il governo propone centrali a carbone



Dossier Unità On Line
   Energia

Fra fonti rinnovabili e inquinamento
22.08.2004

La mossa miope del governo italiano che promuove le nuove centrali a carbone
di Giuseppe Onufrio

A fronte di una crescita assai ridotta della produzione di ricchezza tra il
2000 e il 2003 si è avuto un aumento nella produzione di energia elettrica
di oltre il 7% in tre anni e proprio in quest'ultimo anno si registra una
ulteriore tendenza verso l'alto, nonostante i consumi industriali siano
sostanzialmente stabili. Una tendenza concentrata nel settore civile e in
particolare nel terziario.
Se si guarda all'andamento della produzione di elettricità al netto di
perdite e autoconsumi, a partire dal 1990, balza agli occhi la produzione di
elettricità da gas naturale che cresce di 3 volte, e la contrazione dei
consumi dei derivati del petrolio che si dimezza quasi, mentre il carbone
segna una lieve crescita. Nel loro piccolo le fonti rinnovabili, oltre
l'idroelettrico, raddoppiano il contributo e un consistente aumento si ha
anche per le importazioni dall'estero.
Il processo di liberalizzazione del mercato ha avuto rallentamenti e
difficoltà che hanno generato una minore capacità di gestione - si è
smantellato un sistema collaudato senza sostituirlo con un altro di pari
affidabilità - e i blackout dell'anno scorso ne sono stati la conseguenza
più evidente, aggravata, se si vuole, dalla crescita del parco dei
condizionatori (circa 3,5 milioni di pezzi in più negli ultimi 2 anni.
Seppure con un ritardo di due anni, l'approvazione dei decreti
sull'efficienza energetica consente, anche in Italia, l'apertura del mercato
dell'efficienza energetica negli usi finali, il cui potenziale tecnico è
significativo. Nel giro di 5 anni, l'applicazione della norma prevista già
nei Decreti Bersani e Letta, consentirà il risparmio a regime di 1,3 Mtep
per i consumi di gas e 1,6 Mtep per l'elettricità. Questo dovrebbe
consentire di ridurre i consumi al 2008 di circa 7 TWh e, secondo stime
recenti, 12 TWh al 2010. Le potenzialità di risparmio sono notevoli, ma
richiedono cambiamenti complessi del mercato: in linea di principio
occorrerebbe un meccanismo che renda remunerativo il risparmio. Vedremo se
il meccanismo dei certificati bianchi appena nato funzionerà.
Dal punto di vista delle emissioni di gas serra, siamo ben lontani
dall'appuntamento con Kyoto. Ancora con la delibera CIPE del 2002 si
prevedevano interventi che avrebbero portato le emissioni previste al 2010
del settore elettrico in sostanziale stabilizzazione con quelle del 1990 a
circa 125 Mt di anidride carbonica. Il Piano di allocazione nazionale,
disponibile sul sito del Ministero dell'ambiente, va in totale
controtendenza, «regalando» al settore elettrico uno spazio di oltre 30 Mt
di anidride carbonica in più di quelli previsti al 2010. Così, una direttiva
pensata per attivare un circolo virtuoso attraverso lo scambio dei diritti
di emissione - e dunque forzando il mercato verso una maggiore efficienza,
lo sviluppo della cogenerazione e della generazione distribuita e fonti più
pulite - si traduce in un grande spazio che sembra fatto apposta per
aumentare in maniera assai significativa la quota di elettricità da carbone.
Appare una mossa miope. Non solo, per i nuovi impianti il costo
dell'elettrictà da carbone non è più basso di quello da gas naturale,
essendo i costi di investimento delle centrali ultracritiche assai più
elevati di quelli dei cicli combinati a gas. Peraltro l'andamento del costo
del carbone è cresciuto significativamente nel corso dell'ultimo anno,
sfatando il mito del carbone a costi stabilmente bassi.
Gli investimenti in risparmio energetico e in fonti rinnovabili, almeno,
rimarrebbero in buona parte in Italia. Questo Piano di allocazione non potrà
reggere, se in futuro una politica seria per la salvaguardia del clima
globale avrà uno spazio reale. È già successo nella piccola Danimarca: una
centrale a carbone di nuova generazione convertita a gas per raggiungere gli
obiettivi di riduzione delle emissioni.


Dossier Energia: oggi importiamo l'85% del fabbisogno. E domani sarà peggio
di Federico Ungaro

