energia: un totem in cantina



da forumenergia.it

Quel Totem nascosto in cantina

di Maurizio Pallante

Un coup de théâtre. Cosa c'è di meglio per attirare l'attenzione
dell'opinione pubblica? All'inizio del semestre italiano di presidenza
dell'Unione europea, il ministro dell'ambiente Altero Matteoli, con il
conforto del ministro dell'Industria Antonio Marzano, ha riunito
informalmente i suoi colleghi europei a Montecatini per fare due
chiacchiere sui problemi energetici e ambientali. E il secondo giorno ha
tirato fuori dal cappello un ossimoro e una novità vecchia di 30 anni: il
carbone pulito (una pallida imitazione del ghiaccio bollente e della
tintarella di luna dei primi anni Sessanta, solo che quelli erano giochi e
questa vorrebbe essere una cosa seria) e la micro-cogenerazione. Che è una
cosa seria, ma rischia, per come è stata presentata, di diventare uno
scherzo. Il giorno dopo su tutti i giornali la notizia è stata presentata
come il «fai da te dell'energia» (caspita che coordinamento!). Dal minimo
comune multiplo del bricolage, ogni giornalista se l'è poi farcita con la
sua salsa: c'è chi l'ha messa sui tetti delle case (impianti da 350 kW a 2
MW, ma qualcuno ha idea di cosa significa?) e chi, tagliando un «co» (un
semplice «co», che sarà mai?), senza rendersi conto di ciò che faceva, l'ha
derubricata a microgenerazione. È proprio il caso di dirlo: la
co-generazione, chi era costei? E la micro-cogenerazione, che sembra uno
scioglilingua? Ne abbiamo parlato con una persona che se ne intende,
l'ingegner Mario Palazzetti, una sorta di Archimede Pitagorico della
tecnologia applicata alla riduzione dell'impatto ambientale (molti dei suoi
80 brevetti sono di tecnologie non energivore e non inquinanti), che con
queste credenziali non poteva trovare ascolto nel nostro sistema
industriale, per il quale il solo fine delle innovazioni di processo è di
accrescere la produttività tagliando posti di lavoro e il solo fine delle
innovazioni di prodotto è di accrescere la dipendenza umana da oggetti
sempre più banali. A Palazzetti per molti anni è stata assegnata la
responsabilità dei sistemi termotecnici del Centro Ricerche Fiat, dove ha
avuto risorse economiche, capi e collaboratori di grande qualità, ma
l'invenzione della micro-cogenerazione l'aveva fatta trent'anni fa eppure
non solo non è mai stata utilizzata (dato reale), ma è stata tenuta
accuratamente nascosta come accadeva coi figli della colpa (dato fortemente
sospetto).

«Nella primavera del 1973 - risponde Palazzetti a queste mie
considerazioni - qualche mese prima che scoppiasse la prima crisi
energetica in seguito alla guerra del Kippur, il gruppo di lavoro che
coordinavo realizzò il primo micro-cogeneratore, che battezzammo Totem:
Total energy module. La nostra iniziativa si collocava nel clima culturale
suscitato dalla pubblicazione del rapporto del Club di Roma sui limiti
dello sviluppo. In quel periodo in Fiat si confrontavano due linee
strategiche sui problemi energetici. C'era chi puntava sulla tecnologia
nucleare e chi sulle fonti alternative. Noi eravamo al di fuori di entrambe
le logiche perché ritenevamo che fosse più importante, sia per l'ambiente,
sia per lo sviluppo tecnologico e industriale, porre l'attenzione non sulle
fonti, ma sull'efficienza energetica. Partivamo dal presupposto che
dovunque si accenda un fuoco, una civiltà tecnologicamente evoluta non può
limitarsi a utilizzarne il calore, poiché prima se ne può sfruttare la
capacità di sviluppare una potenza motrice e dopo, quando la sua
temperatura si è abbassata e non è più in grado di svolgere un lavoro, si
può utilizzare per usi termici il calore residuo. La co-generazione è
quindi la generazione contemporanea di energia meccanica, che viene
trasformata in energia elettrica mediante un alternatore, e di energia
termica da un unico processo di combustione».

