contabilità ambientale per lo sviluppo ( indicatori settoriali di pressione ambientale ISPA )



Contabilità ambientale come strumento di sviluppo sostenibile

Strasburgo, 24 gennaio 2004

L'Assemblea del Consiglio d'Europa ha approvato, il 2 marzo 2004, una
Raccomandazione agli Stati membri per l'adozione, a tutti i livelli di
governo, di strumenti di contabilità ambientale, e in particolare di bilanci
"verdi" per perseguire uno sviluppo più sostenibile. La risoluzione impegna
tra l'altro il Congresso dei poteri locali del Consiglio d'Europa, che
raggruppa i rappresentanti di centinaia di città, a diffondere a livello
urbano la contabilità ambientale, e in particolare il bilancio ambientale.
(traduzione di Ilaria Di Bella)

ISPA
Il concetto di "pressione esercitata dall'uomo sull'ambiente naturale" non
può essere definito a prescindere da una divisione ideale del mondo in due
sfere (o sistemi): sfera "antropica", o "tecnosfera", e sfera "naturale" o
"ecosfera". Tali sistemi sono chiaramente parti non separabili - se non a
livello concettuale - di un tutto fortemente integrato, ma possono essere
identificati, a fini analitici, come ambiti distinti pur se fortemente
interagenti tra loro.
La sfera antropica è caratterizzata dal controllo umano sui processi che vi
si svolgono, ovvero costituisce il dominio della tecnologia; nel sistema
naturale le forze della natura non sono "gestite" dall'uomo come nel sistema
antropico, bensì si auto-organizzano.
L'esistenza stessa della sfera antropica dipende crucialmente dal permanere
di condizioni di sostanziale equilibrio nell'ecosfera. La sfera antropica si
trova infatti "incastonata" in quella naturale, e la sua "sostenibilità" si
realizza se essa si inserisce negli equilibri naturali in maniera armonica e
non distruttiva. L'azione dell'uomo - o, meglio, l'esistenza, il
funzionamento e lo sviluppo dell'antroposfera - contribuisce, infatti, a
determinare gli equilibri naturali e la loro evoluzione.
Interazioni tra le due sfere direttamente rilevanti per gli equilibri
naturali si hanno principalmente attraverso i prelievi o gli apporti di
materia e di energia da parte dell'antroposfera, ma anche la semplice
presenza nell'ambiente di manufatti antropici, in uso o in disuso
(occupazione dello spazio da parte dello stock materiale dell'antroposfera)
comporta deviazioni, volontarie o involontarie, dei flussi naturali (ad
esempio, una diga rispetto al ciclo delle acque interne). Gli scambi
energetici e materiali e le conseguenze dell'accumulazione degli stock
antropici possono quindi essere visti come sollecitazioni che l'uomo
esercita sugli equilibri naturali, tendendo a modificarli: essi comportano,
in altre parole, pressioni sull'ambiente naturale.
(.)
È utile, per meglio comprenderne la posizione nell'ambito del complesso dei
rapporti uomo-natura, inquadrare le pressioni nella rappresentazione
complessiva di tali rapporti fornita dal modello concettuale "Determinanti -
Pressioni - Stato - Impatto - Risposte", fondamentale punto di riferimento
di tutta la ricerca e il dibattito internazionale in materia di informazione
ambientale (OCSE, 1993; Eurostat, 1997; European Environment Agency, 1998;
Eurostat, 1999).
Tale modello evidenzia l'esistenza, "a monte" delle pressioni, di forze
motrici, o determinanti, che in sostanza possono essere identificati con le
attività e i processi antropici che causano le pressioni. A ciascuna
attività può essere associato un certo insieme di interazioni dirette con l'
ambiente naturale.
A "valle" delle pressioni sta invece lo stato della natura, che si
modifica - a tutti i livelli, da quello microscopico a quello planetario -
in seguito alle sollecitazioni umane. Il modificarsi dello stato della
natura comporta impatti sul sistema antropico. Tali impatti sono per lo
più - ma non necessariamente - negativi, poiché il modificarsi dello stato
della natura in genere coincide con un suo allontanarsi dalle condizioni
inizialmente esistenti, favorevoli alla prosperità umana. Si chiude qui un
primo ciclo di rapporti causali, con la retroazione (negativa) dello
sviluppo su se stesso, attraverso il deterioramento della natura che lo
sostiene. La società e l'economia, di fronte a tale retroazione negativa,
reagiscono fornendo risposte basate sulla consapevolezza dei meccanismi che
la determinano. Le risposte sono dirette sia alle cause immediate degli
impatti (i cambiamenti dello stato) sia alle loro cause più profonde,
risalendo "a monte" fino alle pressioni stesse e ai "fattori" che le
generano. Il cerchio così si chiude nuovamente, con la retroazione
consapevole della società alle conseguenze negative del suo stesso sviluppo.
Di fronte all'impossibilità pratica di enumerare (ancor prima che di
quantificare) tutte le pressioni, si pone l'esigenza, per poter giungere a
delle misurazioni, di individuare le pressioni che maggiormente interessano
in relazione agli scopi cui deve servire l'informazione. Nella pratica si
prendono in genere le mosse dai "problemi (temi) ambientali", individuando
per ciascuno di essi le principali cause immediate di origine antropica,
ovvero le principali pressioni che li determinano. Si può realizzare così
implicitamente anche una classificazione delle pressioni secondo gli
elementi dello stato dell'ambiente sui quali vanno ad agire.
Ad esempio, se si parla di "cambiamenti climatici", la lista delle pressioni
sarà quella dei gas, emessi dall'uomo, che tendono a "imprigionare" nell'
atmosfera i raggi infrarossi della radiazione solare ("effetto serra"). Vi
sono numerosi esempi di pressioni che agiscono contemporaneamente su più di
un tema, talvolta con contributi di valenza opposta, come ad esempio nel
