innovazione tecnologica il garante accerchiato



da repubblica.it

23 Giugno 2004

La tecnologia ingovernabile

di Stefano Rodotà
la Repubblica 22/06/04

Come dev´essere scritto un programma politico (non elettorale) che voglia
davvero tener conto delle forze potenti che stanno mutando il volto delle
nostre società? Le innovazioni scientifiche e tecnologiche ridisegnano il
mondo, hanno imposto a tutti la consapevolezza della sua dimensione globale,
dettano già nuovi ritmi e regole all´economia, cambiano le modalità
dell´agire politico, incidono sulle relazioni sociali, mutano la stessa
percezione che abbiamo di noi stessi. Delineare scenari senza tenerne conto
significa amputare la realtà della sua componente più ricca e problematica,
indebolendo così qualsiasi ipotesi o proposta politica.
Le risposte ingenue o frettolosamente entusiaste cominciano ad essere alle
nostre spalle. Non si parla più di dare un computer ad ogni studente, o
addirittura ad ogni cittadino, come della bacchetta magica che avrebbe
aperto a tutti le porte delle nuove tecnologie. La riflessione sulla
democrazia elettronica è ormai ben consapevole dei rischi del populismo, ed
a nessuno viene oggi in mente di seguire la strada indicata nel "contratto"
proposto agli americani da una meteora politica, Newt Gingrich, che
annunciava la fine del parlamento e la sua sostituzione con un "Congresso
virtuale", costituito da tutti i cittadini che, grazie all´elettronica,
avrebbero potuto votare su ogni questione. Da dove cominciare, però?
Consiglierei di partire dalla riflessione di un grande antropologo, Marvin
Harris. «Il momento decisivo per una scelta consapevole si ha soltanto
durante la fase di transizione da un modo di produzione all´altro. Dopo che
una società ha scelto una particolare strategia tecnologica ed ecologica per
risolvere il problema dell´efficienza declinante, può essere impossibile
modificare le conseguenze di una scelta poco intelligente per un lungo
periodo futuro». Possiamo ragionevolmente ritenere che ci troviamo proprio
in una di queste fasi di transizione, sì che rinviare le scelte essenziali
produce non solo un ritardo o uno stallo, ma la subordinazione alle scelte
comunque effettuate dal mercato o a quelle imposte dalle decisioni di paesi
forti che, proprio per effetto della globalizzazione, tendono a trasmettersi
ai paesi più deboli o disattenti.
La tecnologia è prodiga di promesse, propone ormai soluzioni per qualsiasi
problema. Coglie la politica in un momento di debolezza, e la sfida con una
invadenza che può ridurne spazio e funzione. Non si discute il contributo
grandissimo che le tecnologie già danno, e continueranno a dare,
all´efficienza amministrativa ed alla stessa costruzione di un nuovo spazio
politico. Ma sempre più spesso accade che i poteri pubblici, centrali o
locali, si abbandonino ad una sorta di fiduciosa (o incosciente) deriva
tecnologica.
Già la politica si era rattrappita per effetto di una sua riduzione legata
alla progressiva attribuzione di molte materie (troppe?) alla sola logica
amministrativa. Da qui una richiesta di efficienza risolta
semplicisticamente in un bisogno di tecnologia, spesso non mediato da
appropriata riflessione critica sulla stessa natura degli strumenti
adoperati. Ma l´affidarsi cieco alle tecnologie, ritenendo che in esse
risieda ormai la soluzione di ogni problema, può risolversi in una delega in
bianco, con la politica che rischia di farsi espropriare dei suoi compiti di
scelta e di decisione su gravi questioni sociali.
La prima scelta programmatica, allora, riguarda proprio il ruolo da
attribuire alla tecnologia. Se consideriamo la situazione italiana, ma non
questa soltanto, ci avvediamo subito che la partita tra centralizzazione e
decentramento si gioca anche, spesso soprattutto, intorno alle modalità
d´uso delle tecnologie. Sistemi centralizzati di raccolta delle informazioni
per il rilascio di documenti d´identità, per il controllo della spesa
sanitaria, per finalità di sicurezza vengono raccomandati proprio con
l´argomento dell´efficienza. Ragionando solo in questo modo, però, si
trascurano gli effetti sul modo complessivo di organizzazione dei poteri
pubblici, sulla stessa idea di Stato che così viene accreditata. E si
rischia di rimanere prigionieri anche di vecchi schemi, poiché recentissimi
rapporti americani proprio nella delicatissima materia della sicurezza hanno
messo in evidenza la maggiore efficienza di sistemi decentrati e flessibili
rispetto a quelli centralizzati.
Il ricorso ai dati biometrici (impronte digitali, riconoscimento facciale,
scansione dell´iride, dati genetici) viene anch´esso presentato come una
