petrolio senza alternative ( ? )



da lavoceinfo
martedi 2 novembre 2004

Petrolio senza alternative
Marzio Galeotti

Le turbolenze sul mercato del greggio rendono opportuna qualche pacata
riflessione sugli scenari energetici futuri.
La persistente crescita del prezzo del petrolio ripropone infatti la
questione della sostenibilità dell'attuale modello di sviluppo, crucialmente
basato sul consumo di fonti fossili di energia. Ma mentre la preoccupazione
generale è, come sempre, concentrata sugli effetti di breve periodo su
crescita e inflazione, resta ancora scarsa l'attenzione dedicata a questioni
di fondo come le opzioni energetiche possibili per le prossime decadi.
Tutta questione di prezzo
Gli esperti concordano sul fatto che il petrolio, o più in generale le fonti
fossili di energia, saranno in giro ancora per parecchio tempo. Dagli anni
Settanta a oggi, la preoccupazione ambientale-climatica si è affermata e ha
portato a politiche di regolamentazione. Ma resta ancora vero che il
maggiore fattore di risparmio energetico è l'aumento del prezzo del
petrolio: è questo l'elemento che induce e ha indotto una riduzione dell'
intensità energetica dei processi produttivi, e come tale ha contribuito a
contenere le emissioni di gas-serra. Altrettanto vero è che nessuna nuova
opzione energetica su larga scala, in particolare nel campo della
generazione elettrica, la più energivora delle attività produttive, è stata
introdotta negli ultimi trent'anni. Se si eccettua il nucleare. (1)
Quanto alle fonti rinnovabili, Chip Goodyear, amministratore delegato di Bhp
Billiton, società globale attiva nel settore delle risorse naturali, ha
dichiarato al recente World Energy Congress di Sydney, che le fonti
energetiche verdi resteranno relativamente insignificanti almeno per i
prossimi venti anni. Le previsioni dicono che i combustibili fossili saranno
l'87 per cento delle fonti primarie di energia, un punto percentuale in più
di oggi. Sulla scia della corsa del prezzo del petrolio di quest'anno
infatti non saranno probabilmente intrapresi investimenti in rinnovabili: i
prezzi dell'oro nero dovranno restare alti a lungo perché qualcosa cambi. "L
'industria ha bisogno di altre brutte notizie dal prezzo del petrolio perché
si sposti sulle fonti rinnovabili", sostiene Andrew Oswald, professore di
Economia all'università di Warwick. Una recente pubblicazione dell'Iea, l'
agenzia internazionale dell'energia dell'Ocse, nota che la quota di
finanziamento pubblico alla ricerca e sviluppo in campo energetico destinata
alle rinnovabili è decrescente, in contraddizione con le asserite intenzioni
di molti governanti dei paesi sviluppati. (2)
Le fonti rinnovabili nel mondo
Nel mondo, le rinnovabili coprono solo il 2,1 per cento degli usi
energetici. Ciò nonostante molti paesi si stanno muovendo: il ministro dell'
Industria spagnolo ha annunciato lo scorso agosto l'obiettivo di accrescere
del 12 per cento entro il 2010 la quota delle rinnovabili sul consumo
primario di energia, particolarmente energia solare e produzione di
biodiesel. Così il governo giapponese ha predisposto un piano per l'
incremento dell'uso delle biomasse con obiettivi specifici di aumento della
generazione elettrica al 2010. (3) Gli inglesi, sempre entro il 2010,
dovrebbero produrre con fonti rinnovabili il 10 per cento dell'elettricità.
Questa quota è già pari al 20 per cento in Danimarca, soprattutto energia
eolica. (4) L'Energy Information Administration statunitense ha simulato gli
effetti della proposta McCain-Lieberman di introdurre un tetto alle
emissioni di gas-serra sulla quantità di rinnovabili utilizzate: nel 2025
esse sarebbero il doppio di quanto proiettato nel caso di assenza del tetto.
Infine, il nostro paese ha introdotto l'obbligo per i produttori di
elettricità di garantire a partire dal 2002 una quota pari al 2 per cento
della generazione termoelettrica con nuova elettricità generata da fonti
rinnovabili.
Tutto bene, dunque? Non proprio, come mostra il fatto che la Commissione
europea ha deciso alcuni mesi fa di abbandonare gli obiettivi di produzione
di energia a mezzo di rinnovabili fissati per il 2010 (12 per cento nei
paesi Ue-15 e 21 per cento nei paesi Ue-25), in quanto non raggiungibili, e
ha rinunciato per il momento a fissarne dei nuovi per il 2020. Una brutta
figura addebitata ai responsabili dei paesi membri che non hanno mostrato la
capacità e la determinazione di voler raggiungere gli obiettivi prefissati.
Se ne riparlerà nel 2007.
Tempi lunghi per l'idrogeno
In sostanza, non pare al momento esservi alternativa che, in termini di
tempo, costi e quantitativi, possa sostituire l'oro nero in tempi
ragionevoli. Dei nuovi sistemi energetici ipotizzati all'indomani del primo
shock petrolifero, dalla fusione e fissione nucleare, dai bio-carburanti
alle varie fonti rinnovabili - solare, geotermico, eolico, biomasse -
nessuno è emerso come l'alternativa con la "a" maiuscola.
Pensare all'idrogeno, e alle automobili con celle a combustibile, significa
adottare un orizzonte che parte dal 2035 in poi. Diceva Scientific American
del maggio 2004: "Ci si può aspettare che lo sviluppo di auto con celle a
combustibile, al contrario delle cosiddette ibride, proceda secondo gli
stessi tempi del volo umano su Marte progettato dalla Nasa e che abbia lo
stesso grado di probabilità".

