irak lo spettro dell'uranio



da lanuovaecologia.it

Sabato 14 Maggio 2005

IRAQ, LO SPETTRO DELL'URANIO

Iraq: pozzo petroliferoSiamo in Medioriente per il petrolio e la nostra
fetta di torta è Nassirya. Lo conferma, documenti alla mano, l'inchiesta di
Rai News 24. Ma affari a parte, ecco l'eredità che lascerà questa guerra.
Parla Pekka Haavisto, responsabile Onu per la valutazione dei danni post
bellici

AMBIENTE|

Eredità radioattiva

Iraq: elicotteri da guerraNon bastava la guerra, in Iraq è anche emergenza
ambientale. Ma non solo. Uranio impoverito, tantissimo, molto più che nei
Balcani
Non bastava la guerra, in Iraq è anche emergenza ambientale. E proprio a
causa della guerra. Ma non solo. Uranio impoverito, tanto, tantissimo,
molto più che nei Balcani. E inquinamento industriale, provocato dai
bombardamenti americani e inglesi sugli insediamenti produttivi iracheni.
Danni gravissimi che si sommano a quelli provocati direttamente dal regime
di Saddam Hussein. A lanciare l'allarme è Pekka Haavisto, presidente del
comitato di valutazione post bellica dell'Unep, l'agenzia per la protezione
dell'ambiente dell'Onu, appena tornato da una missione nel Golfo. Un super
esperto di danni all'ambiente provocati dalle guerre, da quella in Kuwait a
quelle in Bosnia e nel Kosovo, dove, denuncia, le conseguenze dell'utilizzo
delle armi all'uranio sono ancora ben presenti.
«In Bosnia edifici colpiti da proiettili con uranio impoverito sono ancora
radioattivi dopo nove anni. In Kosovo abbiamo trovati tracce di uranio in
alcuni pozzi, a dimostrazione che la sostanza è entrata nelle falde
acquifere e quindi nella catena alimentare. In Kuwait, dopo 14 anni dalla
prima guerra del Golfo, ancora si trovano tracce di uranio impoverito nelle
sabbie del deserto». Informazioni inquietanti, ma non sono da meno quelle
raccolte, con grande difficoltà per le reticenze americane, in Iraq.

Toni Mira

TARGET|

Reticenze americane

Iraq: carrarmati americaniDue tonnellate di uranio rovesciate dagli inglesi
su Bassora. Una quantità imprecisata dagli Usa
«Dati complessivi sull'uso di proiettili a uranio impoverito ancora non li
abbiamo - spiega Pekka Haavisto, presidente del comitato di valutazione
post bellica dell'Unep - Solo i militari britannici ci hanno fornito le
mappe dei 51 siti colpiti nell'Iraq meridionale nella primavera del 2003,
rivelando di aver usato sulla città di Bassora, e nell'area
circostante, 1,9 tonnellate di uranio impoverito. Quelli americani non ci
hanno fornito nulla. Inoltre per motivi di sicurezza non possiamo ancora
accedere a molte zone». Comunque l'esperto, già ministro dell'Ambiente per
i Verdi in Finlandia dal 1995 al 1999, ritiene che i dati saranno molto più
alti di quelli del Kosovo, dove vennero usate 10 tonnellate di uranio. «Lì
furono usati solamente proiettili lanciati dagli aerei, soprattutto gli
A-10 Thunderbolt, le cosiddette "corazzate volanti", che contenevano 300
grammi di uranio impoverito, in Iraq hanno usato anche proiettili di
carrarmato che ne contengono tre chili». E comunque, denuncia ancora
Haavisto, «i danni ambientali post bellici non riguardano solo l'uranio».
Insomma, piove sul bagnato. Uranio impoverito in grande quantità, spesso
usato contro impianti industriali chimici, rasi al suolo provocando
ulteriore danno ambientale. «Abbiamo potuto verificare tre situazioni di
grave pericolosità. La prima riguarda il danneggiamento, sia a causa della
guerra che dell'embargo, degli impianti industriali. È una condizione molto
degradata paragonabile a quella che abbiamo nei paesi dell'Europa
orientale. La seconda questione sono i danni ambientali causati
coscientemente da Saddam per i suoi calcoli politici. L'esempio più
clamoroso è la distruzione della zona umida nel sud, al confine con l'Iran,
che pone anche una questione di diritti umani per gli arabi, da sempre
oppositori del regime, che lì vivono, e che rappresenta una delle priorità
di bonifica. Poi c'è l'uranio impoverito. È stato usato pesantemente e ha
infiltrato il terreno sia nella zona di Bassora che in quella di Baghdad».

