liquidazione e pensioni che fare



da corriere.it
lunedi 21 giugno 2004

Emergenza pensioni

E io la liquidazione me la tengo stretta

Un italiano su due contrario a usare il Tfr per finanziare la rendita di
scorta. E l'86% non sa che presto dovrà decidere sul da farsi

L a nuova riforma della previdenza integrativa? Quasi sconosciuta: l'86%
degli italiani, infatti, non ne ha mai sentito parlare o la conosce solo di
striscio. Il Tfr? Macché investirlo nei fondi pensione, meglio tenerselo
come scialuppa di salvataggio in caso d'improvvisi problemi finanziari. O
per avere un capitale sicuro quando si andrà in pensione. La pensa così un
italiano su due. Sono questi i clamorosi risultati di un sondaggio condotto
per conto di Corriere Economia da Cra, Customized Research & Analysis, uno
dei principali istituti italiani di «ricerche ad hoc» (ex A. C. Nielsen
Cra). L'indagine, condotta nelle prime settimane di giugno, ha coinvolto
4.400 soggetti rappresentativi dei 47.130.907 italiani con più di 18 anni di
età.
Questa grande freddezza di rapporti tra italiani e previdenza integrativa
dovrebbe far riflettere governo, partiti, forze sociali. E, soprattutto, il
Parlamento che, tra qualche settimana, si appresta a dare il via libera
definitivo alla legge delega di riforma del sistema previdenziale, quella
che dal 2008 abolisce di fatto le pensioni di anzianità.
Punto fondamentale di questo provvedimento, però, è anche la norma che
prevede, tramite un meccanismo di silenzio assenso, la devoluzione del Tfr
(il Trattamento di fine rapporto, la liquidazione) ai fondi pensione. Una
disposizione fondamentale per far decollare definitivamente la previdenza
integrativa in modo da parare i tagli di quella pubblica. Una partita,
quella del Tfr, di grande rilievo se si pensa che gli accantonamenti annui
ammontano a qualcosa come 12 miliardi di euro e che nei piani di Roberto
Maroni, ministro del Welfare, per il 70/80% dovrebbero confluire nella
previdenza integrativa. Ma a giudicare dai dati del sondaggio questa
migrazione in massa sembra, almeno per il momento, alquanto improbabile.
In base al testo della legge delega, entro sei mesi dalla sua approvazione
(che dovrebbe avvenire prima della pausa estiva) tutti i lavoratori
dipendenti dovranno decidere cosa intendono fare dei futuri accantonamenti
del Tfr. Sei mesi sembrano drammaticamente pochi per riuscire a informare in
modo preciso e dettagliato milioni di lavoratori su questa rivoluzione. E,
soprattutto, per convincerli a rinunciare ai nuovi accantonamenti del Tfr
per investirli nei Fondi pensione o nelle polizze pensionistiche.
La fotografia dell'attuale disamore degli italiani per la previdenza
integrativa è riassunta nei sei grafici qui sopra. E allora vediamo di
analizzarlo nei particolari.

INFORMAZIONE - La prima domanda era molto semplice. E' a conoscenza del
provvedimento in discussione al Parlamento che prevede il trasferimento,
volontario, della liquidazione ai fondi pensione? Solo il 14% degli italiani
ha risposto convinto: «Sì. E so precisamente di che cosa si tratta». Lo
zoccolo duro della previdenza integrativa è composto da poco più di sei
milioni e mezzo di italiani. Sono quasi 18 milioni, invece, quelli che della
riforma hanno sentito parlare, ma non sanno bene dire che cosa prevede. E l'
esercito di chi ignora completamente il problema è composto da 22.622.000
persone. Quasi un italiano su due. Sommando chi non conosce nulla, e chi sa
qualcosa di sfuggita, arriviamo a quasi 40 milioni e mezzo di individui, l'
86% della popolazione attiva, quella con più di 18 anni.
Una piccola consolazione la si può trovare andando a vedere come si
ripartiscono, in base all'età, gli italiani aggiornati e informati. La
concentrazione massima si ha tra i 25 e i 34 anni (17%), proprio la fascia
più interessata al problema visto che la futura pensione pubblica sarà
estremamente bassa. I condannati alla mezza pensione, insomma, ne sanno
qualcosa più degli altri anche se 4 giovani su 5 ignorano tuttora il
problema.
«Dal sondaggio emerge che, in genere, chi è più informato più condivide l'
obiettivo della riforma - sottolinea Giovanni Somaini partner di Cra -. E'
solo aumentando l'informazione e la consapevolezza dei lavoratori che si può
favorire il decollo della previdenza integrativa. Mi chiedo, quindi, se il
meccanismo del silenzio assenso sia il più adatto a questo scopo».

