sicurezza ambientale tra percezione e razionalità



da ed.ambiente.it
luglio 2004

La sicurezza ambientale tra percezione e approccio razionale
di Cass R. Sunstein

Quanto "sentiamo di rischiare" prendendo un aereo, camminando per strada,
alimentandoci in un certo modo, vivendo o lavorando in un certo luogo? E
quanto è corretta questa nostra percezione del rischio?
Troppe volte i timori più radicati nell'opinione pubblica sono figli di
atteggiamenti poco fondati, fantasiosi o addirittura basati sulla
superstizione; mentre viene riservata pochissima attenzione agli strumenti
già disponibili che consentono di controllare molti fattori di malattia, di
morte e di deterioramento ambientale, come per esempio gli inquinanti dell'
aria. In altre parole si asseconda lo straordinario potere autosuggestivo
della società per poi trascurare le minacce reali alla sicurezza dell'
ambiente e della salute. Ma una società che alimenta una nozione di rischio
filtrata unicamente dall'autosuggestione trasforma a sua volta se stessa in
fonte continua di rischi.
Con chiarezza e abbondanza di argomentazioni, il testo di Cass R. Sunstein
rivendica la necessità di un'analisi razionale del rischio ambientale, e di
una sua comunicazione corretta al pubblico.
Viene messo in luce un principio elementare ma nel tempo stesso
difficilissimo da applicare: nel gestire il nostro rapporto con l'ambiente è
necessario tenere conto dei costi e dei benefici oggettivi, perché sia
possibile riflettere ciò che la statistica indica come significativa
minaccia per la sicurezza.
Mentre è ovvio che non tutto può essere risolto attraverso valutazioni
puramente quantitative - come sostiene lo stesso Sunstein - è indispensabile
che le scelte politiche e normative si basino su elementi il più possibile
razionali, gli unici in grado di consentire una vera prevenzione senza
sprecare risorse importanti in settori marginali.
Si tratta di un tema fondamentale e spesso sottovalutato della cultura
ambientale moderna, che richiede dibattito sia nell'opinione pubblica sia
fra i policy maker.
Cass R. Sunstein è docente alla University of Chicago e uno dei massimi
esperti americani di protezione ambientale e regolamentazione del rischio. È
autore di molte pubblicazioni per la sua attività scientifica ha ricevuto
numerosi riconoscimenti di prestigio, come il Goldsmith Book Prize. Ha
lavorato come consulente del governo statunitense e di altri governi.


Inquinamento e prevenzione

L'inquinamento dovrebbe essere "prevenuto" o "curato"? In vari ambiti, tra
cui quello sanitario, prevenire sembra meglio che curare: è più economico e
più efficace. Di solito è meglio vaccinarsi contro l'influenza piuttosto che
assumere farmaci dopo averla contratta. Per la maggior parte delle persone,
un'alimentazione adeguata e il giusto esercizio fisico, insieme con l'
astinenza dal fumo, sono provvedimenti molto più opportuni di interventi di
cardiochirurgia o della chemioterapia. Probabilmente la prevenzione dovrebbe
essere l'approccio preferito nel campo dei rischi sociali.

Barry Commoner, scienziato e ambientalista molto noto e le cui idee hanno
influenzato molti ambienti, ha sostenuto che l'approccio normativo ai rischi
esplicato dal governo andrebbe rinnovato, ponendovi al centro il concetto di
"prevenzione". In effetti, il Congresso ha emanato una normativa, chiamata
Pollution Prevention Act, che caldeggia la prevenzione dell'inquinamento. L'
obiettivo della prevenzione in questo campo è quello di assicurare che i
soggetti regolatori fermino l'inquinamento prima che entri nel sistema. Come
esempi reali si considerino l'abolizione del piombo nella benzina, l'impiego
dell'energia solare e la sostituzione di veicoli a benzina con quelli
elettrici. Secondo Commoner e molti altri, un tale approccio è ben più
promettente dei controlli "a valle" imposti dalle tecnologie inquinanti. I
fautori della prevenzione affermano che essa promette riduzioni degli
inquinanti superiori e molto più rapide e che non si avvale di poco
affidabili misure tecnologiche a posteriori.
Quindi Commoner sostiene che "i miglioramenti effettivi sono stati ottenuti
non aumentando i controlli od occultando gli inquinanti, ma semplicemente
eliminandoli. La ragione per cui le concentrazioni di piombo nell'ambiente e
nel sangue dei bambini sono tanto diminuite è che il piombo è stato quasi
completamente abolito dalle benzine. E la ragione per cui il DDT e i
pesticidi da esso derivati oggi sono molto meno presenti in natura e nel
nostro organismo è che il loro uso è stato bandito".

La prevenzione funziona "perché interviene direttamente all'origine del
processo inquinante". Per contro, i controlli portano a "risultati scarsi o
nulli" perché "rappresentano solo un pezzo di un sistema più ampio che può
facilmente controbilanciare la sua apparente efficienza". Per Commoner il
principio generale è che "nell'ambiente non si trova ciò che non vi venga
immesso". Per fare un esemplificazione, egli sostiene che se davvero
vogliamo ridurre le emissioni di ossidi di azoto dalle automobili, dovremo
costruire "motori anti-smog che non ne producano" piuttosto che affidarci ai
convertitori catalitici. Sarebbe facile fare affidamento sull'idea di
prevenzione dell'inquinamento per affermare che in molti contesti i soggetti
regolatori devono andare verso la "prevenzione del rischio". Invece di
gestire i rischi già presenti nel sistema, essi dovrebbero cercare di
eliminare le iniziative e le attività che li generano.