caso delle emissioni di anidride carbonica, che sono le maggiori
responsabili dell'"effetto serra", ma mitigano l'azione delle sostanze
responsabili dello "assottigliamento dello strato d'ozono troposferico".
Individuati i fenomeni d'interesse, per costruire un adeguato sistema di
indicatori si devono stabilire delle definizioni che chiameremo "operative",
per distinguerle da quelle "astratte" proprie del modello concettuale.
Questo passaggio richiede di stabilire tutta una serie di definizioni e
convenzioni che precisano e rendono in linea di principio osservabili nella
realtà i fenomeni corrispondenti alle entità stilizzate del modello teorico
adottato.
In particolare, ai fini operativi, occorre adeguare la definizione delle
pressioni agli scopi per i quali si vogliono costruire le loro misure. Se ad
esempio lo scopo è il controllo della qualità delle acque sotterranee, è da
preferire una serie di indicatori specifici relativi ai quantitativi dei
diversi pesticidi che penetrano nel sottosuolo; se invece si vuole una
misura globale del potenziale impatto ambientale dell'agricoltura, è
preferibile una misura più aggregata. (.) Se invece si volesse esaminare l'
impatto dei trasporti internazionali sul territorio italiano, il problema
sarebbe l'ambito geografico di riferimento e dovrebbero essere attuate
convenzioni specifiche, nel senso che le emissioni di gas inquinanti
andrebbero incluse in un calcolo delle pressioni esercitate all'interno del
paese ed escluse se si trattasse di calcolare le pressioni generate dagli
italiani. In questi casi, può essere opportuno stabilire una corrispondenza
con aggregati di tipo economico o sociale.
Per costruire infine gli indicatori, le pressioni, come definite dal punto
di vista operativo, vanno confrontate con i dati esistenti o con quelli
ottenibili mediante nuove indagini o stime. Vanno identificati cioè i
migliori correlati empirici delle grandezze desiderate; raramente questi
rispondono esattamente alla definizione operativa che si è data della
pressione, e in genere ne costituiscono solo una approssimazione. In molti
casi si deve ricorrere a grandezze che, pur non essendo riferibili
immediatamente alle pressioni, forniscono informazioni significative sulla
loro entità, poiché sono ad esse correlate dal punto di vista statistico e
ne permettono una quantificazione indiretta. A seconda delle limitazioni
poste dai dati disponibili può essere necessario far ricorso a misure
relative a un insieme aggregato di fenomeni che si vorrebbero tenere
distinti (come ad esempio quando si conoscono solo le quantità totali di
pesticidi sparse sul suolo e invece si vorrebbero tenere separati i
quantitativi che vanno nella falda e quelli che vanno in atmosfera), oppure
a misure relative a "precursori" delle quantità desiderate (ad es. le
quantità vendute di pesticidi in luogo di quelle effettivamente utilizzate),
o ancora a grandezze collegate a quelle desiderate da relazioni
tecnico-funzionali (ad es. la superficie coltivata con l'uso di pesticidi in
luogo delle quantità utilizzate di questi ultimi). Tali grandezze possono
essere, a seconda dei casi, utilizzate tal quali sono, oppure sottoposte ad
elaborazioni per ottenere una stima indiretta della pressione.
Quanto detto sopra vale per gli indicatori di pressione in generale. La
costruzione di un sistema di indicatori settoriali di pressione ambientale
risponde alla particolare esigenza di disporre di disaggregazioni dei dati
significative ai fini di un intervento politico che si specifica per
settore-obiettivo. Di particolare interesse sono dunque le disaggregazioni
delle pressioni secondo la loro provenienza in termini di macrosettori di
attività (agricoltura, industria, turismo.). Tale partizione si riflette in
una disaggregazione che riguarda ciascuna pressione presa singolarmente,
indipendentemente dal tipo di modificazione indotta nello stato dell'
ambiente, e quindi è altra cosa rispetto al raggruppamento delle diverse
pressioni in base al tema per il quale sono rilevanti.
Le attività raccolte in uno stesso settore sono accomunate dalle relazioni
di tipo "funzionale" che tra esse intercorrono (ad es. di "integrazione
verticale"), oppure dalla similarità del ruolo che svolgono nel sistema
socioeconomico (come ad esempio l'unitarietà dei mercati di
approvvigionamento dei fattori o di sbocco dei prodotti), oppure dall'
omogeneità nella finalità delle attività (ad es. ricreativa, nel caso del
turismo). Inoltre la "classificazione" delle attività nei settori non è
esaustiva (non comprende cioè tutte le attività), in quanto non tutti i
settori dell'economia vengono considerati, né le sue categorie (i settori)
sono mutuamente esclusive (ovvero, un'attività può appartenere a più d'un
settore contemporaneamente). In definitiva, poiché la settorialità degli
indicatori di pressione risponde ad esigenze specifiche, è necessario un
raggruppamento definito ad hoc dei fattori di pressione.
Dal momento che i settori di maggiore interesse sono individuati "in
astratto", si pone anche per essi il problema di darne una definizione
operativa, stabilendo in maniera convenzionale la collocazione delle
attività "elementari" nei diversi settori. Si tratta poi di individuare per
ciascun settore gli indicatori maggiormente rilevanti, escludendo quelli
relativi a pressioni che il settore non genera o cui fornisce
(presumibilmente) contributi di scarsa rilevanza.
La disaggregazione delle singole pressioni per settore d'origine, infine, va
ad incrociarsi con il raggruppamento delle diverse pressioni secondo i temi,
e quindi gli elementi dello stato dell'ambiente sui quali vanno ad agire.

