internet il teeneger è maturo



dal manifesto agosto 2005

Internet, il «teenager» è maturo di Franco Carlini

A dieci anni dalla nascita, un miliardo di persone al mondo la usa ormai quotidianamente, per lavoro o per diletto. Da molti considerata mania tecnologica, la rete è invece fatto sociale, politico e culturale. Tre puntate estive di Chip&Salsa dedicata a un evento che ha cambiato la vita. L’egualitarismo che ha governato la rete fino ad oggi si avvia a profonde trasformazioni. Le grandi aziende si stanno attrezzando per modificare questa uguaglianza in nome delle regole del business: «E’ uno di quei casi in cui la tecnologia incorpora le regole sociali e di mercato»
Dieci anni dopo la sua esplosione cos’è l’internet e dove va? In tre puntate cercheremo di accumulare informazioni e idee, dopo di che ognuno si faccia la sua opinione, in pieno spirito di rete, ovvero di conoscenza abbondante, condivisa e plurale.
Intanto andrà riconosciuto che «l’internet c’è e per restare»: un miliardo circa di utilizzatori abituali, in giro per tutto il mondo, e 20 milioni circa in Italia. Per molti di loro l’uso prevalente e ormai quasi indispensabile è fatto di posta elettronica e di navigazione web. Lo fanno per lavoro, ma anche per mantenere relazioni amicali e discorsive, magari frivole. Le scimmie praticano il grooming, spulciamento sociale e amicale, noi la chiacchiera ed è gradevole. L’indirizzo di e-mail, con tanto di chiocciola, compare obbligatoriamente sui biglietti da visita, come e più del numero di telefono cellulare.
Anche il web, ovvero quella parte di internet fatta di siti multimediali e ipertestuali, lo si frequenta, dicono gli esperti, sia per lavoro che per diletto, ma sembra crollata la prassi di navigare a casaccio: ognuno ha i suoi luoghi preferiti e da lì parte e riparte, giorno dopo giorno. Questo almeno dicono le analisi di comportamento più recenti, come quelle condotte periodicamente dal migliore osservatorio disponibile, l’americano Pew Internet & American Life Project (www.pewinternet.org). I motori di ricerca, e Google al primo posto tra di loro, sono strumento essenziale di informazione, sempre a portata di mano. «Mai più senza Google» ci dice una dirigente Rai che, dovendo continuamente valutare progetti e proposte, si trova a portata di clic, in ogni momento, curricula, bibliografie, pubblicazioni passate. «Aspetta che faccio un Google» ci dice una collega giornalista.
Questo uso intenso è stato favorito negli anni più recenti dalla diffusione delle connessioni a banda larga, in casa come in ufficio, con tecnologia Adsl su doppino telefonico, oppure con la fibra ottica o il cavo coassiale. Ma a ben vedere, con il broadband quello che cambia è la qualità più che la quantità: non è tanto importante scaricare velocemente dei materiali, quanto il fatto che il computer è sempre acceso e connesso e che perciò ad esso si farà volentieri ricorso per ogni bisogno: che si tratti di controllare l’orario dei treni o di trovare l’anno di nascita di Rousseau (28 giugno 1712, come controllato al volo da chi scrive alla pagina http://en.wikipedia.org/wiki/Jean-Jacques_Rousseau).
Fin qua l’uso medio e diffuso della rete, che non riguarda solo i giovani e nemmeno soltanto le classi professionali o elevate. Specialmente nei paesi in via di sviluppo questa tecnologia, insieme a quella ancora più importante della telefonia senza fili, si rivelano una buona occasione di sviluppo, a costi contenuti. Le modalità saranno le più diverse, ma l’essere connessi al resto del mondo viene sentito come una importante emancipazione.
Tornano alla mente, con un sorriso, alcune frasi celebri pronunciate nei primi anni `90: «Non è progettata per il commercio e non accoglierà facilmente nuovi arrivi» (Times magazine, 1994). Oppure: «Internet? Bah!» (Newsweek, febbraio 1995).
Invece questa rete è radicata nella vita di tutti i giorni, di lavoro e di piacere, anche se, come forse è inevitabile, viene usata soprattutto per le sue prestazioni di base; dunque resta ancora poco nota e da molti viene pur sempre considerata stravaganza o mania tecnologica, quando invece è fatto sociale, politico e culturale.
Per meglio intenderlo è forse utile pensarla per 3 livelli e 5 proprietà. Eccoli: (1) l’infrastruttura tecnologica di trasporto dei dati; (2) un nuovo medium (forse); (3) un luogo sociale. Quanto alle proprietà esse sono le tre ben note: ipertestualità, multimedialità e interattività, cui sarà utile aggiungerne altre due, il «tempo reale» e l’assenza di limiti.