Spesso parlare di prevenzione dell'inquinamento ha senso. L'EPA aveva
ragione nel voler abolire il piombo dalla benzina, così come il governo
americano aveva ragione nel bloccare l'uso dei CFC che contribuiscono alla
distruzione dello strato di ozono. Se l'asbesto è un potente cancerogeno e
se può essere eliminato senza particolari problemi, c'è una buona ragione
per eliminarlo. Ma in qualche caso la prevenzione dell'inquinamento può
essere poco promettente per il semplice fatto che a conti fatti non è
vantaggiosa. Si considerino alcuni esempi. Il miglior modo per prevenire l'
inquinamento provocato da automobili e veicoli pesanti sarebbe eliminare i
motori a combustione interna. Il miglior modo per prevenire l'inquinamento
generato dalle comuni fonti di energia elettrica sarebbe smettere di far
conto sui combustibili fossili utilizzati nelle centrali. Il miglior modo
per prevenire i rischi connessi con la manipolazione genetica delle piante
sarebbe vietarla. Si potrebbe dire all'EPA di mettere al bando i motori a
combustione interna e il carbone? Le leggi nazionali dovrebbero proibire la
modificazione genetica delle piante? Se queste conclusioni possono essere
assurde, come credo che siano, è perché i costi connessi con tali interventi
sarebbero superiori ai benefici. La prevenzione dell'inquinamento non è
valida come tale; lo è quando, avendo considerato tutti gli aspetti
implicati, è migliore delle possibili alternative.

C'è un'ulteriore questione. In molti contesti l'idea di prevenire l'
inquinamento, e più in generale i rischi, è letteralmente paralizzante,
perché nessun approccio potrà davvero "prevenire" l'inquinamento o i rischi.
Se si bandissero i motori a combustione interna bisognerebbe sostituirli, ma
anche le auto elettriche inquinano, soprattutto perché normalmente hanno un
consumo di energia considerevole. Può anche essere che le auto elettriche
siano preferibili dal punto di vista ambientale, ma se lo sono è perché
inquinano meno (e non perché non inquinano affatto), e ciò è ben diverso dal
dire che la "prevenzione" è sempre o generalmente la cosa migliore.
L'argomento più forte a favore della prevenzione dell'inquinamento resta,
alla fine, il bilancio tra costi e benefici. Coloro che raccomandano la
prevenzione pensano a situazioni nelle quali questo approccio implica
notevoli vantaggi e costi modesti. Nel caso dell'eliminazione del piombo
dalla benzina, l'analisi costi-benefici ha fermamente avallato l'approccio
preventivo, dato che i vantaggi sopravanzavano i costi. Lo stesso vale per
il bando dei CFC. Ma laddove il bilancio non dà elementi a supporto di
questo tipo di intervento, la prevenzione sarebbe un errore. Correttamente
interpretata, la prevenzione dell'inquinamento è qualcosa che l'analisi
costi-benefici incoraggia, ma solo in alcuni casi.
Con questo non si vuole assolutamente negare che talvolta le proiezioni
possano implicare un certo grado di congettura e di speculazione. Come si è
potuto vedere, congetture e speculazioni sono la regola piuttosto che l'
eccezione, ma in questi casi un'analisi costi-benefici corretta richiede che
si prendano in esame le varie possibilità. Quello che non è giustificato è
"prevenire" senza aver indagato le conseguenze, positive e negative, della
prevenzione. Ciò che si può dire è che la prevenzione dell'inquinamento
dovrebbe essere considerata una delle opzioni, e in qualche caso può
rivelarsi la più opportuna. Ma se diventa l'approccio generalizzato alla
protezione dell'ambiente, o alla riduzione dei rischi sociali, è ottusa. In
molti contesti può essere letteralmente pericolosa, se non disastrosa.

( di Cass R. Sunstein )

Garantire la giusta informazione sul rischio

Molte persone non si rendono conto dei rischi che corrono nella vita di
tutti i giorni. Spesso i lavoratori non sanno di avere a che fare con
sostanze tossiche sul luogo di lavoro e non ne conoscono i rischi. I
consumatori non sono in grado di valutare i pericoli insiti in alcuni
componenti (grassi, calcio, zuccheri, sale) dei cibi che ingeriscono
normalmente. Questa forma di ignoranza è scontata, soprattutto alla luce
delle difficoltà che la persona comune incontra quando vuole avere
informazioni sui rischi. I meccanismi determinanti di questo fenomeno sono
complessi, ed è molto difficile delinearli con precisione. Spesso i rischi
ci mettono anni a materializzarsi. La suscettibilità individuale varia e i
cambiamenti tecnologici rendono ardua l'impresa di cercare di trarre
insegnamenti dal passato. Spesso alle aziende non viene chiesto di dire
pubblicamente quanto inquinano e con quali possibili rischi. Se avessero
questo obbligo, quasi sicuramente inquinerebbero meno e farebbero meno
danni.
Esistono due importanti ragioni per garantire una maggiore diffusione e
trasparenza delle informazioni sui rischi. La prima è relativa all'
efficienza economica, la seconda chiama in causa la democrazia.