(1) Queste considerazioni sono contenute, e ampiamente argomentate, in "The
Outlook for Energy Three Decades After the Energy Crisis", lavoro presentato
da uno dei massimi esperti mondiali, William D. Nordhaus, all'International
Energy Workshop di Parigi dello scorso 22-24 giugno 2004. Il paper è
scaricabile dall'indirizzo
www.iiasa.ac.at/Research/ECS/IEW2004/docs/2004A_Nordhaus.pdf.
(2) Questo aspetto è messo chiaramente in evidenza in una recente
pubblicazione della IEA-AIE, Renewable Energy - Market and Policy Trends in
IEA Countries, Parigi: IEA, 2004.
(3) Si veda il recente rapporto dell'Ocse, Biomass and Agriculture:
Sustainability, Markets and Policies, Parigi: OECD, 2004.
(4) A parte considerazioni di costo, le varie fonti rinnovabili non
presentano solo vantaggi. La produzione di nuova energia idroelettrica ed
eolica, per esempio, reca con sé rilevanti problemi di impatto ambientale.
Sulla seconda si veda l'interessante articolo "Ill winds", The Economist del
29 luglio 2004.

Un futuro di gas, carbone e nucleare
Marzio Galeotti

Se eliminare, o quanto meno ridurre, le emissioni nocive a monte, passando a
fonti energetiche pulite non è possibile, ecco che l'interesse si sposta a
valle, sulla fattibilità di eliminare, o quanto meno ridurre, le emissioni
della combustione delle fonti fossili.

Torna il carbone

Si parla molto per esempio dell'opzione della cattura e sequestro del
carbonio prodotto dal processo di combustione. In sostanza, si tratta di un
processo a due stadi mediante il quale il gas (essenzialmente l'anidride
carbonica) viene dapprima estratto dalla macchina che brucia il combustibile
fossile (la "cattura") e successivamente immagazzinato in apposite sedi da
cui non può più scappare (il "sequestro"). La prima fase è la più costosa
anche perché va prevista fin dalla costruzione dell'impianto di produzione
dell'energia, anche se esistono soluzioni che consentono l'adattamento di
impianti esistenti. (1)
Interessante è notare che questa opzione di breve termine riporta in gioco
anche la più inquinante delle fonti fossili: il carbone, minerale di cui
paesi abbondano come la Cina, l'India e il Sud Africa, che non intendono
rinunciarvi perché alimenta il loro processo di sviluppo.
Naturalmente, anche i paesi industrializzati si attivano su questo fronte:
nel 2003 è partito il Carbon Sequestration Regional Partnership Program
patrocinato dal ministero dell'Energia americano. Mette in rete Stati,
governo federale e settore privato con il compito di raccomandare nel giro
di due anni soluzioni tecnologiche (aspetti tecnici, regolatori e
infrastrutturali) da sottoporre a validazione su piccola scala. Non a caso
questo programma è parte integrante della politica energetica del presidente
Bush. In Europa, il governo britannico ha lanciato una consultazione sulle
tecnologie di abbattimento del carbonio che guardi allo sviluppo di metodi
di cattura e sequestro, anche dialogando con i norvegesi, in quanto i pozzi
esauriti di petrolio e gas del Mare del Nord potrebbero fungere da depositi
di carbonio. Infine, va segnalato un piano internazionale per sviluppare e
promuovere la cooperazione sul recupero e uso del metano, cui partecipano
Australia, Giappone, India, Italia, Messico, Regno Unito, Ucraina e Usa.

Senza dimenticare il nucleare

Da qualche tempo, però, i riflettori si sono riaccesi sull'altra opzione
attualmente utilizzata, quella nucleare. La sua quota è aumentata
rapidamente fino agli anni Novanta, ma da allora è rimasta attorno al 17 per
cento di tutta l'elettricità generata. Perché aumenti in misura
significativa deve superare due test, come osserva William Nordhaus dell'
Università di Yale, esperto di questioni energetiche e ambientali.
Il primo è convincere le scettiche opinioni pubbliche che il nucleare è
sicuro. Sulla necessità del nucleare, scienziati, governanti e dirigenti del
settore energetico da qualche tempo mostrano di non avere dubbi. Non ne ha
la (ex) commissaria europea all'Energia Loyola de Palacio, che sottolinea
invece il problema della sicurezza degli approvvigionamenti energetici.
Anche il governo spagnolo, dopo avere chiuso il reattore più vecchio,
incrementerà l'output del nucleare esistente. E il Regno Unito mette l'
accento sul problema ambientale: per raggiungere il target di emissioni di
gas-serra, metà dell'elettricità inglese dovrà provenire dal nucleare,
quando oggi ne provvede solo un quinto. Infine l'Italia, dove il ministro
Antonio Marzano o l'amministratore delegato di Enel Scaroni non fanno
mistero della necessità di rivedere le nostre decisioni in materia di
energia nucleare, che non produciamo più, ma che comunque continuiamo a
importare, soprattutto dalla Francia.