L’infrastruttura
Non è troppo importante conoscerne i dettagli, ma alcune cose tuttavia sono importanti, perché influenzano positivamente gli altri aspetti, culturali e sociali. La vera novità tecnica dell’internet sta in un’accoppiata di sigle: TCP/IP. Sono due protocolli, ovvero insiemi di regole, che dicono come i dati viaggiano da un computer all’altro. Tutto si basa su un’idea completamente nuova sul come trasportare i bit da un computer all’altro, rispetto a quanto avviene nelle reti telefoniche. In queste quando Alice chiama Bob le centrali variamente disseminate lungo il paese creano una connessione tra i loro due telefoni: è il lavoro di commutazione che un tempo svolgevano le centraliniste dei film, infilando uno spinotto in un pannello. Ora lo fanno le centrali telefoniche, in automatico, ma il risultato è sempre lo stesso: per il tempo che A e B si parlano, c’è un «filo», un circuito, stabilito tra loro due, attraverso cui corrono i segnali elettrici. Si chiama appunto commutazione di circuito.
Anche con l’internet si commuta, cioè si mettono in contatto due persone distanti, ma con un altro sistema, detto commutazione di pacchetto («packet switching»). Significa che il messaggio, per esempio questo articolo, prima di essere spedito viene spezzato in blocchi (pacchetti appunto) e che a ogni blocco si aggiungono altre informazioni supplementari: il mittente, il destinatario, di quanti pacchetti è fatto l’intero messaggio e il numero progressivo di questo singolo pacchetto. E’ come se un unico articolo venisse fatto a pezzi, ogni pezzo messo in una busta, e ogni busta spedita separatamente.
Si tratta evidentemente di un gran lavoro in più sia al momento di confezionare le buste, sia in ricezione, quando occorrerà aprirle una per una e ricomporre il testo originale. Dove sta allora il vantaggio?
Sta nel fatto che in questo modo una linea telefonica può essere utilizzata contemporaneamente da più conversazioni: dato che ogni pacchetto è chiuso in una busta separata, non c’è il rischio che si confondano. Nello stesso tempo i pacchetti non sono obbligati a seguire tutti la stessa strada per arrivare a destinazione; se un percorso in quel momento è particolarmente intasato di traffico, alcuni di loro verranno spediti per altre vie: magari per andare da Milano a Roma passeranno da Cagliari, ma arrivando prima. A gestire questo traffico non è un’unica centrale, ma i singoli computer instradatori (router) disseminati lungo il percorso; nessuno di loro ha una visione globale della rete, ma solo locale, ma anche così il risultato complessivo è quasi sempre buono.