«Il Totem - continua Palazzetti - utilizzava un motore da 903 centimetri
cubi alimentato a gas naturale, o a biogas, per far girare un alternatore
che sviluppava una potenza elettrica di 15 kW. Quanto basta al fabbisogno
medio di una ventina di appartamenti. Contemporaneamente, recuperando il
calore dei gas di scarico e quello sviluppato dal motore, erogava 33.500
chilocalorie all'ora, sufficienti a riscaldare tre piccoli alloggi.
Utilizzando 105 unità di energia primaria questo piccolo cogeneratore
forniva 100 unità di energia derivata: 28 di elettricità e 72 di calore.
Per ottenere gli stessi risultati a una centrale elettrica ne occorrevano
84 e a una caldaia a gas 100: in totale 184. Quasi un raddoppio
dell'efficienza. O, se preferisci, un dimezzamento dei consumi di fonti
fossili (e delle emissioni di CO2) a parità di servizi all'utenza. Il Totem
è stato prodotto dalla Fiat in quantità insignificanti fino al 1980. Poi è
stato ceduto a un'altra azienda e dopo altri passaggi di mano è tuttora in
produzione, ma non è mai diventato l'alternativa di massa alle caldaie
negli impianti di riscaldamento domestici. In pratica si può dire che non è
mai esistito come prodotto industriale».

La scorsa estate ho fatto un corso di aggiornamento all'Energie und
Umweltzentrum (Centro per l'energia e l'ambiente) di Springe, un
ecovillaggio vicino ad Hannover, fondato alla fine degli anni Settanta. Lì,
tra le tante cose che ho imparato, ho saputo che il Totem è stato il primo
micro-cogeneratore ad essere stato progettato e prodotto. Un primato che,
mettiamola in termini economici e non ecologici, avrebbe potuto consentire
all'azienda che lo produceva di acquisire una posizione leader non solo sul
mercato italiano, ma europeo. Oggi in Germania, in tutte le strutture che
ho visitato durante il corso di aggiornamento, la riduzione al minimo delle
emissioni di CO2 viene perseguita adottando un mix di tecnologie di
efficienza energetica e fonti alternative variabile a seconda delle
caratteristiche climatiche del luogo. L'unico elemento costante, che ho
trovato dappertutto, è l'inserimento di un co-generatore nel mix. Ne ho
visti da 6 kW elettrici (meno della metà del Totem) in piccoli gruppi di
abitazioni private (ma ce ne sono anche da 3 kW, alimentati da motori a due
tempi), ne ho visto uno da 100 kW in una fabbrica di pannelli solari
termici a zero emissioni di CO2, ne ho visti due azionati da motori marini
alimentati dal biogas sviluppato dalla fermentazione dei rifiuti organici
nella discarica di Hannover. La cogenerazione è quindi una tecnologia molto
versatile, che si presta ad essere applicata in situazioni e con taglie
molto diverse. In Italia, prima dell'attuale riscoperta tardiva della
micro-cogenerazione diffusa (per ora proclamata a parole, staremo a vedere
se seguiranno i fatti) sono stati realizzati solo pochi grandi impianti
abbinati a centrali termoelettriche, tant'è che nella vulgata comune di
«chi se ne intende» la cogenerazione è diventata sinonimo di
teleriscaldamento.

«La differenza tra il teleriscaldamento e la micro-cogenerazione diffusa
non è nella grandezza dell'impianto - spiega Palazzetti - ma è qualitativa.
Nelle centrali termoelettriche si produce calore ad alta temperatura per
far girare le turbine collegate agli alternatori che producono energia
elettrica. Per riutilizzare l'energia termica degradata che si recupera
come sottoprodotto, occorre trasportarla a distanza costruendo un'apposita
rete di tubi sotterranei che hanno costi d'investimento molto alti, mentre
la riutilizzazione del calore avviene solo nei mesi invernali. Negli altri
mesi si continua a sprecarlo, per cui il vantaggio ambientale è limitato.
Invece la micro-cogenerazione diffusa sostituisce gli impianti di
riscaldamento e il `sottoprodotto' è l'energia elettrica, che si può
utilizzare direttamente e/o riversare in rete senza costi d'investimento
perché la rete elettrica già esiste. Quindi non ci sono mai sprechi».

