areriosclerosi e multinazionali del farmaco.



il manifesto - 23 Giugno 2004


Le nostre arterie da Limone a Pfizer

Le mani di Big pharma sulla proteina «spontanea» che rimuove il colesterolo
Fantastici orizzonti (medici e finanziari) aperti dalla riproduzione
sintetica di un «farmaco» autoprodottosi con mutazioni genetiche spontanee
negli organismi degli abitanti di una piccola e isolata comunità lombarda.
Ma forse anche i modi di vita contano qualcosa...

GABRIELLA ZIPOLI

Un paio di settimane fa i media hanno fatto una «scoperta» sensazionale, e
per un giorno hanno acceso i riflettori sulla «proteina che pulisce le
arterie dal colesterolo». Poi è calato, rapido, il buio del silenzio: ma la
vicenda merita di essere ricostruita. Tanto per cominciare, non è una
vicenda nuovissima, essendo iniziata quasi trent'anni fa: un dipendente
delle ferrovie dello stato, originario di Limone del Garda ma milanese
d'adozione, viene ricoverato in ospedale per normali accertamenti; gli esami
di routine segnalano colesterolo e trigliceridi con valori molto alti, ma il
paziente non presenta alcun segno clinico rilevante, nessun danno evidente
al sistema cardio-circolatorio.

I medici, sbalorditi, decidono di indagare più a fondo. Il mistero viene
svelato all'Istituto di chemioterapia dell'Università di Milano, dove viene
identificata nel sangue del paziente una strana molecola, un'allora
sconosciuta proteina, che viene chiamata «apolipoproteina A-1 Milano». Dopo
cinque anni di ricerche, l'équipe del professor Cesare Sirtori scopre che la
particolarità di quella proteina è dovuta ad una mutazione genetica casuale,
riscontrata anche nel padre e nella figlia del paziente.

Le apolipoproteine sono molecole attive nel metabolismo dei grassi,
catturano cioè il colesterolo fluttuante nel sangue. Le abbiamo tutti. Ma la
felice anomalia scoperta nel ferroviere di Limone sembra responsabile di una
significativa protezione contro lo sviluppo dell'arteriosclerosi e delle
malattie cardiovascolari: grazie alla casuale sostituzione chimica di un
gene, questa proteina è più attiva e libera più rapidamente le arterie dai
grassi, che vengono poi degradati dal fegato.

I ricercatori si mettono sulle tracce di questa mutazione: tutti gli
abitanti di Limone vengono sottoposti ad approfondite indagini ematiche. I
referti sono molto interessanti: un numero notevole di residenti è portatore
del gene che codifica per la proteina «spazzina», nessuno dei portatori
presenta sintomi di cardiopatie precoci e tutti sono decisamente longevi. Le
ricerche proseguono, per mettere in evidenza i fattori ereditari ed
ambientali che possono aver determinato la diffusione del gene. E si scopre
che i portatori sono tutti discendenti da un'unica coppia, Cristoforo
Pomaroli e Cattarina Zito, sposi nel 1752 a Limone.

Mutazione ereditaria

Quella particolare mutazione genetica ereditaria, determinata da favorevoli
quanto casuali condizioni esterne e rimasta per secoli una peculiarità degli
abitanti a causa dell'isolamento geografico, diventa così un caso che
appassiona per anni ricercatori e genetisti di tutto il mondo e che porta a
ricostruire con cura 250 anni di storia di Limone, in un complesso albero
genealogico che vede al momento censiti 40 portatori viventi, ai quali nei
primi mesi del 2004 si sono aggiunti quattro neonati: Amedeo, Ariel,
Giuliano e Jacopo.

La scoperta della proteina «spazzina» è una conquista scientifica con
interessanti possibilità di applicazione: dapprima ci prova il grande
complesso farmaceutico Pharmacia, che però dimentica per anni il progetto
nei cassetti. Dato che la ricerca pubblica riceve sempre meno finanziamenti
e quella privata investe solo se il rischio è ridotto, assistiamo alla
nascita di operazioni spin-off : alcuni ricercatori intraprendenti diventano
protagonisti di iniziative imprenditoriali - più o meno autogestite - per
realizzare alcune idee «personali» concepite per «inventare» nuovi farmaci.
E' quello che fa il prof. Sirtori, autore della scoperta, che nel 1998 negli
Stati uniti con altri ricercatori fonda la società di biotecnologie Esperion
Therapeutics: l'obiettivo è provare l'Apo-A1 Milano come farmaco per il
trattamento di aterosclerosi e problemi cardiovascolari. E ci riesce: la
proteina viene prodotta in laboratorio.

Lo scorso novembre, dagli Usa arriva la notizia che un gruppo di ricercatori
(guidati da Steven Nissen) con l'Apo-A1 Milano ha prodotto un farmaco
sperimentale che, somministrato a 47 pazienti con gravi forme di
arteriosclerosi, ha prodotto un risultato sorprendente: la riduzione del
4,2% della placca lipidica in 6 settimane. Una riduzione che ai profani può
sembrare modesta, ma che rappresenta un accumulo di colesterolo di parecchi
anni e consente di rimandare o addirittura evitare un intervento di by-pass.