Connessioni virtuali
Non tutti ne sono consapevoli, ma con la trasmissione a pacchetti, la connessione a un certo sito è solo apparente. Facciamo un esempio: sul mio programma di navigazione batto l’ìndirizzo web di questo giornale (www.ilmanifesto.it). Il mio computer, collegato alla rete , provvede allora a spedire al computer del manifesto una domanda del tipo «ciao, sono il computer numero tal dei tali, per favore manda al mio indirizzo la tua pagina di ingresso (home page)». Il Manifesto verifica la legittimità della domanda e mi spedisce quel file; sono circa 20mila caratteri, immagini escluse, cioè molto poco e perciò arrivano a destinazione in pochi secondi. Con questi bit il programma di navigazione del mio computer ridisegna sul mio monitor la home del Manifesto, ma nel frattempo la connessione non c’è più e le due macchine possono occuparsi d’altro; io posso leggere la home con tutta calma e il Manifesto può «servire» altri clienti (per questo tale modalità si chiama client-server). L’apparenza soggettiva è di essere nel Manifesto (dato che davanti ho la sua pagina), ma la sostanza è che l’ho solo scaricata una volta per tutte e che solo quando clicco su qualche collegamento ipertestuale (link) partirà un altro messaggio di richiesta dal mio Pc verso il Manifesto. E’ così che si naviga: mandando messaggi ogni tanto da un computer all’altro, e immediatamente liberando la rete per altre attività.

Una rete stupida
Qui emerge un’altra differenza tra l’internet e le precedenti reti fisse di comunicazione, come quelle telefoniche: queste ultime, dotate di un controllo centralizzato, garantiscano una qualità del servizio pressoché totale, mentre nell’internet ci si accontenta di ottenere il migliore risultato possibile nelle condizioni date. I tecnici chiamano questa filosofia «best effort» ed è una scelta di modestia: un sistema così decentrato non può infatti garantire prestazioni ottime in ogni istante, occorre saperlo e regolarsi di conseguenza, ricordando che grazie alla ridondanza dei circuiti disponibili alla fine i pacchetti arrivano quasi sempre a destinazione. E’ un compromesso tra i grandi investimenti che servirebbero per ottenere una qualità totale e i migliori risultati possibili con una spesa minore. E fino ad oggi ha funzionato piuttosto bene: la rete nel suo complesso non è dotata di particolare intelligenza, anzi, dicono con orgoglio i suoi progettisti, è una rete «stupida», nel senso che non effettua alcuna operazione sui bit che trasmette, non elabora un bel niente. Questo limite è anche la sua virtù. Un altro termine che i tecnici usano per descrivere tale comportamento è che si tratta di una rete «end to end»: da un capo all’altro riceve dei pacchetti e li recapita a destinazione, senza aggiungervi valore.

Fine dell’egualitarismo
Finora in rete tutti i bit sono uguali, trattati allo stesso modo, che si tratti di un messaggio di posta elettronica tra due fidanzatini come di un video televisivo con il discorso in diretta del presidente degli Stati Uniti. Non è una scelta ideologica, per amore di egualitarismo, ma una scelta funzionale, di risparmio, perché risulterebbe più costoso assegnare dei valori di precedenza gerarchica ai diversi pacchetti, esaminarli ad ogni snodo, frenare quelli meno importanti e far passare davanti quelli più urgenti. I protocolli non lo prevedono e i router non sono progettati per farlo. In questo caso una scelta di risparmio si è tradotta in un valore di parità tra i bit e tra le persone che li stanno scambiando.
Ma non è una scelta irreversibile, ché anzi le principali aziende che progettano e fabbricano i router stanno da tempo attrezzandosi per modificare tale eguaglianza, venendo così incontro alle esigenze di chi in rete vuol fare business, usandola come una televisione, anziché come un medium interattivo: se uno spettatore paga per ricevere in diretta (streaming) le immagini di un concerto degli invecchiatissimi U2, allora non è accettabile che suoni e immagini gli arrivino a balzelloni. Perciò, si sostiene, quei bit per i quali milioni di persone hanno pagato, devono avere la precedenza su tutti gli altri. I pacchetti devono avere l’etichetta «urgente», il francobollo deve costare di più e a ogni stazione di posta gli operatori devono leggere le etichette e discriminare tra un pacchetto e un altro. Sta succedendo e succederà sempre di più, purtroppo, ed è uno di quei casi in cui la tecnologia incorpora regole sociali e di mercato; lo fa in maniera invisibile, apparentemente neutra, ma invece è una scelta.