Dal punto di vista economico vi sono parecchi motivi per cui il mercato dell
'informazione può fallire. Per prima cosa l'informazione è un bene pubblico,
nel senso che nel momento in cui è accessibile a tutti diventa anche
patrimonio di tutti (o almeno di molti). La gente può quindi ricavarne i
benefici senza dover pagare per la sua produzione. Un rapporto sui rischi
delle sostanze cancerogene alle quali è esposto il personale di un'azienda
può arrecare grandi vantaggi ai dipendenti, ma nessuno di essi è incentivato
a pagare una quota per la sua realizzazione: ognuno è spinto a "vivere alle
spalle" degli sforzi di altri. Il risultato è che la quantità di
informazione prodotta è troppo scarsa. In generale il ragionamento si
applica anche all'informazione relativa ai rischi condivisi.

Il secondo punto risiede nel fatto che le industrie sono poco incoraggiate a
dare informazioni su quanto producono di pericoloso. La competizione basata
sull'entità dei danni può provocare un calo nelle vendite di un determinato
prodotto piuttosto che un aumento. Nell'industria del tabacco questo
fenomeno ha giocato un ruolo nel frenare la competizione sulla sicurezza dei
prodotti, tuttavia esistono casi in cui le aziende si fanno concorrenza
proprio facendo leva sulla sicurezza di ciò che vendono.
Asimmetrie nell'informazione possono generare il problema per cui prodotti
pericolosi riescono a estromettere dal mercato quelli sicuri. Ammettiamo,
per esempio, che i produttori sappiano quali sono i prodotti sicuri, ma
questa informazione non arrivi ai consumatori. Coloro che vendono prodotti
sicuri non possono essere competitivi se i consumatori non conoscono la
differenza fra il prodotto sicuro, che costa di più, e quello meno sicuro,
che costa di meno. In un caso del genere, il fatto che i clienti non siano
informati fa sì che siano i prodotti più pericolosi a dominare il mercato.
Qui una regolamentazione tesa all'informazione è il rimedio più appropriato,
che può concretizzarsi sotto forma di interventi informativi e di campagne
educative da parte di un governo. Rimedi di questo tipo possono comportare
costi molto alti, ma se funzionano dovrebbero essere supportati sul piano
economico. Possono infatti rafforzare il mercato e rappresentare un
presupposto per renderlo più libero.
Oggi abbiamo una buona quantità di informazioni sulla comunicazione del
rischio e gli studi suggeriscono che è una strategia conveniente. I
lavoratori che accedono a nuove informazioni sui rischi possono reagire
dimettendosi o chiedendo stipendi più alti. E anche i consumatori possono
reagire in modo coerente alla divulgazione dei rischi che corrono
acquistando certi prodotti. In generale, ci sono tutte le ragioni per
pensare che, se ben progettata, la comunicazione del rischio è un meccanismo
efficace per promuovere l'efficienza economica.
Immaginiamo di voler accrescere il carattere democratico di un governo
promuovendo la partecipazione e il controllo sui suoi meccanismi da parte
dei cittadini. Una buona mossa iniziale da parte di un governo potrebbe
consistere nel fornire abbastanza informazioni perché la gente possa
formarsi giudizi consapevoli. Per esempio potrebbe provvedere esso stesso a
dare le informazioni oppure affidare il compito a enti privati o aziende.
Torniamo per un istante alla questione di dover affrontare delle spese per
avere salvate delle vite umane: la popolazione dovrebbe esserne informata. L
'impegno a fornire informazioni sui contenuti e i costi dei programmi di
regolamentazione dovrebbe essere ai primi posti nell'agenda del governo.

Più in generale, le persone sembrano non avere un'idea chiara dei
collegamenti che esistono tra i diversi rischi quotidiani. Questa
inconsapevolezza rappresenta un pesante ostacolo non solo alla realizzazione
di decisioni consapevoli ma anche al senso civico. Il problema è evidente a
livello del settore privato, dei governi locali, e anche a livello
nazionale. Le comunità che cercano di decidere se dare il proprio consenso a
un deposito di rifiuti tossici o a un impianto che libera diossido di zolfo
hanno bisogno di fare scelte informate. Altrimenti si tende a reagire
soltanto sulla scorta di fatti aneddotici e spinte allarmistiche.
(.)
In realtà l'obbligo di dare diffusione alle informazioni è stato uno dei
successi della storia del moderno diritto ambientale. Una delle ragioni è
che i gruppi che si occupano di problemi ambientali, e i media in genere,
tendono a prendere di mira gli inquinatori peggiori, stilando una sorta di
"lista nera dell'ambiente". È probabile che le aziende che finiscono nella
lista si impegnino a ridurre le proprie emissioni e nel frattempo le altre
prendano provvedimenti per evitare di entrare a farne parte.
L'FDA ha adottato anche strategie particolari. Nella sua iniziativa più
ambiziosa in merito ha: (a) imposto l'inclusione delle caratteristiche
nutrizionali (compresi i contenuti in colesterolo, grassi saturi, fibre e
calorie derivanti dai grassi) nelle etichette di tutti i prodotti alimentari
lavorati; (b) richiesto il rispetto dei quantitativi specificati dal governo
per le confezioni; (c) obbligato le aziende a conformarsi alle definizioni
fissate dal governo per i termini standard, come "fresco", "privo" e "basso"
; (d) autorizzato riferimenti alla salute se questi sono supportati da dati
scientifici e forniscono informazioni chiare e complete su ciò di cui
trattano, per esempio sul rapporto tra grassi e disturbi cardiovascolari,
grassi e cancro, sodio e ipertensione o calcio e osteoporosi.
Molti altri statuti che hanno a che fare con la salute, la sicurezza e l'
ambiente ricadono in questa categoria generale. L'Animal Welfare Act è stato
concepito in parte per diffondere le informazioni relative al trattamento
degli animali. I laboratori sono obbligati a presentare al governo rapporti
sulla loro condotta, nella convinzione che questo obbligo scoraggi le
trasgressioni e permetta anche un controllo continuo.
(.)
Queste iniziative sono solo l'inizio. Sono in agenda programmi più ampi e di
portata più vasta che coordinano in generale la comunicazione sui rischi
sociali. È stato suggerito che il governo potrebbe sviluppare un "sistema di
sorveglianza nazionale" comprendente una terminologia standardizzata per le
comunicazioni sui rischi. Il sistema potrebbe applicarsi a tutti i contesti
e a tutti i rischi, e uniformare i concetti relativi ai livelli di rischio.
L'esistenza di un unico linguaggio consentirebbe di valutare i rischi in un'
ampia gamma di settori sociali. Ma l'aspetto principale è che questo sistema
svolgerebbe un ruolo educativo di vitale importanza in grado di integrarsi
con i meccanismi di mercato, oltre a garantire un prerequisito essenziale
della scelta democratica.