LA SCELTA - La seconda domanda - posta agli italiani con età inferiore a 65
anni, consapevoli o no di che cosa bolle in pentola - aveva l'obiettivo di
capire il grado di consenso sul trasferimento delle nuove quote annuali di
Tfr ai fondi pensione (la parte maturata finora resta come liquidazione). E
qui c'è l'ennesima doccia gelata per il progetto del governo. Il 49% degli
italiani è poco o per niente d'accordo su questo trasferimento volontario. I
convinti sono solo il 18%, mentre un terzo della popolazione non ha ancora
un'idea precisa. La consistenza del partito del non voto è preoccupante se
si pensa che si sta parlando del futuro previdenziale di milioni di persone.
Anche in questo caso il massimo di adesione si ha tra le classi d'età più
interessate al problema: quelle tra i 25 e i 34 anni (il 21% verserà il Tfr
ai fondi pensione) e tra i 35 e i 44 anni (lo farà il 19%).
Ma perché gli italiani vogliono tenersi stretta stretta la liquidazione? Due
le motivazioni principali: il 64% di chi non è d'accordo sul trasferimento
alla previdenza integrativa sostiene che il Tfr è un bene individuale e
ognuno deve essere libero di farne ciò che vuole. Il 41% perché quando andrà
in pensione vuole avere un capitale di cui disporre liberamente. Una
motivazione comprensibile se si pensa che il montante accumulato con i fondi
pensione può essere ritirato in unica soluzione solo fino a un terzo (si può
salire al 50% ma con penalizzazioni fiscali).
I fan del matrimonio tra liquidazione e fondi pensione motivano, invece, la
loro scelta per due ragioni: il 72% perché pensa che investendo la
liquidazione si avrà un reddito più alto al momento della pensione, il 33%
«perché è meglio investirla che lasciarla lì a fare niente». Va ricordato,
però, che il Tfr si rivaluta annualmente in misura pari al 75% del tasso d'
inflazione più un punto e mezzo. Oggi come oggi, quindi, del 3,45% l'anno. E
si tratta di un rendimento garantito. L'esperienza dimostra, poi, che il Tfr
rappresenta, a livello di rendimenti, un rivale assai ostico per i fondi.
Non bisogna però credere che gli italiani sottovalutino del tutto l'
emergenza pensioni: il 43% pensa che sia necessario investire in previdenza
integrativa, mentre solo il 16% non condivide questa esigenza (il 41% non ha
un'opinione precisa). Sono quasi 16 milioni gli italiani che mettono tra le
loro priorità la pensione di scorta, ma, finora, solo 4.830.000 sono passati
dalle parole ai fatti, cioè si sono iscritti a un fondo. «Siamo nell'ambito
del vorrei ma non posso - sottolinea Somaini -. La gente è alle prese con il
budget familiare che spesso non basta per arrivare a fine mese. Fatica a
pensare al futuro perché il presente è già impegnativo. Pensa che la scelta
si possa rinviare, il problema della pensione si porrà tra parecchi anni».
Un altro aspetto interessante riguarda l'individuazione del partner ritenuto
più affidabile a cui affidare il Tfr e i propri investimenti. Vincono i
fondi di categoria, quelli dove anche le organizzazioni sindacali, e i
datori di lavoro, possono dire la loro. Vota per i fondi contrattuali il 16%
degli italiani di età compresa tra i 18 e i 64 anni. I fondi aperti - quelli
promossi da assicurazioni, sgr, banche - piacciono all'11%. Ultimi arrivano
i piani pensionistici individuali, anche questi promossi dagli intermediari.
Da notare, però, che il 64% del campione non ha un idea precisa in merito.
«I risparmiatori sembrano disorientati, non hanno gli strumenti per
decidere - sottolinea Somaini -. La preferenza per i fondi di categoria non
si basa su motivazioni economiche. Fa premio il fattore rassicurazione
perché i soldi saranno gestiti da persone vicine, che si conoscono. Inoltre
si pensa che ci sarà una tutela delle organizzazioni sindacali».
Uno dei punti chiave della riforma - e che ha creato non poche discussioni e
polemiche - è l'assoluta libertà di scelta concessa ai dipendenti che
potranno devolvere, a loro piacimento, il Tfr e i contributi a un fondo di
categoria, a un fondo aperto o ai piani individuali. Una deregulation che
non sembra interessare più di tanto gli italiani. Si tratta, almeno per il
momento, di una battaglia d'avanguardia. La vera emergenza, purtroppo, sta
da un'altra parte: far capire ai dipendenti che le pensioni pubbliche sono a
rischio. E che se sul piatto non si mette anche il Tfr, la vecchiaia sarà
poco tranquilla. Vivere a mezza pensione non è uno slogan. Se non si
interviene sarà una drammatica, inevitabile realtà.

Massimo Fracaro

Sei mesi di tempo per ipotecare il futuro

Tre strade per il nuovo Tfr. La riforma approvata al Senato, ora all'esame
della Camera, introduce il meccanismo del silenzio-assenso per l'utilizzo
del Trattamento di fine rapporto ai fini di costituire una pensione di
scorta. Entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, o
dall'assunzione, ogni dipendente dovrà scegliere tra tre alternative:
dichiarare esplicitamente «la volontà di non aderire ad alcuna forma
pensionistica complementare». In questo caso i nuovi accantonamenti del Tfr
dovrebbero continuare a restare presso il datore di lavoro ai fini della
liquidazione. Tutto come prima, quindi (anche se nella delega questo non
viene detto in maniera esplicita);

il lavoratore può indicare liberamente il fondo pensione, di categoria e
non, al quale destinare i nuovi accantonamenti annuali del Tfr (e i
contributi individuali e quelli del datore di lavoro se c'è un accordo in
questo senso). E' stata, infatti, eliminata l'esclusiva per i fondi chiusi,
cioè aziendali o di categoria. Quindi si potrà trasferire il Tfr anche in un
fondo aperto o in piano pensionistico individuale;

il lavoratore non dice nulla. In questo caso, trascorsi sei mesi, il Tfr
finisce automaticamente al fondo di categoria, oppure a «fondi istituiti o
promossi dalle Regioni», o al proprio ente previdenziale. E' prevista,
infatti, la possibilità di costituire, presso gli istituti di previdenza
obbligatoria, come l'Inps, fondi pensione complementari ai quali saranno
destinate in via residuale le quote del Tfr non altrimenti devolute (cioè
quelle dei lavoratori silenti e senza cassa di categoria).
La norma potrebbe però essere rivista. Molti, infatti, non ritengono
opportuno che gli enti previdenziali si occupino, oltre che della rendita
base, anche di quella integrativa.