Dentro 600 miliardi di pagine / Internet, il «teenager» è maturo

Internet, il libro in moto La rete web è il più grande ipertesto mai concepito, immenso «medium» partecipato da chi ogni giorno naviga, scrive, registra. Con l’aiuto dei link, ponti sempre aperti

Seconda di tre puntate, per riprendere le fila di cosa è oggi la rete internet ed interrogarsi eventualmente su cosa sarà. La quale rete è ormai molto diffusa, e può essere descritta in 3 livelli e 5 proprietà: (1) l’infrastruttura tecnologica di trasporto dei dati - di cui si è detto nella prima puntata; (2) un nuovo medium - di cui in questa pagina (3) un luogo sociale - domenica prossima . Quanto alle proprietà esse sono le tre ben note: ipertestualità, multimedialità, interattività, cui sarà utile aggiungerne altre due, il «tempo reale» e l’assenza di limiti.

Dunque l’internet è un nuovo mezzo di comunicazione?

Intanto una distinzione si impone, perché è fatta di diverse cose, simili ma anche diverse. Per esempio la posta elettronica ha le sue modalità, spontaneamente evolute. Il suo linguaggio, così come quello di molti forum di discussione, è stato definito dagli studiosi come una forma di oralità scritta. Qui non ce ne occuperemo, peraltro. Il web, per parte sua, ha raggiunto una dimensione enorme: sono 8 miliardi le pagine attualmente schedate dal motore di ricerca più diffuso, Google. Ma rappresentano una frazione soltanto dell’intero web. Alcuni valutano che il totale sia di 600 miliardi e il fatto sconvolgente è che esse siano state prodotte in soli 12 anni, peraltro continuando a crescere.
La quantità è importante, ma che dire della qualità? Il web ha realizzato a scala mondo una struttura ipertestuale dove ogni pagina rimanda ad altre, di argomenti prossimi. Il concetto non è nuovo, ma è stata geniale, anche se in fondo semplice, la tecnica escogitata con cui trasformare alcune parole di un testo in «àncore», ovvero in agganci che trasportano verso altre pagine, attivando un legame, un link. Un po’ come con le note dei libri, ma senza la fatica di andare a fine volume e comunque potendo consultare i materiali citati senza doverseli cercare in biblioteca. A questo punto ogni sito è un ipertesto, ma nell’insieme tutti i siti formano una gigantesca struttura ipertestuale dello scibile umano.
Per un verso l’internet ha dunque prodotto un salutare ritorno della parola scritta, ma le pagine web ora contengono in abbondanza foto, disegni, suoni, parlato vocale, immagini in movimento, animazioni disegnate. Dunque sono molti media in uno: in realtà non c’è quasi mai vera fusione tra i diversi linguaggi; più spesso sono accostati, ma comunque è una novità importante.
E poi il web consente almeno un po’ di interattività, nel senso che il «lettore», chiamiamolo così, può non solo cliccare da un link all’altro - e già questa comunque è una fruizione meno passiva della televisione - ma può sovente dire la sua, magari depositando opinioni e commenti in coda agli articoli altrui. Altre modalità come i forum e i blogs sono comunque programmaticamente e tecnicamente più aperti agli apporti dal basso
Una caratteristica su cui di solito non si riflette sta nel fatto che la grande facilità di aggiornamento delle pagine consente loro di vivere in un flusso continuo, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. I migliori siti di notizie hanno questa caratteristica nuova: quelli della Cnn per esempio, o della Bbc, sono ormai decisamente migliori dei loro rulli di notizie televisive, perché si lasciano sfogliare e scegliere, a differenza dei notiziari tv.
Infine il costo insignificante dei dischi di memoria fa sì che mentre molto viene aggiornato in tempo reale, al tempo stesso tutto sia conservabile, potenzialmente in eterno. Se una copia di giornale di carta vive un giorno e poi la si troverà solo in archivio, le stesse notizie saranno presenti e a portata di mouse anche in futuro (gratis o a pagamento, ma disponibili).
Il tutto, andrà notato, accentua una fruizione in cui l’utente sceglie e «tira a sé» (Pull) i contenuti, anziché vederseli spingere addosso (Push) da un centro di diffusione. Certo anche il telecomando tv permette qualcosa del genere, ma dentro un’offerta comunque limitata; sul web invece si sceglie e «si tirano» anche i singoli contenuti di una pagina, il che comporta, dal punto di vista cognitivo una destrutturazione molto più spinta del «testo» originale. In questo processo di rottura del testo ci sono pregi e difetti: il bello della scelta e dell’itinerario di lettura personale e libero, ma anche il limite di una perdita di controllo e di un disorientamento, tra un salto e l’altro. Può mancare insomma il filo del discorso: ognuno se lo deve costruire e non sempre è agevole.

