l'affare del tonno bianco al mercurio



dal corriere.it
sabato 20 marzo 2004

Dimissioni nel consiglio del «Food and Drug Administration»

Allarme negli Usa per il mercurio nel pesce
Avviso alle donne in stato di gravidanza: non mangiare
più di 180 grammi alla settimana di tonno bianco

ROMA - Nuovo allarme per il pesce al mercurio negli Usa. Mangiare oltre 180
grammi di tonno bianco in scatola in una settimana potrebbe mettere in
pericolo la salute delle donne in stato interessante e dei bambini. E'
questo l'avvertimento lanciato dal governo Usa, dopo che recenti ricerche
hanno dimostrato che il tonno bianco contiene alti livelli di mercurio.

ALLARME DEL «FOOD AND DRUG ADMINISTRATION» - L'avvertimento riguarda anche
le donne in età feconda, le quali dovrebbero evitare di mangiare, oltre al
tonno bianco, anche la carne di pesce spada e di squalo, sempre per l'
elevata presenza di mercurio. Alcuni membri del consiglio consultivo del
«Food and Drug Administration», l'agenzia governativa che ha lanciato l'
allarme, sostengono che sarebbe necessario vietare il consumo di tonno
bianco e non limitarne il consumo.

PRESSIONI INDUSTRIALI - Il professore di tossicologia dell'Università dell'
Arizona, Vas Aposhian, si è dimesso dal consiglio consultivo in segno di
protesta. «Vogliamo che il tonno bianco sia incluso nella lista dei pesci
non commestibili», ha detto Aposhian. «Sappiamo che ciò non avverrà a causa
delle pressioni degli industriali del settore». Il mercurio proviene dall'
inquinamento industriale che si riversa nella acque, e quindi nei pesci di
grosso taglio. Il mercurio può causare danni neurologici e problemi allo
sviluppo dei bambini.


 dal corriere.it
12 novembre 2002


SCIENZE
I risultati della ricerca pubblicati dal quotidiano «Usa Today»
Il pesce nuota in un mare di mercurio

Un recente studio condotto a San Francisco rilancia l'allarme
sull'avvelenamento alimentare di tonno, pesce spada, squalo

Povero in grassi e colesterolo, ricco di proteine, prezioso alleato delle
diete ipocaloriche, amico del cuore e della pressione, il pesce è sempre
stato considerato un alimento indispensabile per una dieta sana. Dal sushi
al tonno in scatola, negli ultimi tempi, in molti hanno puntato su un
maggior consumo di pesce per limitare i rischi del morbo della Mucca Pazza.
E invece, scorpacciate di frutti di mare e affini possono comportare un
pericolo per la salute. Insieme al pesce, infatti, si rischia di ingerire
anche elevate quantità di mercurio, un vero e proprio veleno.

LA FASCIA A RISCHIO - Per donne in gravidanza e bambini piccoli il pericolo
mercurio era già noto. Ma adesso il quotidiano americano Usa Today rilancia
l'allarme, allargando la fascia di rischio a ricomprendere tutta la
popolazione. Le valutazioni del quotidiano si basano su uno studio condotto
di recente a San Francisco da un medico, Jane Hightower, che ha riscontrato
alte concentrazioni della forma più tossica di mercurio, il mercurio di
metile, nel sangue di pazienti, bambini e adulti, accomunati solo dalla
passione per il pesce. I sintomi - capelli che cadono, fatica, depressione,
mal di testa, difficoltà di concentrazione - scomparivano eliminando il
pesce dalla dieta. Lo studio, pubblicato sulla rivista Environmental Health
Perspective periodico online dell'Istituto nazionale dei servizi per la
salute ambientale, concludeva che chi mangia grandi quantità di pesce,
specie se grossi tranci di squalo o pesce spada, potrebbe essere a rischio
di vari sindromi provocate da avvelenamento da mercurio.

TIMORI - Un risultato che riaccende preoccupazioni già vive negli States,
dove l'allarme mercurio era esploso nel luglio scorso, quando la Food and
Drug Administration era stata sollecitata ad indicare con chiarezza le
quantità di pesce - tonno in scatola, in particolare, il pesce più consumato
nel Paese - consentito a bambini e future mamme. Secondo un'associazione di
tutela dei consumatori, il Mercury Policy Project, due scatolette a
settimana sarebbero già una dose a rischio. Attualmente la Fda raccomanda
alle donne incinte di limitare il consumo di pesce a meno di tre etti a
settimana.

LE DOSI - Ma non sono solo gli americani a mettere sotto processo il pesce.
Un altro studio, condotto questa volta a Hong Kong, fra gli studenti di
liceo, ha rilevato che il 10% dei ragazzi supererebbe le dosi-limite di
pesce, esponendosi al rischio di ingerire quantità eccessive di mercurio. E
cioè 6,4 microgrammi per ogni chilo di peso corporeo, contro il tetto dei 5
microgrammi raccomandato dall'Organizzazione mondiale della Salute. Il
governo cinese è corso ai ripari pubblicando un documento con le linee guida
per il consumo di squali e altri grossi pesci pescati nei mari orientali.