Toni Mira

SALUTE|

Fuori controllo

Iraq: brucia raffineriaTutti sono allarmati per le conseguenze
dell'utilizzo di armi all'uranio sui militari. Ma il rischio maggiore è per
la popolazione locale, incosciente dei rischi
Tutti in Occidente, e soprattutto in Italia, si sono allarmati per le
conseguenze dell'utilizzo di armi all'uranio impoverito sui militari. Ma il
rischio maggiore è per le popolazioni locali. «Il problema principale è che
gli iracheni non sono coscienti dei pericoli che corrono - spiega Pekka
Haavisto, presidente del comitato di valutazione post bellica dell'Unep -
Stiamo vedendo il ritorno dei lavoratori in fabbriche distrutte e
inquinanti. E poi c'è il "riciclaggio": qualsiasi metallo distrutto anche
con armi all'uranio impoverito viene raccolto e riutilizzato senza che noi
riusciamo a sapere dove vada a finire e i danni che provocherà». Per questo
l'Unep in collaborazione con l'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia
atomica, «sta predisponendo uno studio per aiutare le autorità irachene nel
controllo di questi materiali, ma purtroppo abbiamo il sospetto che molti
luoghi sfuggano al controllo ed è quindi possibile che materiali
radioattivi e tossici siano ampiamente diffusi».
La preoccupazione è notevole, anche perché per gli esperti dell'Onu il
danno ambientale provocato dall'uranio impoverito è ormai accertato.
«L'Unep
si occupa di problemi ambientali e non sanitari. Con riferimento alla
dimensione ambientale noi abbiamo espresso ormai molto chiaramente la
preoccupazione per le aree colpite da armamenti a uranio impoverito,
chiedendo che ci siano sempre bonifiche e messa in guardia della
popolazione. L'uranio impoverito è senza dubbio un pericolo per due motivi
sempre combinati: la tossicità e la radioattività».

Toni Mira

Aiutarli ad aiutarsi

Iraq: aiuti umanitariSul fronte uranio nel paese mediorientale sono
impegnate le maggiori organizzazioni internazionali. Ma sulle conseguenze
su ambiente e salute nessuno è ottimista
Sul fronte uranio impoverito sono impegnate in Iraq le maggiori
organizzazioni internazionali. L'Aiea si occupa del controllo radiologico
di sicurezza, l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) si sta occupando
delle conseguenze sulla salute umana, anche attivando le strutture
sanitarie irachene. Infine l'Unep, spiega Pekka Haavisto, presidente del
comitato di valutazione post bellica dell'agenzia Onu, «sta addestrando più
di cento persone del ministero dell'Ambiente iracheno. In collaborazione
con l'Aiea e l'Oms gli esperti ambientali saranno preparati anche a
occuparsi di uranio impoverito. Questo permetterà alle autorità irachene di
controllare quei luoghi che ancora non è stato possibile raggiungere».
Insomma, la filosofia è aiutare gli iracheni ad aiutarsi da soli. «Si cerca
soprattutto di valorizzare le molte risorse già esistenti in campo
ingegneristico. In Iraq, infatti, ci sono molti ingegneri e tecnici
specializzati, eredità del regime di Sadam, che hanno però bisogno di
essere formati su queste problematiche». E non solo per l'uranio
impoverito.
«Stiamo facilitando l'addestramento anche di squadre irachene per visitare
le zone industriali più inquinate. Alcune stanno già prelevando campioni
che verranno analizzati dagli esperti dell'Unep. Questo, successivamente,
ci permetterà di stabilire quali iniziative di decontaminazione saranno
necessarie». Infine, sempre l'organismo dell'Onu «sta lavorando al
ripristino dei territori paludosi dell'antica Mesopotamia, tra i fiumi
Tigri e Eufrate, sul confine con l'Iran. E proprio per questo si stanno
promuovendo incontri tra i governi di Bagdad e Teheran per facilitare una
collaborazione in campo ambientale tra i due paesi».
Un grande lavoro, frutto anche dell'esperienza in Kosovo dove, sottolinea
Haavisto, «c'è stato un miglioramento. Ma la cosa triste di tutta la
vicenda è che è tecnicamente impossibile bonificare al 100 per 100 siti
inquinati dall'uranio impoverito. Abbiamo fatto del nostro meglio
informando la popolazione, abbiamo chiesto bonifiche immediate. Ma sulle
conseguenze sull'ambiente e sulla salute non possiamo essere ottimisti».

Toni Mira