( di Cass R. Sunstein )

Rischio percepito e rischio valutato

Gli americani stanno acquistando enormi quantità di maschere antigas, gli
armadietti dei medicinali si stanno riempiendo di antibiotici, e presto ciò
accadrà anche per l'acqua in bottiglia. Molti hanno rinunciato a utilizzare
l'aereo e utilizzano, invece, treni e auto, anche quando si tratta di
attraversare il paese. I newyorkesi, temendo un attacco alla metropolitana,
insistono a guidare l'auto in strade bloccate dal traffico. I medici di
Boston riportano che molte persone, terrorizzate dall'idea di essere state
avvelenate da sostanze tossiche o da germi letali diffusi da terroristi, si
rivolgono a loro per disturbi lievi come raffreddori o mal di gola. Nel
frattempo, da McDonalds e Haagen Dazs gli affari prosperano. Che cosa ci
dice tutto questo del modo in cui le persone rispondono alle minacce alla
loro salute e alle loro vite?

In questo capitolo viene confrontato il comune modo di concepire il rischio
con la legislazione. Il mio obiettivo principale è mostrare come il comune
modo di pensare sia sbagliato, e come questi errori diventino
particolarmente importanti, e pericolosi, nella configurazione di una
politica pubblica. Dimostro come le intuizioni della gente a proposito del
rischio siano altamente inaffidabili, anche se è vero che alcune di queste
intuizioni sono di grande aiuto nella vita di tutti i giorni. Ciononostante,
esse conducono a leggi e politiche inefficaci, persino controproducenti.
Discutendo questo punto porto un nuovo argomento a favore dell'analisi
costi/benefici. Propongo infatti che essa venga considerata come uno
strumento per superare una serie di problemi nel processo di percezione
della realtà, a livello individuale e sociale. L'analisi costi/benefici
dovrebbe essere intesa come un metodo per portare alla luce fatti sociali
importanti che altrimenti sfuggirebbero all'attenzione pubblica e
individuale.

Ammetto che pur accettando queste osservazioni, concordando cioè sul fatto
che la gente sbagli nella valutazione dei rischi, si potrebbe rigettare nel
contempo l'analisi costi/benefici come strumento guida per l'azione
politica. Certamente non intendo fare mia l'idea, tanto controversa quanto
implausibile, secondo la quale tutte le decisioni in materia di
regolamentazione dovrebbero essere prese assicurandosi dai privati la
disponibilità a pagare, come se l'efficienza economica fosse, o dovesse
essere, l'obiettivo di tutte le regolamentazioni. Alla fine cercherò di
proporre un accordo incompletamente teorizzato su una certa idea di analisi
costi/benefici: un accordo su una forma di analisi costi/benefici che molte
persone diverse, con convinzioni differenti e persino opposte, dovrebbero
essere disposte a sottoscrivere. Per i presenti scopi, il punto importante è
che la gente tende a commettere molti errori quando valuta i rischi. Sarebbe
molto importante trovare correttivi, soprattutto facendosi un'idea migliore
delle conseguenze sia dei rischi sia delle misure che si vogliono adottare
per la loro riduzione.
(.)
È ovvio che tutti, compresi i funzionari governativi, spesso non dispongono
di informazioni relative ai rischi. Possono non sapere molto della natura e
dell'entità dei rischi in questione, e non avere idea delle conseguenze a
cui potrebbero portare le misure proposte per ridurli. La richiesta pubblica
di regolamentazioni spesso si basa su un'errata conoscenza dei fatti. Ma
perché le opinioni della gente comune a proposito di rischi e della loro
regolamentazione sono così sbagliate?
(.)
È ampiamente documentato il fatto che le persone tendono a ritenere un
evento più probabile se hanno memoria di ciò può accadere quando questo si
verifica. Per esempio, generalmente le persone di lingua inglese ritengono
che nei libri ci siano più parole che terminano con le lettere "ing" di
quante hanno una "n" come penultima lettera (anche se basterebbe un momento
di riflessione per comprendere che ciò non è possibile).
Per quanto concerne i rischi, i giudizi sono tipicamente condizionati dall'
euristica della disponibilità. Per esempio, il fatto che una persona decida
di sottoscrivere un'assicurazione contro i disastri naturali di
 pende in gran parte dalle esperienze vissute di recente. Se nel recente
passato non si sono verificate inondazioni, è molto meno probabile che le
persone che vivono in zone soggette ad allagamenti sottoscrivano polizze
assicurative. Subito dopo un terremoto, le polizze contro i sismi aumentano
rapidamente, per declinare costantemente man mano che il ricordo dell'evento
svanisce.