panacea tecnologica. Ma, invece di abbandonarsi ad entusiasmi spesso
secondati da chi ha interesse a vendere queste tecnologie, la decisione
politica (ed anche quella amministrativa) dovrebbero tenere nel giusto conto
il fatto che ormai anche le impronte digitali possono essere falsificate e
che, più in generale, l´esperienza già mostra come queste tecnologie possano
produrre falsi positivi e negativi, incrinando così la certezza
dell´identificazione delle persone.
Inoltre, l´associazione sempre più stretta tra sorveglianza e sicurezza
incide profondamente non solo sulla percezione sociale dei problemi della
sicurezza, ma anche sulle strategie politiche. Siamo di fronte ad una
propensione crescente ad affidare alla sola risposta tecnologica la
soluzione di problemi di cui dovrebbero essere analizzate le ragioni
sociali, politiche, economiche. La complessità sociale viene così
brutalmente ridotta, e di essa rimane evidente solo la componente
rappresentata dalle questioni di ordine pubblico, che così diventano le sole
con le quali debba misurarsi la politica.
Si assiste, in definitiva, ad una operazione di rimozione, attraverso la
quale la politica si libera dell´impegno di analizzare la realtà, e si
consegna alla tecnologia. Un sistema di videosorveglianza in un quartiere
pericoloso può assolvere dall´obbligo di fare i conti con i fattori
costitutivi della situazione di rischio. Le videocamere in una scuola, per
combattere episodi di vandalismo, liberano la scuola e la politica
dall´obbligo di capire il perché di questi comportamenti dei ragazzi.
Diviene così evidente la necessità di una piena consapevolezza della portata
e degli effetti delle scelte tecnologiche come parte integrante di qualsiasi
programma politico. Questa consapevolezza è tanto più necessaria in quanto
le scelte tecnologiche esigono notevoli investimenti e producono modifiche
dell´organizzazione pubblica tali da non poter essere poi facilmente messi
in discussione al semplice mutare degli schieramenti parlamentari. Siamo
dunque di fronte ad uno di quei casi di scelte irreversibili, o
difficilmente reversibili, che mettono alla prova lo stesso principio di
maggioranza e richiedono almeno massima trasparenza, discussione pubblica,
decisioni parlamentari al più alto livello. Le scelte tecnologiche sono
tutto meno che scelte "tecniche".
Negli ultimi tempi, peraltro, proprio sul terreno delle tecnologie si è
aperta una nuova ed inedita "questione democratica". Nessun programma
politico potrà esser ritenuto adeguato al nostro futuro se non si esprimerà
con chiarezza su almeno quattro questioni. È ammissibile una società della
sorveglianza totale giustificata con ragioni di sicurezza? È accettabile una
società della classificazione che risponde all´interesse economico del
sistema delle imprese? Si vuole mantenere ad Internet la sua natura del più
grande spazio libero e comune che sia stato mai costruito? Si insisterà in
politiche di privatizzazione della conoscenza mentre le tecnologie
dell´informazione e della comunicazione ne consentirebbero la massima
diffusione?
Se non si sciolgono questi nodi, verranno frustati anche i tentativi di uso
democratico delle tecnologie. Vi sono importanti iniziative e progetti
italiani che vogliono offrire ai cittadini opportunità di partecipazione in
quella dimensione comunale che meglio si presta ad evitare i rischi di una
versione elettronica della democrazia plebiscitaria. Se, però, il cittadino
che accede per via elettronica ai servizi offerti dal comune, o partecipa a
discussioni o interviene in procedure di consultazione, non sarà sicuro che
queste sue "tracce elettroniche" non saranno conservate, il timore di
improprie "schedature" lo terrà lontano da questi nuovi processi.
Dicevo prima che le grandi scelte tecnologiche esigono decisioni
parlamentari al più alto livello. Ma anche qui bisogna cambiare strada. Di
fronte alle innovazioni scientifiche e tecnologiche che toccano biologia e
genetica, si è soliti garantire la libertà di coscienza del parlamentare,
come è accaduto per la procreazione assistita. Non ci si accorge che, così
facendo, il diritto del parlamentare è rispettato, ma la libertà del
cittadino può essere radicalmente mortificata da decisioni parlamentari che
lo privano della possibilità di decidere autonomamente in materie che
riguardano la parte più intima della sua sfera privata. Si tratta, allora,
di riflettere sul "prima" della decisione parlamentare, tracciando confini
che la stessa legge non può superare.
Un buon programma politico è anche quello che dice chiaramente che il
diritto e la politica non possono impadronirsi di ogni aspetto della vita
delle persone.