A che cosa serve il sistema di indicatori settoriali di pressione
ambientale?
Gli indicatori di pressione, in generale, hanno un ovvio interesse
scientifico, poiché forniscono elementi di fondamentale importanza per la
conoscenza dei fenomeni naturali e dell'interazione uomo-natura, specie se
messi in relazione agli indicatori relativi allo stato dell'ambiente da una
parte, e ai fattori di pressione dall'altra.
L'interesse scientifico, d'altro canto, non è quasi mai fine a se stesso, e
certamente non lo è nel caso delle pressioni sull'ambiente. L'affermarsi
dell'idea che lo sviluppo debba essere reso "sostenibile" dal punto di vista
ecologico mediante una cosciente azione di risposta da parte della società,
ha infatti stimolato un forte interesse della politica per lo sviluppo degli
strumenti di conoscenza dell'ambiente e dell'azione dell'uomo su di esso. L'
importanza degli indicatori settoriali di pressione ai fini dei processi
decisionali delle politiche per la sostenibilità dello sviluppo è sancita a
livello europeo dal Quinto programma di azione, che si articola per settori
(Agricoltura, Industria, Trasporti, Energia e Turismo) e per temi
(Cambiamento del clima, Acidificazione e qualità dell'aria, Protezione della
natura e della diversità biologica, Gestione delle risorse idriche, Ambiente
urbano, Zone costiere, Gestione dei rifiuti).
L'effetto considerevole che hanno le pressioni antropiche nel modificare lo
stato dell'ambiente implica che l'attenzione si concentri in buona misura
proprio su queste. (.) Gli indicatori settoriali di pressione offrono però
informazioni utili sia alla definizione della politica per l'ambiente - si
possono stabilire con riferimento ad essi gli obiettivi da raggiungere - sia
al monitoraggio dell'efficacia (raggiungimento degli obiettivi a livello
macro) delle misure adottate. Opportunamente confrontati con indicatori
relativi ai costi delle misure stesse, essi permettono anche di valutarne l'
efficienza (intesa come rapporto tra costi e benefici delle scelte
effettuate); confrontati con indicatori relativi alle conseguenze sociali ed
economiche delle politiche volte a ridurre le cause del degrado ambientale,
contribuiscono alla possibilità di dare una valutazione complessiva della
situazione e delle politiche.
L'approccio per settori alla costruzione di indicatori delle pressioni è
particolarmente rispondente alle necessità della politica. Da questo punto
di vista l'utilità degli indicatori è infatti tanto maggiore quanto più le
attività raccolte in uno stesso settore sono omogenee rispetto all'influenza
esercitata dalle politiche pubbliche su di esse. I settori, in quanto
insiemi di attività accomunate da relazioni funzionali o da ruoli simili nel
sistema socioeconomico, rispondono tendenzialmente a tale requisito, e
possono essere definiti operativamente in maniera da massimizzare tale
rispondenza, ovvero da avere la minima perdita di informazione possibile a
seguito dell'aggregazione delle pressioni generate da diverse attività.
Inoltre i macrosettori sono molto meno numerosi rispetto ad altre possibili
aggregazioni non totali delle attività (ad esempio, rispetto alle branche di
produzione omogenea). Di conseguenza, gli indicatori relativi ai
macrosettori godono di una minore analiticità, ma a fronte di tale perdita
(più grave per gli scopi scientifici che per quelli politici), essi
risultano molto più facilmente intelligibili e utilizzabili a fini pratici.

fausto giovannelli