( di Cass R. Sunstein )

Effetto di proporzionalità e valutazione separata

Si supponga che 200 milioni di persone siano esposte a un rischio
statisticamente piccolo, tale per cui un intervento governativo salverebbe
solo una piccola percentuale di quei 200 milioni: poniamo, una su un
milione. Ora si supponga che 1.000 persone siano esposte a un rischio
statisticamente grande, tale che l'intervento del governo potrebbe salvare
una percentuale significativa di quelle mille: poniamo una su cento. L'
evidenza suggerisce che la gente tende a favorire il secondo intervento
rispetto al primo: le persone "sono più preoccupate della proporzione del
rischio che del numero di persone aiutate". Riflettendoci, appare chiaro che
questa intuizione non è facilmente difendibile. Nei casi citati, infatti, il
primo intervento salverebbe 200 vite, il secondo solo 10. In base a quale
teoria il governo dovrebbe optare per il secondo? Non è facile rispondere a
questa domanda, ma è un fatto che le persone generalmente si focalizzano
molto meno di quanto dovrebbero sul numero assoluto di vite salvate, mentre
tendono a vedere con favore ciò che può salvare una grande proporzione di
persone della popolazione considerata. L'effetto di proporzionalità sembra
spiegare il fatto che le persone sono disposte a pagare cifre enormi per
proteggere vittime identificabili, come un bambino intrappolato in un pozzo,
ma molto meno per proteggere "vite statistiche", come quando cento o più
persone, non identificabili a priori, possono morire come risultato dell'
esposizione a un cancerogeno.

In un importante studio sull'effetto di proporzionalità si chiedeva alle
persone quanto fossero disposte a pagare per ridurre i rischi esistenti del
20%, e si confrontavano le risposte con l'effettiva politica del governo. Il
risultato è che sia i numeri assoluti sia la proporzionalità sono
importanti, e che le intuizioni delle persone sono in sintonia con le scelte
dei governi. Come si poteva prevedere, lo studio trovò che la gente è
disposta a spendere di più per ridurre i rischi di maggiore entità. Per
esempio, la disponibilità media a pagare era di 161 dollari per ridurre del
20% i 10.000 decessi annuali per incidenti stradali, mentre era di solo 46
dollari per ridurre del 20% i 40 decessi annuali per incidenti aerei. Allo
stesso tempo però, l'effetto di proporzionalità gioca un ruolo importante,
come dimostra il fatto che la disponibilità a pagare, per vita salvata, è
molto più alta per i rischi più piccoli, visto che la tendenza nazionale è
di pagare 103 milioni di dollari per vita salvata nel contesto dei disastri
aerei, ma solo di 1,3 milioni di dollari per gli incidenti automobilistici.
Ciò è quanto emerge dai sondaggi, ma sulle spese effettive del governo si
evidenzia lo stesso effetto. Il governo non destina le risorse in modo da
salvare più vite possibile, ma dimostra una tendenza a pagare molto di più,
per vita salvata, quando il rischio riguarda una fetta relativamente piccola
di popolazione.

Naturalmente, qui ci sono alcuni elementi di complessità: le pressioni dei
gruppi di interesse, e non mere intuizioni, rappresentano un fattore
importante nelle scelte governative. Quando una piccola parte della
popolazione affronta un rischio, può essere ben organizzata e in una
posizione tale da esercitare una forte pressione per ottenere l'aiuto del
governo. Inoltre, può essere in gioco un fondamentale principio morale, e
non solo una confusa intuizione. È ragionevole ritenere che il governo debba
prendersi cura non solo del numero totale di persone a rischio, ma anche del
pericolo statistico a cui è esposta una particolare popolazione. Forse
ognuno ha diritto, in circostanze normali, a non essere esposto a un rischio
di morte di, diciamo, 1 su 100. Forse è molto peggio per 10.000 persone
affrontare un rischio letale di 1 su 100 piuttosto che per 2 milioni di
persone affrontare un rischio di morte di 1 su 100.000, anche se nel secondo
caso un numero maggiore di persone morirebbe.