Una piattaforma che diventa sempre più ricca
Democrazia web Con le tecnologie digitali le barriere all'ingresso nella sfera pubblica sono cadute quasi totalmente 

Un po' per caso, un po' per lungimiranza di alcuni dei suoi la rete internet è divenuta ben più vasta e importanti di quanto i suoi stessi «architetti» prevedessero. Dunque oggi, anno 2005, abbiamo a disposizione una robusta infrastruttura di trasporto dei dati che malgrado la crescita impetuosa (che tuttora continua) e malgrado i virus, gli attacchi criminali e le barriere frapposte dagli stati autoritari, regge ottimamente e soprattutto rappresenta un bene comune dell'umanità, una tecnologia abilitante a disposizione di tutti. Su questa piattaforma si è sviluppato un deposito di conoscenze amplissimo: confuso, caotico, spesso non scientifico e persino inaffidabile, ma ricco. Su queste basi si è fatta strada anche un'economia robusta: dopo le illusioni esagerate della New Economy, molto business è rimasto, sia come attività solo di rete, sia come miscela tra fisico e virtuale, dall'acquisto di prodotti, alle attività di intermediazione (affitti, viaggi, transazioni bancarie) o comunque di supporto alle attività industriali e di servizio. Questo fenomeno non è ancora così sviluppato come potrebbe, i siti di molte aziende sono spesso poco più che vetrine e spesso sono fatti malissimo, ma la cosa c'è e non si torna indietro. Soprattutto non cessa, ed è questo che qui ci interessa, l'uso della rete non solo come strumento, ma come luogo delle relazioni tra le persone: «uno a uno» nella posta elettronica, ma «da molti a molti» nelle comunità online.
Se The Well (www.well.com) la leggendaria comunità online di San Francisco dei primi anni `90 poteva apparire una cosa stravagante ed elitaria, oggi questo aggregarsi di conversazioni e di persone è la norma, che si tratti di compagni di scuola, di militanti per la difesa delle foreste o di appassionati di cortometraggi.
Per un aspetto quello che è successo è simile, ma moltiplicato per mille, all'invenzione della macchina da stampa la quale permise non solo la riproduzione standardizzata e in molte copie dei testi che già c'erano (la Bibbia stampata da Gutenberg, appunto), ma offrì l'occasione per crearne moltissimi di nuovi: studi, pamphlet e libelli, strumenti poderosi della discesa di nuovi protagonisti nella sfera civile e politica.
Con le tecnologie digitali le barriere all'ingresso nella sfera pubblica sono cadute quasi totalmente: servono miliardi di euro per fare una televisione, milioni per fare una radio, ma ne bastano poche centinaia (il costo di un personal computer) per fare un giornale, una web-televisione, una radio internet. Milioni di persone lo fanno per diletto, passione o business e questo non resta senza conseguenze sul mondo della politica e degli affari.
Il caso delle ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti è il più noto: sia l'un fronte che l'altro, i democratici e i repubblicani, hanno usato ampiamente la rete e i suoi blog (vedi scheda in questa stessa pagina) per dilatare la propria presenza e per fare politica in senso stretto. La cosa più significativa è stata la capacità di intervento dei blog stessi nell'agenda politica e dei media, magari portando alle dimissioni di Dan Rather dalla Cbs, o raccogliendo milioni di dollari per il candidato Howard Dean.
