito a convincere gli italiani a guidare più civilmente e ha indubbiamente salvato migliaia di vite umane, ha esaurito la sua spinta. Fino al 2005, incidenti e morti al volante sono diminuiti costantemente. Nel primo anno si era registrato un crollo del 18 per cento e l'Italia si era illusa di centrare l'obiettivo europeo della riduzione del 50 per cento delle vittime entro il 2010. Poi lentamente l'effetto annuncio è svanito: nel 2005 i decessi sono diminuiti solo del 5,6 per cento e nel 2006 i primi dati ufficiosi indicano un calo infinitesimale dello 0,3 per cento. Stiamo tornando a essere la Cenerentola della sicurezza stradale con l'aggravante del sorpasso dei cugini transalpini.

In Francia dal 2003 i morti sono diminuiti del 42 per cento grazie a 19 milioni e mezzo di controlli annui. "Noi invece abbiamo scelto la politica dello spaventapasseri", spiega Giordano Biserni dell'Asaps, l'associazione degli amici della polizia stradale che da anni si occupa del tema della sicurezza: "Purtroppo dopo quattro anni tutti hanno capito che la patente a punti è spuntata e non fa male a nessuno". Gli italiani hanno ripreso a correre, spesso in stato di ebbrezza. L'alcol è la prima causa di mortalità: la Francia ha fatto 11 milioni di test con l'etilometro nel 2006, in Italia non si raggiungono i 300 mila. Se poi il guidatore viene sorpreso alticcio, capita spesso che nessuno si premuri di comunicarlo alla motorizzazione.

Non bisogna stupirsi allora se solo un automobilista su 700 nell'arco di quattro anni a partire dall'entrata in vigore della legge ha dovuto rifare l'esame a seguito dell'azzeramento dei punti. Per l'esattezza, sono 50 mila e 183 i patentati che hanno dovuto lasciare l'auto in garage, su un totale di 35,3 milioni. Una miseria. A leggere i dati del cervellone del ministero i nostri connazionali sembrano più corretti degli svizzeri: 28,5 milioni vantano una fedina automobilistica immacolata; 22 punti all'attivo, il massimo. Solo sette milioni (uno su cinque) hanno subito una decurtazione e ben 127 mila e 861 sono riusciti a recuperarla frequentando i corsi 'di riparazione' delle scuole guida, che non prevedono nessun esame.
Tutto il sistema della patente a punti in versione italiana è intriso di clemenza verso il trasgressore e volge al perdono: chi non commette infrazioni gravi per due anni, torna a quota 20, anche se gli era rimasto un solo punto all'attivo. L'effetto perverso di questa automatismo è quello di privilegiare il guidatore criminale. "In caso di processo penale, i punti non vengono tagliati fino alla sentenza", spiega sempre Giordano Biserni dell'Asaps, "e quando il processo si conclude con la condanna, se sono passati due anni senza infrazioni, non possono essere più tolti".

Nemmeno quando ci scappa il morto la patente viene ritirata per sempre. Gianmarco Cesari, legale dell'Associazione familiari e vittime della strada, spiega: "Al massimo si rifà l'esame e si torna alla guida. Pure un alcolista cronico o un tossicodipendente trova la maniera di superare l'esame. E anche nei casi di pesante condanna da parte dei giudici nessuno finisce in galera. Solo un omicida ha parzialmente scontato in carcere la sentenza inflitta per aver ucciso una persona con colpa evidente. Tutti i magistrati applicano la pena minima inferiore ai due anni con la sospensione condizionale. Sempre. Ma così la patente diventa una pistola puntata alla tempia dei cittadini".

Ai difetti congeniti del sistema bisogna poi aggiungere i vizi della sua attuazione pratica. Se quattro italiani su cinque si sentono rispondere: "22 punti" quando interrogano la voce registrata del numero verde del ministero non è solo merito loro, ma è anche demerito della pubblica amministrazione. La polizia municipale, presa da mille impegni, spesso considera l'immissione dei dati nel terminale e la trasmissione al ministero una noiosa pratica burocratica. Con l'incasso della multa il vero obiettivo strategico delle amministrazioni comunali è raggiunto. Sì, ci sarebbe quell'obbligo di comunicare entro 30 giorni la decurtazione dei punti al ministero, ma non ci sono sanzioni e allora tutti se la prendono comoda. Quando va bene i dati arrivano al Ced, il centro elettronico del ministero dei Trasporti, con grande ritardo. Dalla data del verbale può passare un anno, anche se la media ufficiale è di sei mesi. Già così l'effetto deterrente si depotenzia. Molte volte però i dati non arrivano mai.