Non intendo risolvere qui queste difficoltà teoriche; l'unico punto è che l'
effetto di proporzionalità sembra agire come un'intuizione automatica e
irriflessiva, e quasi certamente contribuisce a generare politiche che
nessuno, dopo un'adeguata riflessione, sarebbe disposto a sostenere. Il
vantaggio principale dell'analisi costi/benefici è che promuove un'autentica
riflessione, indirizzando l'attenzione ai numeri reali e assicurando che, se
realmente le persone non vogliono aumentare il numero di vite salvate,
almeno sappiano che questo è proprio ciò che stanno facendo.
(.)
Supponete che vi si domandi, senza fare riferimento a nessun altro problema,
quanto siete disposti a pagare per proteggere le barriere coralline da
determinati rischi. Ora supponete che vi si chieda, senza fare riferimento a
nessun altro problema, quanto siete disposti a pagare per proteggere gli
anziani dal cancro della pelle. Infine, supponete che vi si pongano entrambe
le domande contemporaneamente. L'evidenza empirica indica che le risposte
delle persone a queste domande, considerate separatamente, sono molto
diverse da quelle fornite quando viene loro richiesto di operare confronti
tra categorie diverse. Quando gli individui valutano le questioni
separatamente fanno riferimento ad altri problemi appartenenti alla stessa
categoria di base, e questo processo intuitivo è drammaticamente alterato
quando viene loro esplicitamente richiesto di valutare questioni
appartenenti anche ad altre categorie. Il risultato della valutazione delle
singole questioni, prese individualmente, è ciò che le stesse persone
considererebbero una forma di incoerenza.

( di Cass R. Sunstein )

Chi sbaglia nella valutazione del rischio?

Il persistente divario tra esperti e opinione pubblica in materia di
valutazione dei rischi solleva alcune delle questioni più interessanti di
tutta la scienza sociale. Per capire queste dispute si possono distinguere
due approcci: quello tecnocratico e quello populista. I buoni tecnici
ritengono che la gente comune sia spesso male informata, e che obiettivo di
chi mette a punto le regole sia seguire la scienza, non l'opinione popolare.
Dal loro punto di vista, la questione centrale è che cosa dimostrano
realmente i fatti: se l'opinione pubblica sbaglia nelle sue valutazioni, è
sufficiente educarla per evitare che persista nei suoi errori. Naturalmente,
i tecnici riconoscono che spesso la scienza presenta diverse lacune e che,
quindi, un programma d'azione adeguato non può dipendere solo da essa, ma
sottolineano che i fatti sono quasi sempre la chiave e, in questi casi, il
governo deve seguire l'evidenza piuttosto che le opinioni popolari. D'
altronde, insistono i tecnici, basta informare correttamente le persone per
far sì che la maggior parte di esse si faccia un'idea chiara di ciò che va
fatto.

Da parte loro, i populisti tendono a non dare fiducia agli esperti e a
pensare che in una democrazia il governo debba seguire la volontà dei propri
cittadini piuttosto che quella di un'élite tecnocratica auto-nominatasi.
Secondo questo punto di vista ciò che conta, per la legge e per la politica,
sono i reali timori della gente, non ciò che gli scienziati, con i propri
giudizi - inevitabilmente fallibili - suggeriscono di fare. I populisti sono
convinti che una genuina caratterizzazione dei rischi implichi una serie di
giudizi normativi. Gli esperti prendono in considerazione il numero delle
fatalità, ma potrebbero altrettanto facilmente scegliere misure alternative,
come il numero di anni di vita o la percentuale di persone a rischio o,
ancora, la percentuale di popolazione esposta a un pericolo. Dal punto di
vista populista, non esistono rischi "esterni": qualsiasi valutazione di
rischio ha un carattere più soggettivo che oggettivo. Se quelli degli
esperti sono inevitabilmente giudizi di valore, allora è ragionevole
utilizzare l'opinione popolare come ingrediente fondamentale nella
formulazione di leggi e strategie di intervento. Per i populisti, le
intuizioni comuni hanno forza normativa e meritano di essere tenute in
debito conto in un contesto di democrazia.

Per capire meglio la fonte di queste divergenze sarebbe bene avere un'idea
più chiara di che cosa, esattamente può originarle. Sui due gruppi gravano
forse dei condizionamenti? È verosimile che, come ho suggerito finora, le
intuizioni riflettano valutazioni sbagliate dei fatti? O rispecchiano invece
degni giudizi di valore? Una volta risposto a queste domande rimarranno
aperti altri problemi, e si porrà la questione di che cosa si dovrebbe fare
di fronte a discrepanze significative. Forse ciò che conta non è tanto se le
persone hanno ragione sui fatti, ma quanto ne sono impaurite. Forse la gente
comune ha una sorta di "solida" razionalità degna, a suo modo, quanto quella
degli esperti. Certamente gli esperti possono avere i propri condizionamenti
e le proprie priorità. Forse, la vera questione è come accrescere il ruolo
del pubblico nella regolamentazione del rischio in maniera tale che il
governo risponda alle sue preoccupazioni.