Un mese dopo, con l'inesorabile puntualità che accompagna i grandi movimenti
di capitale, il Financial Times annuncia che il colosso farmaceutico Pfizer
sta per acquisire (per 1,3 miliardi di dollari) l'Esperion Therapeutics, che
dal 2004 diventerà una divisione della più grande corporation del biotech.
Nell'aprile 2003 anche Pharmacia era stata assorbita da Pfizer, per 60
miliardi di dollari.

Quando si annulla la concorrenza è perché si è fiutato un buon affare.

Lo studio Nissen, pubblicato su Jama (Journal of the American Medical
Association) alla fine del 2003, è alla base della «Hdl Therapy», una
prospettiva di cura - per il momento ancora a livello sperimentale - che
potrebbe non solo riuscire a ristabilire la salute del paziente (in quanto
molto più efficace di altri farmaci), ma anche essere meno costosa.

La terapia tradizionale per ridurre il colesterolo richiede tempi lunghi e
costi elevati. I farmaci oggi più utilizzati sono le statine, che per altro
hanno alcune serie controindicazioni e per le quali solo in Italia si
spendono circa 400 milioni di euro all'anno. Nel mondo, due soli farmaci di
questa classe (atorvastatina e simvastatina) hanno determinato una spesa
globale annua di oltre 17 miliardi di dollari: questa cifra enorme potrebbe
essere ridimensionata con l'utilizzo della proteina «spazzina», che non solo
ha un effetto sulle coronarie molto superiore a quello indotto dalle
statine, ma potrebbe richiedere un minor numero di accertamenti diagnostici
per verificarne l'efficacia. E per dimostrare questa ipotesi c'è un nuovo
progetto, presentato al ministero dell'Università e Ricerca scientifica (con
accesso al Fondo incentivazione ricerca di base) da un gruppo di lavoro
coordinato dal prof. Sirtori.

Un milione di angiografie

Il progetto propone, tra l'altro, di sostituire la costosa e invasiva
angiografia con la risonanza magnetica, che permetterebbe di valutare
ripetutamente il malato senza interventi «pesanti». E per di più con costi
minori, tenendo conto che nel 2003 negli Usa sono state eseguite oltre un
milione di angiografie coronariche diagnostiche con una spesa complessiva di
15-20 miliardi di dollari, e che nel nostro paese si spendono circa 600
milioni di euro all'anno per accertare la presenza di malattie
cardiovascolari, prima causa di morte nel mondo e responsabili solo in
Italia di 242mila decessi ogni anno.

Fatta la diagnosi, la cura sarebbe centrata su infusioni terapeutiche di
Apo-1 Milano. Il problema attuale è che il nuovo farmaco è un prodotto
biotech difficile da produrre a causa dei costi elevati. Ma è di poche
settimane fa la notizia che la Pfizer ha deciso di investire alla grande su
questo obiettivo, a cui si dedicano a tempo pieno 30 ricercatori. «Il costo
attuale è elevato (intorno ai 15 mila dollari per ciclo di trattamento)», ha
spiegato il prof. Sirtori nel corso di un convegno internazionale tenuto
alla fine di maggio proprio a Limone del Garda; «ma studi in corso sembrano
dimostrare che la proteina funzioni anche in dosi significativamente più
basse di quelle impiegate nelle precedenti osservazioni. Diminuiranno dunque
i costi per il farmaco, senza intaccarne l'efficacia clinica. Presto partirà
una grande sperimentazione internazionale con 5000 pazienti sulla Hdl
Therapy: l'obiettivo è di rendere disponibile il nuovo farmaco a partire dal
2007».

L'interesse della comunità scientifica internazionale si riaccende, e Limone
sul Garda torna alla ribalta guadagnandosi le prime pagine sulle riviste di
tutto il mondo. 987 abitanti sulla riva occidentale del Lago di Garda, in
provincia di Brescia, Limone è sempre stata terra di confine ed isolata dal
mondo, tanto che l'origine del nome del paese viene fatto risalire alla voce
latina limen, confine. Per secoli infatti la località è stata un vero e
proprio confine invalicabile: vi si giungeva solo a piedi per impervi
sentieri montani, oppure in barca dal lago. Non sorprende quindi
l'isolamento genetico, causato dai numerosi matrimoni tra consanguinei che
caratterizzarono la storia del paese fino al 1932, anno in cui fu inaugurata
la Gardesana occidentale. La strada statale, che da Cremona raggiunge
Trento, ha aperto la comunità al resto del mondo, che l'ha da subito
apprezzata per le sue tradizioni agricole e per il clima mediterraneo,
dovuto all'azione mitigatrice del lago. Olivi, limoni e pesce: l'economia
della zona si è tradotta per secoli in una salubre alimentazione, ricca di
acidi grassi insaturi e di vitamina C; quindi non c'è da stupirsi neanche
per la longevità degli abitanti di Limone, che in alta percentuale superano
gli 80 anni.

Di certo l'evoluzione prende strade diverse in funzione anche
dell'isolamento geografico, ma viene da pensare che se riuscissimo a
ripristinare i fattori ambientali che hanno portato all'affermazione
dell'Apo-A1 Milano nella popolazione di Limone del Garda, potremmo rendere
un servizio maggiore alla comunità umana, invece che alle grandi corporation
del biotech.