da quintostato.it
martedi 22 giugno 2004

Lunedî 21 Giugno 2004

Il Garante accerchiato

di Carlo Formenti
Rientro dal convegno su Innovazioni tecnologiche e privacy (Roma 17-18
giugno), organizzato dal Garante per la protezione dei dati personali, con
la sgradevole sensazione che gli effetti combinati, da un lato, del panico
di massa suscitato dalla "guerra al terrorismo", dall'altro, delle pressioni
di un'industria high tech che mira a costruire un nuovo ciclo espansivo
fondato sulle tecnologie di sicurezza, siano destinati a erodere il nostri
diritti alla riservatezza in misura ancora più drastica di quanto non sia
già avvenuto dall'11 settembre 2001 ad oggi. E' per questo motivo che, nel
corso della tavola rotonda che ha concluso il convegno (e alla quale hanno
partecipato, fra gli altri, il ministro all'Innovazione Lucio Stanca e il
presidente del Garante Stefano Rodotà), ho avvertito il dovere di
esplicitare con una certa brutalità i termini del conflitto politico e
culturale che era serpeggiato fra i vari interventi del convegno, mascherato
da eccessive dosi di "fairplay istituzionale".
Se dovessi ridurre in uno slogan le parole che ho ascoltato dalla maggior
parte dei tecnologi, funzionari governativi, imprenditori, economisti e
studiosi di diritto intervenuti al convegno, direi che la loro "filosofia"
si può compendiare nel seguente appello al cittadino/consumatore:
abbandonati con fiducia alla tecnologia che ti regala sicurezza e comondità,
ed è perfettamente in grado di risolvere automaticamente i rischi che lei
stessa provoca.

Inutile allarmarsi per la pervasività dell'ubiquitous computing: è vero che
in un prossimo futuro RFID, smart card, carte d'identità digitali e mille
altre forme di "intelligenza distribuita" minacciano di tenerci
costantemente sotto osservazione, permettendo a soggetti pubblici e privati
sui quali non abbiamo il minimo controllo di acquisire liberamente i nostri
dati personali; ma è altrettanto vero che non ci si può fare nulla: la
tendenza alla miniaturizzazione-distribuzione pervasiva delle tecnologie
digitali è il prodotto inarrestabile di potenti forze economiche e risponde
alle nostre più profonde esigenze di sicurezza e comodità.

