sentirsi poveri



da lavoceinfo.it
giovedi 15 aprile 2004

Sentirsi poveri

Chiara Saraceno

Siamo diventati più poveri o più disuguali? Più poveri o più insicuri?
Le spiegazioni della percezione diffusa di un peggioramento delle condizioni
di vita, al di là delle strumentalizzazioni e enfatizzazioni che pure la
alimentano, stanno nella risposta a queste domande.

I dati sulla povertà

Gli ultimi dati disponibili sulla diffusione della povertà sono relativi al
2002. Mostravano una situazione tendenzialmente ferma, con lievi segnali di
diminuzione della povertà relativa, dovuta tuttavia a una compressione del
livello medio dei consumi che aveva abbassato la soglia di riferimento.
Stabile era invece la povertà assoluta.

In altri termini, i dati del 2002 possono essere interpretati come un
abbassamento del tenore di vita medio, che però nasconde forti
disuguaglianze.

La differenza, cioè, non è solo tra poveri e non poveri, ma tra coloro che
hanno riserve, o flessibilità di reddito, sufficienti per fronteggiare oltre
all'inflazione anche il mutamento dei propri bisogni (un figlio in arrivo,
un figlio da mandare alle scuole superiori o all'università, un genitore che
ha bisogno di assistenza, e così via), e coloro che viceversa non hanno né
queste riserve né questa flessibilità.
L'indagine speciale dell'Istat sulla povertà a livello regionale effettuata
sempre nel 2002 in coincidenza con quella annuale sui consumi (1), ha
segnalato che oltre il 47 per cento delle famiglie italiane consuma tutto il
proprio reddito.
Si tratta per lo più di persone sole anziane, di coppie con almeno tre
figli, di coppie anziane e di famiglie monogenitore: non famiglie
spendaccione che vivono al di sopra delle proprie possibilità, ma famiglie
il cui bilancio è risicato rispetto ai bisogni.
Ciò è documentato anche dal fatto che la quota che non riesce a risparmiare,
e talvolta è costretta a fare debiti, sale a una percentuale attorno all'80
per cento tra le famiglie che nel corso dell'anno hanno faticato ad
acquistare il cibo necessario (il 3,6 per cento di tutte le famiglie), o a
pagare l'affitto o le bollette o ancora le spese mediche (rispettivamente il
14 per cento, il 9 per cento e il 6 per cento di tutte le famiglie
italiane).

Vale la pena di segnalare che sono proprio queste le famiglie sul cui
bilancio incide di più un aumento dei prezzi, dell'inflazione, nettamente
superiore alla media (2,4 per cento rispetto al 2003, 23,7 per cento dal
1995) di alcuni beni, pure essenziali: alimentari (4 per cento rispetto al
2003, 22,5 per cento dal 1995), abitazione, acqua, elettricità e
combustibili (1,7 per cento rispetto al 2003, 28,4 per cento dal 1995),
abbigliamento e calzature (2,5 per cento rispetto al 2003, 26,2 per cento
dal 1995). (2)

Condizioni oggettive e percezioni

Sempre dalla indagine Istat del 2002 si rileva che condizione di povertà
"oggettiva", secondo indicatori economici, e percezione soggettiva della
povertà non sempre coincidono: dipende dalle aspettative che ciascuno ha,
dai confronti che ciascuno fa, o è in condizione di fare.
Questo può aiutare a capire meglio la percezione diffusa di impoverimento
emersa in questi mesi.
Vi sono gruppi sociali, in particolare i lavoratori a reddito fisso i cui
salari non sono aumentati in questi anni in proporzione alla inflazione
effettiva, ma solo a quella programmata, che oggettivamente hanno visto
diminuire il loro potere d'acquisto, quindi sono impoveriti relativamente
alla propria situazione precedente, anche se non sono diventati tout court
poveri.
E' quanto emerge anche dall'indagine della Banca d'Italia sui bilanci delle
famiglie italiane relativa sempre al 2002, che mostra che le famiglie di
impiegati e operai hanno perso potere d'acquisto.
Queste famiglie, oltre che dall'aumento del costo dei beni di prima
necessità, possono essere particolarmente colpite dall'aumento del costo di
quei beni e servizi "voluttuari" il cui consumo fa sentire che non sì è,
appunto, poveri: un cinema, una pizza ogni tanto, un libro, un disco, un
concerto. I prezzi di alberghi, ristoranti e pubblici esercizi sono
aumentati del 3,5per cento rispetto a febbraio 2003 e del 34 per cento
rispetto al 1995. L'aumento maggiore in assoluto nel periodo.
Gli stessi gruppi sociali vedono ridursi le speranze di miglioramento, per
sé o per i propri figli, in una economia stagnante, in un mercato del lavoro
profondamente modificato. La temporaneità dei contratti di lavoro non solo
in ingresso, ma per periodi di tempo prolungato, produce incertezza rispetto
al futuro a breve e medio termine, riduce l'orizzonte temporale dei progetti
individuali e familiari, sovraccarica di attese la solidarietà familiare che
è così sottoposta a tensioni e talvolta a conflitti redistributivi.

Istruzione e mobilità sociale

Da questo punto di vista i dati recenti della ricerca di Alma laurea sono
significativi. (3) Tra il 2002 e il 2003 le opportunità dei neo-laureati
sono lievemente peggiorate: ci sono meno occupati (54,9 per cento di contro
a 56,9 per cento) e più disoccupati (24 per cento di contro a 20 per cento)
a un anno dalla laurea.
È anche aumentata la quota di contratti temporanei, smentendo l'idea che la
flessibilizzazione dei rapporti di lavoro crei automaticamente più
occupazione. Forse anche per questo possono contare su un reddito mensile di
circa 50 euro più basso rispetto a quello guadagnato dai neo-laureati un
anno prima: 969 invece di 1.015.
Per altro, tra gli occupati si nasconde, specie tra i laureati delle facoltà
politico-sociali, una grossa quota di persone (circa il 25 per cento) che
erano già occupate prima della laurea, di ex studenti che si sono mantenuti
agli studi perché provenivano da famiglie a reddito modesto. Un percorso di
mobilità sociale notevole, se si pensa che tre quarti dei laureati nel 2002
erano i primi in famiglia ad avere una laurea.
Si tratta tuttavia di una mobilità in parte fittizia: chi è occupato
mantiene lo stesso lavoro e chi non lo è fatica a trovarne uno e allo stesso
tempo non può permettersi di continuare la formazione; come accade invece a
chi proviene da percorsi formativi diversi, ma soprattutto può contare sul
sostegno economico della famiglia di origine.
Proprio quando si raggiunge la stessa meta, la disuguaglianza di origine
sociale mostra tutto il suo peso determinante. Anche per questo ci si può
sentire più poveri.

(1) http://www.istat.it/Societ-/Integrazio/index.htm
(2)
http://www.istat.it/Comunicati/In-calenda/Allegati/Economia/Prezzi-al-/comp0
22004.pdf
(3)
http://www.almalaurea.it/universita/occupazione/occupazione02/presentazione.
shtml