italia del greggio e dei consumi energetici



da e-gazette.it
martedi 20 dicembre 2005

Fotografia dell’Italia del greggio: ecco il documento dell’Up sui consumi
petroliferi (in calo!) ed energetici (in aumento)

Roma, 19 dicembre – Nell’anno che si va concludendo la domanda mondiale di
petrolio dovrebbe attestarsi intorno agli 83,4 milioni di barili al giorno,
con un progresso dell’1,4 per cento (pari a 1,2 milioni di barili al giorno
e in linea con la media di incremento degli ultimi vent’anni). Lo affermano
le analisi dell’Unione petrolifera, di cui qui di seguito pubblichiamo uno
stralcio.
L’offerta mondiale, nonostante i “problemi climatici” di fine estate,
dovrebbe toccare gli 84,3 milioni di barili al giorno (più 1,4 per cento),
eccedendo così la domanda di circa 1 milione di barili al giorno (negli
ultimi dieci anni il surplus è stato in media intorno ai 427mila barili al
giorno). A far data dal 1995, dunque nel giro di dieci anni, l’offerta nel
complesso è aumentata di 13,7 milioni di barili al giorno (pareggiando la
domanda dello stesso periodo), soprattutto grazie ai Paesi Opec che hanno
sopperito al costante calo della produzione dei principali Paesi non-Opec:
Stati Uniti e Regno Unito che insieme hanno subito una riduzione di 2,2
milioni di barili al giorno, più che compensata da quella di Canada,
Messico e segnatamente Russia con un progresso complessivo di 5,8 milioni
di barili al giorno. Il peso dei Paesi Opec sul totale è salito intorno al
40 per cento rispetto al 37,5 per cento del 2002, tornando così sui livelli
del 1995.
Il 2005 è stato altresì caratterizzato da un deciso rialzo delle quotazioni
petrolifere internazionali: il paniere dei greggi importati dai Paesi Ocse
è cresciuto di circa il 39 per cento, con un valore medio di 50,4 dollari
al barile, il più alto mai registrato in termini nominali ed il più alto in
termini reali dai primi anni ‘80. Va tuttavia rilevato che se nel 2000 con
un più 61,8 per cento rispetto al 1999 si registrò una crescita di circa 11
dollari al barile, oggi con un incremento percentuale inferiore di circa
una volta e mezzo (intorno al 39 per cento), il progresso in valore
assoluto ha quasi raggiunto i 14 dollari al barile superando anche il picco
nominale di incremento toccato tra il 1979 e il 1980, pari a 12,9 dollari
al barile.
Quanto alle quotazioni internazionali dei prodotti, la benzina si è
apprezzata di circa il 31 per cento passando da 0,244 a 0,319 euro al
litro, mentre il gasolio del 45 per cento, da 0,259 a 0,376 euro al litro.
Altro elemento di rilievo è stato l’allargarsi della forbice di prezzo tra
i due prodotti a favore del gasolio, che nel 2005 è risultato mediamente
più caro di 0,055-0,06 euro al litro, con un picco massimo di 0,131 euro al
litro registrato il 15 marzo. A dire il vero, già nel 2000 si manifestò un
fenomeno simile, poi rientrato, sul quale allora pesarono le nuove
specifiche qualitative. Oggi ad essere diversa è la domanda e dunque il
sorpasso del gasolio sulla benzina non è più limitato al solo periodo
invernale ma si è trasformato in un fenomeno strutturale.
A determinare questi andamenti, soprattutto nella seconda parte dell’anno,
è stata l’evoluzione del mercato statunitense, a causa del passaggio di
alcuni uragani durante il terzo trimestre, che hanno tolto dal mercato un
quarto della produzione americana di greggio e fermato diverse raffinerie
che ancora oggi non sono tornate a lavorare a pieno regime (a settembre il
taglio della capacità di raffinazione è stato pari a 1,45 milioni di barili
al giorno, salito in ottobre a 2,2 milioni mentre oggi si è scesi intorno
agli 800 mila). Ciò ha spinto il mercato Usa a drenare pesantemente le
risorse internazionali, facendo schizzare una tonnellata di benzina oltre i
739 dollari sui mercati europei, ma riuscendo a contenere le difficoltà
interne. I picchi massimi si sono avuti tra agosto e settembre, con un