Basta pensare a come l'informatica sta snellendo le procedure burocratiche
della PA, regalando a tutti più efficienza, tempo libero, opportunità di
acquisire informazioni utili, ecc. La biometria, con tutto il suo corteggio
di scansioni dell'iride, riconoscimento vocale, scansioni del volto e delle
impronte digitali ecc, minaccia di trasformare il nostro corpo in una sorta
di password icarnata, di esporci ai non trascurabili rischi di errori di
riconoscimento, e di regalare ulteriori informazioni personali a chi
(governi e imprese) già ci spia per altri motivi commerciali e politici?
Ancora non avete capito che questo ci protegge dagli attacchi terroristici?
E non vi sembra fantastica l'idea, sempre che abbiate il passaporto
biometrico, di uscire dall'aeroporto senza fare code?

Vi disturbano le webcam piazzate dappertutto (molto più invasive delle
"vecchie" telecamere perché connesse a Internet)? Ma pensate alla comodità
di controllare che il pupo non faccia guai nella sua stanzetta o che il
nonno (vedi il registro dei fragili in cui il ministro Sirchia vorrebbe
ficcare gli ultrasessantacinquenni) non si senta male. Dimenticando che chi
"infantilizza" gli altri è a sua volta diposto lasciarsi infantilizzare per
farsi "proteggere": non solo dai terroristi, ma anche dai banali rischi
statitici della vita quotidiana che una certa cultura enfatizza per renderci
sempre più dipendenti.

Così anche i rischi della "contaminazione" dei nostri PC da parte di virus
informatici e worm vengono estremizzati, alimentando una pedagogia della
paura che somiglia a quella che accompagnò le grandi campagne contro il
virus AIDS: chi non si difende efficacemente viene equiparato a chi non fa
"sesso sicuro", mentre il "dovere" di proteggere il proprio PC, per
proteggere la rete che è di tutti, induce ad accettare acriticamente
standard e "servizi" smerciati dalle softwarehouse (neanche una parola sul
fatto che la "monocultura" Windows e l'assenza di "biodiversità" tecnologica
in rete sono fra le maggiori cause delle "epidemie" di virus). E via
discorrendo, mentre qua e là, s'inseriscono capziosamente inviti ad
"aggiornare" il concetto di privacy, modificandolo da "diritto ad essere
lasciati soli" (ormai obiettivamente insostenibile) al più realistico e
moderato "diritto a non essere coinvolti". E il ministro Stanca interviene
ricordando che "le norme sulla privacy devono essere un acceleratore e non
un freno allo sviluppo di nuove tecnologie".

Che dire, e soprattutto che fare davanti a questo bombardamento di
esaltazioni acritiche della tecnologia (a prescindere dall'uso sociale che
ne viene fatto)? Non resta che aggrapparsi agli inviti lanciati da un
Garante impavidamente schierato a difesa dei diritti (e che qui riprendiamo,
in particolare, dagli interventi di Stefano Rodotà, Alexander Dix, Giovanni
Buttarelli): respingere sistematicamente le soluzioni "automatiche" dei
problemi da parte della tecnica; non rimuovere la possibilità di errori
provocati dai sistemi di sicurezza tecnologici; "laicizzare" la scienza,
passando dalla fede cieca al "principio di precauzione" che la Francia sta
per inserire nel proprio ordinamento costituzionale; difendere l'integrità
del nuovo corpo del cittadino, fatto di dati non meno che di realtà fisica;
garantire a ognuno di noi la possibilità di "chiamarsi fuori" dalle pretese
altrui di raccogliere dati sul nostro conto, anche quando ciò venga fatto
"per il nostro bene" (se non voglio finire in qualche "registro dei fragili"
devo potermi rifiutare, assumendomi liberamente i relativi rischi); se e
quando verranno introdotte le tecnologie RFID nelle catene commericali,
ottenere la garanzia 1) che siano ben visibili, 2) che sia possibile
cancellare-correggere i dati che contengono, 3) che siano disattivate
all'atto dell'acquisto del prodotto che le contiene. Insomma, per riprendere
le parole del professor Yves Poulet, passare dal paradigma della tecnologia
pervasiva nascosta al paradigma della visione centrata sull'utente. Non sarà
facile.