Ben 4340 comuni italiani su 8.157 non hanno mai comunicato un solo punto al ministero a partire dalla data di entrata in vigore della legge. Se si scorre la tabella dei comuni si scopre una situazione a macchia di leopardo con la solita concentrazione di buchi nella rete di controllo meridionale. In tutta la provincia di Vibo Valentia, per esempio, la patente a punti è un illustre sconosciuta per 45 comuni su 50. "Non dovete sorprendervi", spiega il sindaco del capoluogo, Franco Sammarco, "proprio in questi giorni abbiamo fatto un convegno con il prefetto di Reggio Calabria, Luigi De Sena, sulla debolezza della polizia municipale in tutti i comuni della nostra provincia. A Vibo, per esempio, i vigili lavorano con un organico dimezzato e comunque hanno fatto verbali per 900 punti dal 2005 a oggi". E allora, perché non risultano al ministero? "Non siamo riusciti a trasmetterli", spiega il sindaco, "perché la polizia municipale ha cambiato sede e non ha ancora attivato il collegamento. Li abbiamo inviati per posta, ma ce li hanno rispediti al mittente".

Vibo non è un caso isolato. Anche in Abruzzo, a Capistrello, 5.700 abitanti, il responsabile dei vigili ignora il collegamento con il ministero. A Trasacco, 6.200 abitanti, il comandante Concetta Colangelo parte con i verbali sotto braccio alla volta dell'Aquila, una volta ogni 4 mesi perché il suo comune non è in linea con Roma. Il municipio di Luco dei Marsi, 6 mila anime, è scomparso dal terminale centrale nel 2005. Missing. Il capo dei vigili, Ferdinando Grisante, svela il mistero: "Dopo molti sforzi ero riuscito ad attivare una linea Isdn, ho chiesto la password alla motorizzazione e mi sono pure collegato, ma non sono riuscito a trasmettere perché non ho trovato un software adatto. Per un po' ho inviato per posta le fotocopie, ma poi la motorizzazione le ha rifiutate". Risultato? Grisante ha accumulato una cinquantina di fascicoli sulla scrivania.
In altri casi dietro il mancato invio dei verbali alla motorizzazione s'intravede una scelta di understatement politico. La decurtazione dei punti talvolta viene avvertita come un accanimento ingiusto verso il concittadino multato. Le isole sono emblematiche da questo punto di vista. Favignana fino al maggio del 2006 era l'oasi degli automobilisti indisciplinati. Tutti i verbali che comportavano la decurtazione dei punti rimanevano accatastati sul tavolo e non spiccavano il volo verso Roma. Poi è arrivato un vicecomandante un po' pignolo da Palermo che ha informatizzato l'ufficio verbali. In meno di un anno sono spariti 800 punti dalle patenti dei turisti e degli isolani. Risultato? L'agente scelto è stato spedito a Marettimo a fare le multe ai muli. Anche nell'isola di Ischia il comune principale, Forio, non ha mai inviato una sola comunicazione al ministero. Gli altri comuni dell'isola, come Barano, non brillano certo per numero di verbali trasmessi, ma almeno ogni tanto battono un colpo e gettano qualche punticino in pasto al cervellone romano. Forio niente. Mai un punto tolto a nessuno.

Il sindaco, Franco Regine, spiega così il fenomeno: "Il comandante dei vigili mi ha detto che sono stati fatti numerosi verbali con la decurtazione dei punti. Non sono stati ancora inviati al ministero perché siamo in attesa della definizione dei ricorsi". Ma la legge è in vigore da 4 anni. Sindaco, quanto durano i ricorsi? "Ho avviato una piccola inchiesta per capire cosa è accaduto". Le carenze tecnologiche dei comuni talvolta tarpano le ali ai vigili più agguerriti. Come i carabinieri della barzelletta evitano la parola 'guard rail' sui verbali, così i vigili evitano come la peste le super multe in zona punti. A Grezzago, un piccolo comune alle porte di Milano, per un lungo periodo le comunicazioni dei tagli sono state trasmesse dal computer della più attrezzata cittadina di Trezzo. Il gemellaggio però si è rotto e, in attesa di chiudere una nuova santa alleanza con Baranzate, i vigili sono diventati più buoni. Bisogna provocarli con un inversione a 'U' sotto il naso per costringerli a fischiare un 'multone taglia-punti'. Stessa musica a Giarre, in Sicilia. Questo paesone che al primo solleone si gonfia di messinesi e catanesi fino a diventare una piccola Rimini, questa estate accoglierà i turisti con intenti bellicosi. Fino a qualche mese i verbali venivano imbustati e incollati a mano, uno per uno e i vigili erano poco incentivati a colpire duro. Il comune però sta acquistando un nuovo software e si prevedono scintille.