Per merito di alcuni studi molto noti oggi è piuttosto diffusa l'opinione
che gli esperti sbaglino e che la gente comune sia nel giusto. Secondo
questo punto di vista la gente comune dispone di un tipo di "razionalità
antagonista", molto "più ricca" e migliore di quella degli esperti. Riguardo
ai rischi, la "razionalità antagonista" della gente comune renderebbe
sensati i suoi giudizi. Se le persone temono molto i pesticidi, ma non
altrettanto l'inquinamento indoor, è perché esprimono valutazioni
qualitative di rischi diversi. Giudizi qualitativi che, si sostiene,
meritano rispetto.
Credo che questa opinione, molto popolare, pecchi di eccessivo semplicismo.
Quando non c'è accordo, infatti, in genere hanno ragione gli esperti, non la
gente comune. Di sicuro gli esperti hanno più spesso ragione delle persone
comuni. Quando queste commettono degli errori ciò accade in genere per tre
ragioni, che ora ci sono diventate familiari: perché si affidano a
scorciatoie mentali, perché sono vulnerabili a influenze sociali che le
portano fuori strada e perché non considerano i compromessi. Come regola
generale, le persone desiderano ridurre i rischi più gravi, ma la gravità di
un rischio è misurata statisticamente, e il pubblico non sa come "prendere"
tali misure. In tali casi un giudizio intuitivo, rapido, funziona come
sostituto di un'analisi più attenta.
(.)
Esistono differenze qualitative tra rischi statisticamente identici. Le
persone spesso affermano di temere particolarmente alcuni tipi di morte,
come quelle per cancro e AIDS. Per molti è meglio una morte rapida,
tranquilla, nel sonno. Se ogni morte è un male, alcune sembrano peggiori di
altre.

Idee di questo genere aiutano a capire i diversi modi in cui i governi
affrontano rischi diversi. Le persone non sempre sono soggette a euristiche
fuorvianti o a influenze sociali in grado di indurre in errore individui
altrimenti ragionevoli; anche la scarsa considerazione dei compromessi non
sempre è il nocciolo della questione. Il fatto che la gente consideri alcuni
tipi di morte particolarmente ripugnanti ha diverse conseguenze sulla
selezione dei prodotti da parte dei consumatori, sulle scelte occupazionali,
sugli stili di vita e sulle regole stabilite dai governi. Se le morti per
incidenti automobilistici implicano sofferenze minime, e suscitano
relativamente scarse preoccupazioni presso il pubblico, gli industriali dell
'auto e i regolatori subiranno pressioni analogamente meno intense per
rendere le auto più sicure. Se, al contrario, le morti per AIDS e quelle per
incidenti aerei sono particolarmente temute, possiamo prevedere una forte
richiesta di programmi di prevenzione dell'AIDS e di normative severe per le
compagnie aeree. Il governo dovrebbe impegnare risorse addizionali nella
prevenzione dei rischi e delle morti che più preoccupano l'opinione
pubblica.
In effetti, le persone comuni sono particolarmente sensibili a taluni
fattori "qualitativi" che aggravano alcune morti, e in questo capitolo
dimostrerò come tali preoccupazioni aiutino a spiegare alcune anomalie nelle
attuali politiche legislative dei governi. In particolare, ci sono quattro
fonti di turbamento dell'opinione pubblica che giocano - ed è giusto che sia
così - un ruolo nelle politiche di normazione: (1) pericoli accompagnati da
dolore e sofferenza inusuali, (2) rischi concentrati in gruppi socialmente
svantaggiati, (3) rischi difficili da evitare se non a prezzo di costi molto
elevati e (4) rischi che producono esternalità straordinariamente pesanti,
sotto forma di "effetti ad ampio raggio", su persone che non sono
direttamente coinvolte.

( di Cass R. Sunstein )

Funzionari pubblici e gruppi di interesse

L'analisi di una qualunque sollevazione del pubblico che sia capace di
stimolare risposte politiche e legali ai rischi percepiti deve tenere conto
di due serie di influenze. La prima consiste negli effetti che le variabili
sociali hanno su quelle personali. La variabile sociale di maggiore
interesse qui è il discorso pubblico, ossia l'insieme di opinioni, idee e
informazioni espresse in pubblico e che gli individui utilizzano per
saggiare ciò che gli altri pensano o vogliono. Anche le iniziative normative
e la promulgazione di leggi, compresi i provvedimenti presi dalle singole
istituzioni, hanno rilievo: una legge che regolamenta le discariche di
rifiuti tossici può convincere la gente che le discariche costituiscono un
problema serio. Questo complesso di influenze crea un processo circolare. I
discorsi pubblici forgiano i giudizi individuali sui rischi, sulla loro
rilevanza e sulle politiche necessarie per contrastarli; dal canto loro, le
variabili individuali così modificate trasformano il discorso pubblico che
ha contribuito alla loro stessa trasformazione.

A rigor di logica, una caratteristica privata come è la percezione
individuale del rischio associato alla fuoriuscita di sostanze chimiche, è
nota soltanto alla persona che la prova. A causa della sua visibilità, la
trasformazione di una variabile pubblica può avere effetti improvvisi e
diretti sulle convinzioni e sulle predisposizioni individuali. Se un
articolo di giornale suggerisce che l'acqua erogata non è sicura, migliaia
di lettori possono immediatamente sentirsi minacciati. Al contrario, gli
effetti immediati delle variabili private sono necessariamente limitati. Se
un funzionario pubblico, studiando i rapporti scientifici su una discarica
di rifiuti, si convince che le preoccupazioni sono ingiustificate, questa
consapevolezza di per sé non ha alcun impatto sull'informazione accessibile
ai residenti preoccupati. Solo quello che il funzionario afferma in pubblico
è in grado di condizionare la percezione dei residenti.