È però l'altro test che desta attenzione crescente: la sicurezza delle
centrali nucleari.
Timori per nuove Chernobyl (quello che fu, non quello che è oggi, che è
altra cosa e probema) o Three Mile Island sono oggi, secondo gli esperti,
fuori luogo. Con più di 10mila anni-reattore di esperienza al 2004, osserva
Nordhaus, le analisi standard di valutazione del rischio dei reattori ad
acqua leggera sono risultate largamente accurate.
Ciò che invece genera una crescente preoccupazione è il problema del
dirottamento di materiale nucleare verso la produzione di armamenti. Tutti i
casi di recente proliferazione di armi atomiche, in Corea del Nord, India,
Pakistan per esempio, si sono verificati in paesi che hanno ottenuto il
materiale da impianti civili di produzione di energia. E in questo contesto
si inserisce il contenzioso in corso tra Iran e l'agenzia internazionale
dell'energia atomica. (2)

Le novità possibili

In conclusione, nel prossimo futuro non vi sono alternative alle fonti
fossili: è e resta l'opzione preferita, in quanto politicamente accettabile,
nella maggior parte delle regioni del mondo. Tanto più che le proiezioni
attuali della disponibilità di petrolio e gas non segnalano riduzioni, ma
anzi sono state riviste verso l'alto dal 1973 a oggi. Ciò nondimeno,
crescono i problemi e le difficoltà connesse al petrolio, riconducibili ai
problemi politici di sicurezza dell'approvvigionamento (geograficamente le
fonti sono concentrate soprattutto nella regione araba), e ai problemi
ambientali, primo fra tutti il riscaldamento globale.
Possiamo aspettarci qualche novità? La prima è appunto il ritorno del
carbone, che già alimenta un terzo dell'elettricità inglese, metà di quella
tedesca e statunitense, tre quarti di quella cinese e indiana. E la cui
estrazione sta tornando a essere un business vantaggioso per la crescente
domanda anche di paesi come gli Usa. Inoltre, le tecnologie moderne
consentono di ridurre l'impatto ambientale del minerale nero.
L'altra novità che il prossimo futuro probabilmente ci riserva è una
significativa sostituzione del petrolio con il gas naturale. I vantaggi
importanti sono due: le sue riserve sono meno concentrate geograficamente ed
è più pulito. Lo svantaggio è che si tratta di un gas e come tale meno
facile da trasportare del petrolio (il sistema dei gasdotti è complesso e
perciò  non molto ramificato e a lunga gittata). Nonostante lo sforzo
finanziario sia ingente, con poche società in grado di sostenerlo, si sta
diffondendo la pratica di costruzione di impianti di liquefazione e
successiva rigassificazione del Lng (gas naturale liquido). (3)
Spostarsi dal petrolio all'accoppiata carbone-gas certamente avrebbe
vantaggi di costo. Secondo la Royal Academy of Engineering (marzo 2004), il
costo di generazione di un kilowattora in centesimi di euro è 3,3 nel caso
del gas-ciclo combinato con turbina e di 4,2 gas-turbina, di 3,7 nel caso
del carbone in polvere e di 6,7 nel caso di carbone in polvere con
abbattimento dei fumi. (4)

Forse, non è un caso se il recente decreto governativo che ha autorizzato la
costruzione di ventidue nuove centrali elettriche alimentate da combustibili
fossili con una capacità complessiva superiore a 11 gigawatts (un terzo in
più rispetto all'attuale), prevede che esse bruceranno gas con ciclo
combinato, mentre un paio di quelle esistenti saranno riconvertite a carbone
o orimulsion, una specie di olio combustibile alquanto inquinante.
Naturalmente, c'è da augurarsi che il ritorno nostrano al carbone si
accompagni all'adozione delle più moderne tecniche di abbattimento delle
emissioni nocive.

(1) Istruttivo è l'articolo "Fired up with ideas", in The Economist del 6
luglio 2002.

(2) Sul nucleare da segnalare il recente ponderoso studio interdisciplinare
del Mit, "The Future of Nuclear Power", scaricabile all'indirizzo
htto://web.mit.edu/nuclearpower/. Sul caso dell'Iran si veda l'esauriente
storia "The world of the ideologues" in The Economist del 2 settembre 2004.

(3) Ancora una volta: "The future's a gas", The Economist 28 agosto 2004 e
"The future is clean", The Economist 2 settembre 2004.

(4) Traiamo questi numeri da "The cost of generating electricity"
rintracciabile all'indirizzo
www.raeng.org.uk/news/temp/cost_generation_commentary.pdf.