Sulla debolezza tecnologica e organizzativa delle amministrazioni locali sta fiorendo un business milionario sul quale prosperano alcune software house come la Open di Mirano (850 comuni) e la Maggioli di Sant'Arcangelo di Romagna, mille dipendenti per 100 milioni di fatturato, che ha venduto il suo programma per gestire le contravvenzioni a 1.600 comuni. Trecento municipi invece sono andati oltre: non hanno comprato da Maggioli solo il software, ma l'intero servizio. I vigili trasmettono i dati su auto e conducenti alla società che provvede a svolgere gran parte della procedura, compresa la stampa dei verbali, con tutti i rischi connessi per la privacy dell'automobilista. Le spese, dieci euro a verbale, comprese di spedizione, sono addebitate al trasgressore.

Per avere un'idea del giro di affari, solo per due comuni dell'area di Malpensa (Lonate e Frenzo) la Maggioli ha incassato mezzo milione di euro nel periodo 2002-2005. Anche la Polizia stradale si serve dell'assistenza di una società privata, la Emmedata di Benevento, per trasmettere i punti decurtati. E anche il cervellone del ministero è gestito da un gruppo di società private guidate dalla multinazionale EDS. La patente a punti è anche questo: un gran giro di milioni di euro che finiscono ai privati. Un carrozzone che però gira a vuoto e non offre nessuna garanzia di ottenere il risultato se l'ente pubblico non fa la sua parte. I comuni di Forio d'Ischia e di Vibo Valentia avevano acquistato entrambi il software della Maggioli. Il comune calabrese aveva speso 8 mila euro per comprare anche il pacchetto necessario per trasmettere i punti alla motorizzazione. Peccato che nessuno avesse pensato al collegamento telefonico.

Al bazar dei recuperi

Il mercato dei punti si è trasformato subito in un bazar, dove le scorciatoie si sono rapidamente trasformate in strada maestra.Un business tanto diffuso e levantino da avere provocato anche l'ira del ministro Alessandro Bianchi. Nel mirino del responsabile dei Trasporti l'aspetto più macroscopico: quello delle persone in Italia e all'estero che, dietro compenso, si fanno carico delle decurtazioni inflitte ad altri.

La vicenda è esplosa sei mesi fa con un'inchiesta di 'Quattroruote' che ha individuato sul Web una fiorente compravendita di penalità. I prezzi sono in genere abbastanza alti, oltre 50 euro a punto. C'è poi la questione dei recuperi legali, affidati soprattutto alle auto-scuole che permettono di riportare il totale a quota 20. Costano non meno di duecento euro: poche lezioni e passa la paura. Quante persone frequentano realmente i seminari? Spesso la presenza è solo virtuale e così le agenzie meno serie trasformano il recupero in un ennesimo balzello. Con il risultato di privare la legge di qualunque effetto deterrente contro i guidatori indisciplinati.

Nel settore poi si è aperto un mercato parallelo, con i seminari dell'Aci e quelli di alcuni enti pubblici. Ci sono poi polizze assicurative che prevedono anche risarcimenti per i corsi recupero punti, 500 euro, o addirittura ripetere l'esame se si finisce a zero, mille euro. L'ultima novità sono quelli gestiti direttamente dai vigili urbani, soprattutto nei comuni del Centro-nord: costo 150 euro e professori sicuramente esperti, perché sono loro a togliere i punti.

In pratica dal produttore al consumatore. In tutto gli esami di riparazione sarebbero stati poco meno di 100 mila, spesso a vantaggio anche dei recidivi. L'Europa unita sta aprendo anche un'altra rotta truffaldina, ad uso soprattutto di chi lavora guidando: fingere lo smarrimento della patente all'estero e chiederne la sostituzione in quel paese. Una procedura che richiede entrature in loco e anche un costo rilevante: è la soluzione estrema per chi ormai è considerato un pericolo pubblico. 

Tir con licenza di uccidere
di Paolo Tessadri

Ha causato la morte di dieci persone in più incidenti, gli è stata sospesa la patente nove volte ma è sempre riuscito a tornare al volante. L'ultima volta, vista l'impossibilità di ottenere subito il permesso, se l'è fatto rilasciare con un trucco dalla Repubblica Ceca. Poi ha ripetuto lo stesso copione: due settimane si è ubriacato e schiantato alla prima curva. La storia di Johann Eschgfäller, 51 anni, un padroncino di Santa Cristina in Val Gardena, incarna nel modo più tragico tutti i limiti della burocrazia italiana.