Ciò che affermano i funzionari pubblici riveste una particolare importanza,
anche perché questi soggetti si rivolgono contemporaneamente a molte
persone. Anche tali affermazioni vanno soggette alle influenze sociali, dal
momento che gli stessi funzionari sono soggetti al controllo pubblico. I
funzionari pubblici sanno che potrebbero essere severamente sanzionati se
sminuissero rischi percepiti come seri o se, al contrario, richiamassero l'
attenzione su pericoli ritenuti insignificanti. Di fatto, le opinioni
espresse da un pubblico ufficiale possono differire da ciò che egli pensa
realmente e che può confidare a un amico. Per evitare accuse di
insensibilità, o per evitare di essere costretto a giustificare una
posizione impopolare, un funzionario o un rappresentante pubblico potrebbe
fare discorsi e promuovere politiche che esprimono una profonda
preoccupazione per una presunta fonte di pericolo che egli in realtà ritiene
innocua. Oppure, quello stesso ufficiale potrebbe rassicurare il pubblico,
affermando che il rischio posto dal terrorismo è minimo, anche se
personalmente non ne è affatto sicuro o ne è addirittura molto allarmato.
Così come un pubblico ufficiale adegua i propri pronunciamenti pubblici al
fine di proteggere la propria reputazione, allo stesso modo possono
comportarsi gli altri individui che contribuiscono alle attività e ai
discorsi pubblici.
(.)
Per i gruppi di interesse privati è estremamente utile sfruttare le forze
sottostanti, ad esempio richiamando l'attenzione su determinati esempi o
avvenimenti, e incoraggiando la discussione tra individui del medesimo
orientamento. Spesso la posta, in termini monetari, implicata nella
regolamentazione del rischio è molto alta e interessi egoistici, inclusi
quelli delle grandi aziende, alimentano l'apprensione del pubblico
enfatizzando i pericoli posti dai prodotti dei concorrenti. (.)

Richiedendo regole per l'uso dei telefoni cellulari nelle auto, gli
attivisti hanno enfatizzato soprattutto particolari tragedie, non l'evidenza
statistica. In effetti, questo fenomeno è piuttosto generale. Nel tentativo
di attaccare i risarcimenti di danni accordati dai tribunali, le grandi
aziende hanno puntato su casi particolari di risarcimenti evidentemente
assurdi, come quello multimilionario imposto a MacDonald's per compensare
delle bruciature provocate da una tazza di caffè bollente (con ciò,
ovviamente, non si vuole negare che i risarcimenti danni non creino
problemi, anche perché i giurati sono soggetti a quei problemi cognitivi di
cui si è ampiamente parlato. Persone che hanno qualche conoscenza delle
dinamiche delle cascate di disponibilità - e che cercano di sfruttarle -
possono essere considerate imprenditori della disponibilità. Presenti
ovunque nel sistema sociale - nel governo, nei media, nelle organizzazioni
non profit, nel mondo degli affari e, persino, nelle famiglie - questi
imprenditori cercano di innescare le cascate di disponibilità, con tutta
probabilità per i propri scopi personali. Lo fanno indirizzando l'attenzione
delle persone su problemi specifici, interpretando i fenomeni in modi
particolari, promuovendo la polarizzazione di gruppo, cercando di accrescere
la rilevanza di talune informazioni, incoraggiando punti di vista favorevoli
alle loro opzioni preferite e scoraggiando i punti di vista sfavorevoli. Una
volta innescate da gruppi con interessi finanziari o ideologici nelle
politiche di controllo, le pressioni sociali possono crescere grazie al
contributo più ampio della popolazione. Per questa ragione, tali gruppi
offrono benefici reputazionali a coloro che sostengono specifiche posizioni
e impongono costi reputazionali a coloro che le contrastano. Essi fanno sì
che gli individui appaiano altruisti o egoisti, onesti o corrotti, a seconda
delle preferenze e delle opinioni che esprimono.
Le risultanti campagne di disponibilità producono spesso benefici sociali in
quanto vincono il torpore della società e alimentano dibattiti su questioni
sociali da tempo presenti ma raramente affrontate; si ripensi ai rischi
associati al fumo di sigaretta e ai tumori della pelle causati dall'
esposizione al sole. Allo stesso tempo, le campagne di disponibilità
producono gravi danni alimentando la diffusione di errori di disponibilità.
Come vedremo, questo pericolo sottolinea la necessità di strumenti di
salvaguardia istituzionali ideati per assicurare una migliore scala di
priorità e un utilizzo più pieno delle conoscenze scientifiche.
Si può immaginare, allora, che quando viene data notizia di una fuoriuscita
di rifiuti, giornalisti che mirano a uno scoop che li può rendere famosi, o
politici che puntano a irrobustire le proprie credenziali ambientaliste,
comincino ad accusare l'industria responsabile. Cogliendo l'opportunità di
apparire "virtuose", le prime persone che assistono all'avvio di questa
campagna si associano alle denunce. Così facendo, esse accrescono il volume
delle critiche: ciò rende altre persone consapevoli delle trasformazioni in
atto nella pubblica opinione. Queste si uniscono al coro di critiche per
rafforzare la propria reputazione, il che accresce ulteriormente il volume
di critiche: in tal modo la campagna accusatoria cresce attraverso una
cascata reputazionale. La cascata completa il suo corso quando la notizia
della campagna ha raggiunto chiunque abbia sufficientemente a cuore la
tutela della propria reputazione.

( di Cass R. Sunstein )