In effetti, in Germania gli impianti di micro-cogenerazione sono collegati
alla rete così che possono riversavi i loro chilowattora nelle fasce orarie
in cui la domanda totale di energia elettrica è più alta. La cessione in
quelle ore è incentivata da prezzi convenienti perché in questo modo si
riduce la necessità di costruire nuove centrali. Nelle altre ore gli
autoproduttori consumano in proprio i chilowattora che producono, oppure
spengono l'impianto. Tra i guadagni derivanti dalla vendita e i risparmi
sull'acquisto di energia elettrica, i micro-cogeneratori ripagano i loro
costi d'investimento in tempi accettati dal mercato, senza sovvenzioni. E,
a parità di costi, contribuiscono a ridurre le emissioni di CO2 ben più
delle fonti alternative. Al contrario, in Italia lo sviluppo della
micro-cogenerazione diffusa è stato bloccato dagli ostacoli frapposti
dall'Enel all'allacciamento alla rete, in particolare dalla predisposizione
di contratti di cessione non remunerativi. L'importanza dell'inversione di
rotta annunciata a Montecatini è evidenziata dalle dimensioni del
programma: da 10 a 12 mila MW di potenza. L'equivalente di 15 nuove
centrali da 800 MW, il 20 per cento dell'attuale potenza installata in
Italia, ottenuto usando meglio il combustibile che già oggi si brucia nelle
caldaie degli impianti di riscaldamento. Senza incrementare le emissioni di
CO2 e senza cementificare altro territorio naturale. Ma se stanno facendo
sul serio, perché vincolare l'inizio del programma con la predisposizione
di una normativa che consenta di non allacciare gli impianti di
co-generazione diffusa alla rete? Perché limitare la taglia minima a 350
kW, quando si può scendere a potenze molto inferiori, che possono penetrare
in tutte le pieghe del sistema, fino al riscaldamento domestico?

Per Palazzetti l'importanza strategica di questa inversione di tendenza, se
si realizzerà, è tale da far passare in secondo piano i limiti, che
tuttavia non sottovaluta. «Dai resoconti giornalistici non si capisce bene
se il distacco dalla rete sarà una possibilità o una condizione vincolante.
Nel primo caso si tratterebbe di un elemento di flessibilità in più. Nel
secondo di una limitazione che potrebbe disincentivare gli investimenti
nella micro-cogenerazione e, quindi, ostacolare la realizzazione del
programma. Molto più grave mi sembra la chiusura nei confronti di impianti
inferiori ai 350 kW. Ciò significa che il target cui si rivolge il
ministero dell'ambiente è costituito dalla grande distribuzione e dalla
media industria, escludendo le abitazioni, che non solo rappresentano una
fascia rilevante dei consumi energetici, ma con la diffusione a macchia
d'olio dei condizionatori stanno fornendo quegli incrementi alla domanda di
energia elettrica nei mesi estivi che hanno causato il recente black out e
rischiano di causarne altri. In questo settore possono invece trovare
l'applicazione più interessante i recenti sviluppi tecnologici della
cogenerazione in trigenerazione, cioè in impianti che nei mesi estivi
possono sostituire la produzione di energia termica con l'azionamento del
compressore di un condizionatore, in modo da rinfrescare gli ambienti senza
accrescere la domanda di energia elettrica».

Per produrre cogeneratori e trigeneratori occorrono la stessa tecnologia,
gli stessi impianti e le stesse professionalità che occorro per produrre le
automobili. Invece di far finta di credere che la nostra industria
automobilistica possa tornare agli antichi splendori aumentando la
flessibilità e riducendo l'occupazione, non sarebbe meglio riconvertirla in
parte nella produzione di queste nuove macchine? A partire dalle taglie più
piccole per favorirne una diffusione di massa? Win win dice il ministro. Se
dalle parole si passerà ai fatti, sulle orme di Dumas si potrà aggiungere:
Trent'anni dopo.