La catena di infrazioni e omicidi comincia il 2 agosto '94, quando Eschgfäller travolse con il suo camion una ciclista a Malnate in provincia di Varese. La donna morì sul colpo, ma dopo pochi mesi l'autista riuscì a riottenere la patente. Il 9 maggio 1995 alla guida del suo Tir centrò una corriera carica di pendolari e studenti sulla statale della Val Pusteria, tra Brunico e Bressanone. Eschgfäller stava parlando alla radio con un collega e riuscì a sterzare solo all'ultimo momento: il rimorchio squarciò il pullman.

Dalle lamiere vennero estratti sette corpi: tra le vittime anche due bambini, mentre altri due morirono qualche giorno più tardi in ospedale. Per quella strage i giudici lo condannarono a 20 mesi di reclusione e al ritiro della patente. Ovviamente non entrò in carcere. E beffa nella beffa, dopo qualche mese gli fu concesso di ripetere l'esame, perché la revoca non è mai definitiva.

Da allora ha collezionato sospensioni per guida in stato di ubriachezza: nel '99 per 30 giorni, nel 2000 per 60 giorni, nel 2002 per altri 60 giorni, due volte nel 2003, una da un mese nel 2004. Il 25 novembre dell'anno scorso finisce contro una pasticceria di Ortisei e assale i carabinieri: "Se avessi avuto una pistola vi avrei sparato". Patente stracciata? No, sospesa per 160 giorni. Ma lui con un trucco riesce a farsi dare un documento della Repubblica Ceca: a fine maggio viene sorpreso ancora una volta ubriaco sul camion. Il commento lo fa il procuratore capo di Bolzano, Cuno Tarfusser: "È uno scandalo, non ci sono altre parole".
Sei gay? Vai a piedi
di Piero Messina

A Catania c'è ancora qualcuno che i gay li chiama con disprezzo 'puppi'. Talvolta, proprio per far ricordare loro che sono diversi, questo disprezzo va dimostrato con fatti concreti: come, ad esempio, avviare la procedura per il ritiro della patente. Perché gli omosessuali, almeno così scrivevano i funzionari della motorizzazione etnea, "non sono in possesso dei requisiti psicofisici richiesti" per guidare.

È la storia accaduta a Danilo Melchiorre Giuffrida. A lui il documento di guida lo volevano ritirare proprio perché alla visita militare s'era dichiarato gay. Così era scritto a chiare lettere nella missiva che l'ospedale militare inviò agli uffici della motorizzazione catanese. Dopo aver superato il primo test ed essere stato dichiarato idoneo alla leva, Danilo venne riconvocato all'ospedale militare di Augusta. Quella visita divenne una sorta di b-movie all'italiana. "Venni visitato da una dottoressa del distretto che probabilmente aveva il compito di sedurmi così da studiare le mie reazioni e la tirarono un po' per le lunghe, fino a quando non mi venne chiesto, senza mezzi termini, di mostrare a tutti la tessera di adesione all'Arcigay", racconta Danilo.

Alla fine, senza alcun imbarazzo, il giovane dichiarò le sue tendenze. Venne stilata una diagnosi che parlava di disturbo dell'identità sessuale. Per essere certi che tutti capissero, i militari sottolinearono come la 'tara' contestata fosse proprio quella legata alla tendenza sessuale e non altre: "All'esame psichico non turbe del pensiero e della percezione, diagnosi disturbo dell'identità sessuale". Quel documento venne trasmesso alla motorizzazione civile di Catania, che si basò proprio sull'analisi formulata dal distretto militare per avviare una pratica di revisione.

In pratica, andava accertato se l'omosessuale Danilo fosse ancora idoneo alla guida. Sono passati sei anni, e la lunga battaglia giudiziaria ancora non si è ancora conclusa. Una sentenza del Tar di Catania ha accolto il ricorso del ragazzo, assistito dall'avvocato Giuseppe Lipera, cancellando così quella prassi discriminatoria e ribadendo che "l'omosessualità non rientra nella categoria di malattia psichica". Ma la partita di Danilo non si è esaurita e potrebbe costare caro alle casse dell'erario statale. Cinquecentomila euro: a tanto ammonta la richiesta di risarcimento danni presentata al Tribunale di Catania: la sentenza è prevista per il prossimo 4 luglio.