 Con il prezzo del petrolio alle stelle e le tensioni politiche che
colpiscono alcuni tra i principali paesi produttori di petrolio al mondo,
non fa certo piacere sapere che dal punto di vista energetico l'Italia è
ancora fortemente dipendente dalle fonti estere.
Infatti, secondo l'ultimo rapporto energia-ambiente dell'Enea (pubblicato
nel febbraio del 2004) nel 2002 abbiamo importato circa l'84,7 per cento del
nostro fabbisogno: la parte del leone la fanno i prodotti petroliferi (che
riguardano il 54 per cento delle importazioni) seguiti dal gas naturale (30
per cento), combustibili solidi, in particolare carbone, (8 per cento) ed
energia elettrica (7 per cento). I paesi «fonti privilegiate» sono Medio
Oriente e Nord Africa per il petrolio, Algeria e Federazione Russa per il
gas naturale. Una situazione, quella della dipendenza dalle fonti estere,
che colpisce un po' tutta l'Unione Europea. Secondo l'Enea, nel 2030 la
percentuale di energia proveniente dall'esterno del Vecchio Continente
potrebbe salire dal 50 per cento odierno al 70 per cento. Un fenomeno che
richiederebbe maggiori sforzi sia nel settore della diversificazione delle
fonti di approvvigionamento, che in quello dello sviluppo dell'efficienza
energetica e dell'uso razionale dell'energia.
Sempre nel 2002 è risultata essere in calo la produzione di petrolio da
fonti italiane (pari a 5,5 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti su
un totale importato di 107,4 milioni di tonnellate): la produzione nazionale
da tutte le fonti è complessivamente calata del 2,1 per cento rispetto
all'anno precedente (29,8 milioni di tonnellate su un consumo interno lordo
di 186,7 milioni).
Per quanto riguarda invece l'andamento dell'uso delle fonti energetiche e
dei consumi nel medio periodo l'Enea ha previsto che in questo decennio ci
sarà un aumento dell'uso del gas naturale, sia per la produzione di energia
elettrica che per l'uso domestico, una crescita dei consumi elettrici e una
riduzione dell'uso di petrolio in parte sostituito dal carbone, che sta
ritornando ad essere molto più conveniente rispetto all'oro nero.
Da questo punto di vista, è interessante notare come nel 2002 il consumo di
carbone è aumentato del 3,5 per cento rispetto al 2001 (mentre quello di
prodotti petroliferi è calato dello 0,3 per cento) e come nel 2003 il
carbone abbia fatto registrare un picco nel consumo per venire incontro alla
forte domanda di energia elettrica dei mesi estivi, quando i condizionatori
sono stati spinti al massimo per cercare di limitare gli effetti dell'ondata
di calore che si è abbattuta sull'Europa.
Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, i dati pubblicati
qualche giorno fa dal Gestore delle rete nazionale elettrica (Grtn)
evidenziano come questa produzione nel 2003 sia dipesa soprattutto dal gas
naturale, che contribuisce per un valore doppio rispetto al petrolio e agli
altri oli combustibili, cioè circa 112 miliardi di kilowatt/ora contro 61,5
miliardi. Il carbone è al terzo posto con 35,5 miliardi. In diminuzione
invece la produzione di energia idroelettrica, che è stata di 43,6 miliardi
di kilowatt/ora con un calo del 6,4 per cento rispetto al 2002. Un calo
dovuto soprattutto alle condizioni climatiche e alla carenza di
precipitazioni che ha ridotto molti bacini al livello di guardia. Per quanto
riguarda il numero di impianti, in Italia esistono 2005 impianti
idroelettrici, 975 termoelettrici, di cui 34 geotermici, e 119 tra impianti
eolici e fotovoltaici.
Sul fronte dei consumi, invece, a farla da padrone è ovviamente l'industria.
Nel 2003, il consumo è stato di 152.720 gigawatt/ora con un aumento dello
0,9 per cento rispetto al 2002. L'industria meccanica e quella chimica sono
i settori più energivori, insieme al settore energetico e dell'acqua. Al
secondo posto il terziario con un consumo di 76.889 gigawatt/ora (più 7,1
per cento rispetto al 2002): qui i settori che consumano di più sono il
commercio e gli alberghi. All'ultimo posto l'agricoltura, con un consumo di
soli 5162 gigawatt/ora (più 5,6 per cento rispetto al 2002) superata anche
dal consumo domestico che nel 2003 ha toccato quota 65.015 gigawatt/ora con
un aumento del 3,3 per cento.
Da questo punto di vista è interessante notare che l'Italia è tra le potenze
industrializzate quella con i minori consumi procapite di energia elettrica.
In media, ogni cittadino della penisola consuma solo 5017 kilowatt/ora
contro i 5697 del Regno Unito, i 6106 della Germania, i 6633 della Francia,
i 12.040 degli Stati Uniti e i 7598 del Giappone. Una caratteristica questa
dovuta proprio alla nostra dipendenza da fonti energetiche estere, che ha
portato allo sviluppo di comportamenti tendenti al risparmio. Senza
dimenticare, inoltre, il ruolo svolto dal livello di imposte sull'energia
che accresce il peso economico dei consumi energetici sulle famiglie e le
aziende, dal fatto che la penisola è densamente popolata e quindi i
trasporti in media sono meno lunghi e da temperature generalmente miti,
anche se i cambiamenti climatici iniziano a farsi sentire.
Negli ultimi dieci anni però, i consumi totali sono aumentati di circa il 15
per cento contro una media europea di circa il dodici per cento. Cosa che ha
fatto lanciare un allarme a Legambiente. «Invece di ridurre le emissioni di
anidride carbonica come previsto dal Protocollo di Kyoto - dicono gli
ambientalisti - continuiamo a incrementare i consumi senza sviluppare le
energie rinnovabili».
E dal punto di vista dei finanziamenti per la ricerca sulle nuove fonti di
energia, la situazione è tutt'altro che rosea. Dopo un forte impegno
economico negli anni Ottanta, i fondi sono costantemente diminuiti, tanto
che oggi sono circa la metà rispetto al 1990. Le spese pubbliche si
concentrano soprattutto sui settori del nucleare (in particolare fusione
nucleare e sicurezza delle scorie delle centrali a fissione ormai dismesse),
sulle energie rinnovabili (con grandi sforzi sul fotovoltaico) e sulle
tecnologie di accumulo e trasmissione dell'elettricità. Dipendono invece
totalmente da investimenti privati, quelle per l'individuazione di nuovi
giacimenti di idrocarburi e quelle sulla trasformazione e il trasporto del
carbone.