barile di Brent datato che ha sfiorato i 67 dollari al barile, mentre il
Wti ha superato quota 70. Un ridimensionamento di qualche dollaro si è
potuto apprezzare in questa ultima parte d’anno. Tuttavia, la quotazione
media del Brent nei primi sei anni del secolo sale a 33 dollari al barile
contro un valore medio di circa 18 dollari calcolato per tutti gli anni ‘90
(più 87 per cento).
L’attuale scenario geopolitico desta dunque ancora molte preoccupazioni.
Alcuni commentatori hanno paragonato questa situazione a quella in cui si
trovò “Alice nel paese delle meraviglie”, cioè di un “mondo familiare e
surreale”. Ultimamente i prezzi a pronti (spot) hanno subito un
ridimensionamento per la pressione esercitata dai fondamentali, ma non i
prezzi a termine (futures), che continuano a mantenere un delta positivo,
confermando una situazione di contango (consegne a termine più care di
quelle a pronti) che si è protratta per tutto l’anno. Nel corso degli
ultimi tre anni la curva dei futures si è progressivamente spostata verso l’alto,
trascinandosi dietro anche quella spot e ciò significa che gli operatori di
borsa sono convinti che, nonostante tutto, il peggio debba ancora venire. E
quindi, come Alice, si stanno chiedendo se ciò che ci appare oggi sia
qualcosa di artificiale o se invece siamo stati effettivamente catapultati
in una nuova realtà.
Va tuttavia sottolineato come l’industria petrolifera nel suo complesso sia
riuscita a garantire, sempre e comunque, un costante flusso sia di greggi
che di prodotti, grazie all’impegno dei Paesi produttori che hanno spinto
al limite la propria capacità di produzione, tanto da azzerare quasi
completamente la cosiddetta “spare capacity”, e dell’industria della
raffinazione che ha portato al massimo lavorazioni sempre più sofisticate
per fare fronte alla richiesta di prodotti sempre più puliti, come del
resto mostra l’andamento del margine incrementale su un barile. Ciò tenuto
conto che i volumi aggiuntivi di greggio disponibili oggi sul mercato sono
perlopiù ad alto contenuto di zolfo e che non tutte le raffinerie sono in
grado di lavorare. I futuri equilibri dipenderanno dunque dalla capacità
dei Paesi produttori di fare fronte alla maggiore richiesta attesa, e delle
compagnie petrolifere di garantire un’adeguata disponibilità di prodotti
nelle aree di consumo che presentano i maggiori tassi di crescita. Le stime
del governo di Pechino, che rappresenta l’economia più vitale e
 “impattante”, per il prossimo anno indicano una tasso di crescita della
domanda del 6 per cento, con importazioni che arriveranno a coprire il 44
per cento dell’intero fabbisogno nazionale.
Diversi sono i progetti annunciati dai Paesi Opec, per complessivi più 1,3
milioni di barili al giorno di produzione aggiuntiva nel 2006 che entro il
2010 dovrebbero salire a circa 7. Quanto ai prodotti, ciò che serve è nuova
capacità di raffinazione che, qualora fosse realizzata, lo sarà
presumibilmente nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto Medio Oriente e
Cina, che assorbiranno circa la metà dei 487 miliardi di dollari di
investimenti che, secondo l’Aie, sarebbero necessari per i prossimi 25 anni
(19 miliardi all’anno). Nella sola Asia, per esempio, tra adeguamenti degli
impianti esistenti e nuove realizzazioni, al 2011 si stima una capacità di
raffinazione aggiuntiva di 5,3 milioni barili al giorno, l’equivalente di
30-40 nuove raffinerie di medie-grandi dimensioni. L’altra importante
conseguenza è che in prospettiva anche i flussi commerciali saranno
destinati a mutare con la diversa localizzazione delle infrastrutture di
lavorazione e di conseguenza anche i costi di trasporto: le esportazioni
europee di benzina verso gli Stati Uniti saranno via via sostituite da
quelle mediorientali, l’India rimarrà un esportatore netto di prodotti
destinati anche al mercato europeo dove si preannuncia un corto di gasolio
stimato in oltre un milione di barili al giorno già nel 2010.