Gli scettici vedono molti difetti in questo fenomeno: opinioni passionali e troppo partigiane, informazioni non attendibili, un rumore di fondo così elevato che impedisce di trovare il buono e l'utile che pure ci sono. Si aggiunga che queste comunità sono volentieri labili, esibizioniste e autoreferenziali, spesso composte da persone che anziché ascoltarsi si danno ragione l'un l'altro e erigono barriere identitarie nei confronti degli altri. Tutto vero, ma gli elementi positivi sono di gran lunga superiori ai difetti.
Si tratta infatti di un vero ribaltamento di ruoli e perciò anche di poteri, la cui filosofia è ben sintetizzata dalla sigla apparentemente astrusa P2P (vedi la scheda). Si traduce «da pari a pari», ma anche «da persona a persona» e corrisponde all'idea che ciò che conta non è tanto il valore di scambio delle merci o delle informazioni vendute, e talora nemmeno il valore d'uso, ma il valore di legame, e cioè la capacità di instaurare e alimentare rapporti tra le persone.
Riemerge allora il tecnoutopismo, ovvero l'idea che grazie alle tecnologie (ieri elettriche, oggi elettroniche) sia all'orizzonte una democrazia finalmente ampia e totale? C'è chi lo sostiene e il libro «We the media» del giornalista californiano Dan Gillmor ne è forse la teorizzazione più completa. Il saggio è gratuitamente scaricabile dalla rete (http://wethemedia.oreilly.com/ ) e il sottotitolo dice già quasi tutto: «Grassroots Journalism by the People, for the People» ovvero «giornalismo di base dalla gente per la gente». Ma come al solito, e per fortuna, le cose sono un pochino più sfumate, meno bianco-nero.
Infatti proprio l'enorme e democratica produzione di informazioni e di idee, in maniera disseminata, dalla periferia verso il centro (anziché il contrario) rende essenziale il compito degli esperti, dei cultori della materia e di chi intermedia. Se immetto la parola «malaria» in un motore di ricerca internet ottengo l'elenco di più di nove milioni di pagine che ne parlano, Se quel motore di ricerca ha dei buoni algoritmi di valutazione della credibilità delle fonti, tra le prime segnalazioni troverò i siti di chi si occupa seriamente del problema; i quali siti sono fatti da studiosi o militanti che del problema hanno bibliografia, aggiornamenti freschi, statistiche e tutto quanto serve. L'intreccio tra una tecnologia di rete e gli esperti umani mette a portata del mouse di tutti saperi altrimenti confinati nei congressi e nelle biblioteche universitarie. Ma quella stessa sfera pubblica magari metterà in contatto e in ascolto gli studiosi con le testimonianze da un villaggio o di un missionario, eventualmente dilatando la loro conoscenza di professionisti.
Lo stesso vale per il giornalismo e per la politica: entrambi sono in sofferenza, non da oggi e non certo per colpa della rete. Ma dalla rete possono trovare idee, notizie e pubblico entusiasta, purché sappiano capire, purché non esibiscano atteggiamenti di ripulsa e di separatezza, purché si rendano conto che quella cosa lì c'è, piaccia o meno, e che andrà avanti anche senza di loro, continuando a riplasmare in maniera imprevedibile la sfera pubblica. Massimo D'Alema, intervistato da Il Sole-24 ore il 5 agosto, a proposito di Fazio e della Banca d'Italia, sosteneva che «aprire un dibattito pubblico significa arrecare un danno ulteriore all'immagine dell'Italia». La rete invece ci dice due cose e le dice anche a D'Alema: che il «pubblico» ha sfondato e che di nuovo si impone, come ai tempi di Gutenberg, obbligando i professionisti (della politica, del giornalismo, della scienza, delle imprese) a ascoltare di più, a rendere conto e a operare meglio. Diversamente quel pubblico farà a meno di agenzie immobiliari, di giornali malfatti e di politici presuntuosi.