nuove forme di residenzialità



da il manifesto
06 Aprile 2006
TERRA TERRA
Le comuni del nuovo millennio
KARIMA ISD
MATTHIEU LIEATERT*

BO-90: questa sigla un po' misteriosa è il nome di una delle centinaia di «co-residenze elettive» (cohousing) diffuse in Danimarca. Un fenomeno interessante nato come reazione all'invivibilità urbana: si tratta di comunità residenziali con un buon numero di servizi condivisi. Il cohousing nasce in Scandinavia negli anni Sessanta e oggi è diffuso soprattutto in Danimarca, Svezia, Olanda, Gran Bretagna, Usa, Canada, Australia, Giappone. E il vento della comunità urbana soffia anche sull'Italia: i 3 primi contratti di cohousing italiani si firmano a Milano in questi giorni.
Fra le varie esperienze internazionali, l'unità pluriabitativa più grande è attualmente nei Paesi Bassi: centonovanta persone, 26 case condivise (stanze in comune per studiare, lavorare, dormire...) e 21 appartamenti, un ristorante, un negozio dell'usato, giardini e spazi per praticare degli sport, un pub aperto fino all'una di notte a cui possono accedere gli abitanti e i loro amici. Altre realtà in giro per il mondo hanno l'orto comune e altre strutture di autoproduzione - altri dettagli sul sito www.cohousing.it, ricco di indicazioni, immagini, ispirazioni, riferimenti internazionali.
BO-90 è un palazzo di 17 appartamenti nel centro di Copenhagen ed è gestito dalla cooperativa formata dagli abitanti. Ci vivono trentasei persone, ventidue adulti e quattordici bambini, da 10 a 70 anni. Da fuori sembra un edificio normale. Visto da dentro non lo è affatto. Margit, fondatrice e residente, spiega: «Negli anni Sessanta si occupavano senza permessi dei palazzi abbandonati di Copenhagen; negli anni Settanta molti optarono per il classico appartamento famigliare; negli anni Ottanta molti si sono resi conto che questo stile di vita è tutto sommato asociale e nient'affatto pratico. Ecco cosa ci ha ispirati nel realizzare BO-90». Che come gli altri cohousing combina due elementi: l'autonomia dei nuclei familiari, che hanno appartamenti individuali, con il beneficio del vivere in una comunità dove le persone interagiscono con i vicini.
La prima idea base del cohousing è che deve essere progettato insieme dai futuri residenti, fin dall'impostazione dei lavori di sistemazione. La seconda è che ogni nucleo (famiglia o single) ha il suo appartamento, di solito molto più piccolo della media nazionale. Tre ragioni spiegano il rifiuto del grande appartamento: costa di più, non è ecologico e alla fine non serve, dal momento che molte attività si svolgono nello spazio comune, condiviso. A BO 90 metri quadrati sono dedicati a cucina, sala da pranzo, lavanderia, giardino, spazio per la raccolta differenziata, magazzino, salotto, perfino un bar. Lo spazio comune e sopratutto la cena sono il cervello della casa perché lì si impara a conoscersi, a parlare dei progetti, e anche evitare che le tensioni si trasformino in problemi. I due vantaggi pratici della cena in comune sono poi il guadagno di tempo - l'incombenza tocca a turno ai diversi abitanti - e quello di denaro, grazie agli acquisti collettivi.
Se cenare insieme è il cervello del cohousing, la crescita dei bimbi è sicuramente il suo cuore, dice Margit: «E' molto importante costruire un quadro adeguato per i bambini, per aiutarli a sviluppare idee, creatività, identità, avere amici. A BO-90, questa organizzazione è molto informale ma è importante per noi genitori sapere che i nostri bambini possono andare dai vicini per esempio quando siamo ancora al lavoro dopo la scuola».
Per la maggior parte dei cohousing il lato ecologico della costruzione è importante quanto il lato sociale. Il danese BO-90, ad esempio, è stato all'avanguardia nella bioedilizia urbana. Il tetto solarizzato garantisce sia l'acqua calda che il riscaldamento; l'ecoprogetto è stato finanziato soprattutto con fondi privati, che i coresidenti rimborsano ogni anno con i soldi risparmiati dalle bollette. Poi, i bagni di BO-90 usano l'acqua piovana, e i rifiuti sono differenziati in 28 generi diversi.
(*) Ricercatore presso l'Istituto universitario europeo di Firenze