FW: decrescita






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Subject: decrescita
Date: Thu, 13 Apr 2006 11:24:05 +0200

testo di Angelo Barbieri CUB Scuola Enna
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Capita che anche in ambito libertario o antagonista le discussioni
sull’economia si concludano con una sorta di auspicio per l’avvento di una
fase neokeynesiana e il ripristino del Wefare state. Di fronte alla barberie
attuale è questa una posizione che si riconosce senza dubbio riformista, ma
che costituirebbe il segnale minimo e indispensabile di “civiltà” e
permetterebbe quelle condizioni da cui far  rampollare un nuovo ciclo di
lotte. Tuttavia, è proprio perché oggi si è raggiunto un picco di barbarie
che è necessario aprire orizzonti e analisi più vasti, più in profondità. La proposta neokeynesiana presta il fianco ad alcuni importanti equivoci. Primo
ritenere che in qualche misura l’economia sia neutra, nel senso che vi sono
delle leggi o comunque dei meccanismi che maneggiati in un modo o in un
altro diano dei risultati attesi. Secondo cadere in una sorta di
determinismo marxista per cui solo un capitalismo maturo può innescare
quelle contraddizioni e quella lotta di classe che porteranno al suo
superamento. Terzo, in assenza di forti lotte sociali non è immaginabile la
ripresa di un discorso keynesiano, allora tanto vale aspirare a qualcosa di
più del ritorno dello Stato sociale.

Centrale nella comprensione dell’attuale momento storico e delle lotte da
potere innescare ritengo sia la critica dell’economia e dello sviluppo. Su
questo punto sono utili le riflessioni di Serge Latouche che nel suo ultimo
“ Come sopravvivere allo sviluppo” conduce una lucida critica al concetto di sviluppo economico. Tradizionalmente la teoria economica ha sempre distinto
i termini crescita e sviluppo, indicando col primo un avanzamento dei soli
fattori economici e col secondo un più diffuso benessere sociale.
Recentemente coloro che criticano un’impostazione prettamente economicista
hanno provato a riprendere la parola  sviluppo legandola a qualificazioni
che dovrebbero sottrarla all’impronta negativa dell’economico tout court;
così sono nate le espressioni sviluppo sostenibile, sviluppo locale,
sviluppo umano, ecc. Se poi guardiamo all’attualità politica italiana e
siciliana in questa fase preelettorale, a destra come a sinistra, la parola
sviluppo senza alcuna aggiunta è la più gettonata. In realtà, come scrive
Latouche, : “ il contenuto implicito o esplicito dello sviluppo è la
crescita economica, l’accumulazione del capitale con tutti gli effetti
positivi e negativi che conosciamo:concorrenza senza pietà, crescita senza
limiti delle disuguaglianze, saccheggio sfrenato della natura. […] Lo
sviluppo realmente esistente può essere definito come un processo che porta
a mercificare i rapporti tra gli uomini e tra gli uomini e la natura. Lo
scopo è sfruttare, valorizzare, ricavare profitto dalle risorse umane e
naturali.”. Ora cos’altro significano le parole d’ordine di ricerca,
innovazione, competitività, tanto care alla sinistra moderata o alternativa
italiana per risollevare le sorti della nostra economia, se non perseguire
uno sviluppo come quello descritto da Latouche?  Si ha voglia ad insistere
che lo sviluppo deve essere sostenibile, cioè armonizzabile con la natura (
non con gli uomini!), resta comunque il fatto che lo sviluppo implica
crescita economica, proliferare di grandi gruppi economici il cui unico
scopo è ottenere profitto a qualsiasi costo, concorrenza e competizione tra
economie nazionali o regionali ( battere la Cina sul piano dell’innovazione,
migliorare la qualità delle arance siciliane per superare la concorrenza
delle arance spagnole e così via discorrendo).

Smontare “l’impostura sviluppista” conduce a pensare una società alternativa
che da molte parti viene indicata come una società della decrescita. Una
società della decrescita è innanzitutto una società che riduce drasticamente il livello di produzione materiale ( nocivo e non) e che punta al riuso e al
riciclo. Tuttavia non è semplicemente una società nella quale si produce
meno o addirittura austera, ma una società che privilegia relazioni sociali
e convivialità e che, come ancora Latouche precisa, “ non può essere un
impossibile ritorno al passato; inoltre, non può prendere la forma di un
modello unico. Il doposviluppo è necessariamente plurale. Si tratta della
ricerca dei modi di realizzazione collettiva nei quali non viene
privilegiato un benessere materiale distruttivo dell’ambiente e dei legami
sociali. L’obiettivo di una buona qualità della vita si declina in
molteplici forme a seconda dei contesti.”.

In ogni caso il dibattito sulla decrescita è avviato anche in Italia, il
movimento anarchico e libertario ha necessità di dire la sua. Per motivi di
spazio e in attesa di ulteriori approfondimenti e momenti di discussione
volevo qui indicare schematicamente alcuni punti, ciascuno dei quali
richiede analisi più dettagliate.

Primo, una società della decrescita è urgente non soltanto per l’emergenza
ecologica, ma anche per assicurare una giustizia sociale su scala veramente
globale.

Secondo, una società della decrescita è impensabile dentro la società del
capitale. “ Per concepire la società della decrescita serena e accedervi, è
necessario uscire, senza mezzi termini, dall’economia. Questo deve
chiaramente comportare una Aufhebung ( rinuncia, abolizione, superamento)
della proprietà privata dei mezzi di produzione e dell’accumulazione
illimitata del capitale”.

Terzo la decrescita di conseguenza non può essere intesa come una piccola
nicchia ecologista dentro gli attuali rapporti di mercato, appannaggio di
una élite consapevole senza progetto politico complessivo e nemmeno una
nuova versione concertativa nei rapporti tra Stato, padronato e sindacati.

Quarto, è necessario avviare da subito un’operazione di disinquinamento o,
per riprendere sempre Latouche, di “decolonizzazione dell’immaginario” per
mettere a nudo gli inganni dello sviluppo e immettere germi di doposviluppo.

Quinto, una società della decrescita attiene a quella coerenza mezzi-fini
che è fondamentale in un reale processo di cambiamento sociale e che da
sempre distingue il pensiero anarchico.

Sesto, è possibile e praticabile oggi un passaggio alla società della
decrescita? Nessuno ha, come si dice, la palla di vetro e i movimenti non
scaturiscono da un auspicio,ma lavorare nella direzione di una società della
decrescita forse è più semplice di quanto si creda. Ad esempio promuovere
reti di scambio tra produttori e consumatori locali che possano prefigurare
una parziale fuoriuscita dal sistema mercantile. E’ chiaro che questo
momento locale deve essere concepito come un percorso che si deve saldare
con rivendicazioni diciamo così più generali, quali possono essere per fare
qualche esempio la richiesta di una forte riduzione dell’orario di lavoro o
dell’iternalizzazione dei costi sociali da parte delle imprese. Insomma si
tratta di mettersi concretamente sulla strada della decrescita.


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