LINEE GUIDA - Nel mese di settembre, a Ginevra si sono dati appuntamento gli
esperti internazionali del Pneu, il Programma delle Nazioni Unite per l'
ambiente, per studiare gli effetti nocivi del mercurio sulla salute e sull'
ambiente. Le loro considerazioni serviranno come base per un documento
internazionale con le linee guida sull'emissione di sostanze chimiche, che
verrà presentato al prossimo meeting che si svolgerà a febbraio. Intanto, i
Centri americani per il controllo delle malattie e le prevenzione
suggeriscono che le donne che intendono avere un figlio dovrebbero smettere
di mangiare pesce almeno da sei mesi a un anno prima della gravidanza. Nel
complesso, calcolano che circa l'8% delle donne in età fertile ha troppo
metallo nell'organismo, una vera minaccia per la salute di eventuali bebè.

IL METILMERCURIO - Il metilmercurio è una forma di metallo diverso da quello
comunemente conosciuto, contenuto nei termometri, o rilasciato da industrie,
impianti per lo smaltimento dei rifiuti, inceneritori. Il mercurio immesso
nell'aria attraverso l'inquinamento industriale, precipita come pioggia e si
mischia con l'acqua dei mari, dei laghi o dei fiumi. Qui trova dei batteri
che lo trasformano in tossico mercurio di metile. Si accumula sui fondali e
non si degrada, ma viene ingerito dagli animali, e si concentra via via che
si sale nella catena alimentare. Per l'organismo umano è difficile da
eliminare e, ad alte concentrazioni, attacca il sistema nervoso, provocando
danni permanenti al cervello, ai reni e allo sviluppo dei feti. A breve
termine, l'esposizione a mercurio provoca danni ai polmoni, nausea, vomito,
aumento della pressione sanguigna, irritazioni agli occhi.

I BENEFICI DEL PESCE - Eppure, concordano i nutrizionisti, non si può
eliminare il pesce dalla dieta: le sostanze benefiche presenti in questo
alimento sono troppo importanti e aiutano a ridurre il colesterolo e la
pressione. Il consiglio è di variare il più possibile l'alimentazione e
scegliere pesci ricchi di Omega 3, che sono i più poveri di mercurio. Un
elenco dei «buoni» e dei «cattivi» è stato pubblicato dal Dipartimento per
la salute di Washington: da evitare, si legge, tranci di tonno, pesce spada,
squalo.Via libera invece a salmone, sardine, merluzzo, trote, gamberetti.
Antonella De Gregorio
13 novembre 2002

Non soltanto il mercurio: c'è anche il pesce alla diossina

C'è anche quello alla diossina

A mettere in guardia contro una «bomba» che popola mari del Nord e
allevamenti ittici è stato, lo scorso anno, l'Europarlamento, che in uno
studio sulla diossina nella catena alimentare, puntava il dito contro i
«merluzzi del Baltico» e il pesce degli allevamenti che usano le farine di
pesce. Specie che, a detta degli esperti, presenterebbero elevate
concentrazioni di diossina, sostanza altamente pericolosa per l'organismo.

Lo studio «Effetti della diossina sul pesce» partiva dalla considerazione
che per decenni diossina e sostanze chimiche analoghe sono state scaricate
in mare dalle industrie e dagli impianti di smaltimento dei rifiuti. Questi
componenti hanno effetti tossici sugli esseri umani e sugli animali: il loro
accumulo può provocare diabete, disordini dell'apprendimento, un
abbassamento delle difese immunitarie, malattie della pelle, cancro.
Smaltire la diossina ingerita con il cibo è un processo lunghissimo, che
richiede anni. Nel frattempo, le sostanze nocive dispiegano i loro effetti.


I pesci accumulano diossina nelle parti grasse e nel fegato, assorbendola
dalle acque inquinate. Il Mar Baltico è un'area definita «molto critica» per
quanto riguarda la contaminazione da diossina nella pesca per via delle
numerose industrie metallurgiche, estrattive e dei fertilizzanti che si
affacciano su quel mare. Stesso discorso per i mari del Nord, un po' meno
per il Mediterraneo. Anche se lo studio commissionato dal Parlamento europeo
metteva in guardia contro le cozze, in particolare quelle provenienti dalla
laguna veneta. A rischio anche le aragoste. Le più alte concentrazioni si
riscontrerebbero comunque nei pesci predatori che si nutrono di specie
inquinate. E nei pesci d'allevamento, nutriti con mangimi a base di oli e
farine di pesce prodotte con specie dei mari nordici.


Allergie

Tonno e sgombro da sindrome

L'allergia al pesce, soprattutto al merluzzo, è particolarmente frequente
nei paesi scandinavi e nordeuropei, dove maggiore è il consumo. Le
manifestazioni cliniche riguardano soprattutto l'apparato respiratorio; rari
i casi di shock anafilattico. Talvolta le manifestazioni cliniche sono
dovute alla presenza nel pesce di un nematode dell'ordine degli ascaridi, l'
Anisakis simplex, parassita di numerosi pesci di mare e cefalopodi. Talora
può trattarsi di reazioni di tipo tossico o pseudoallergiche, in quanto
molti pesci contengono sostanze che provocano liberazione di istamina o
contengono essi stessi elevate quantità di istamina. Le stesse
considerazioni valgono per i crostacei, soprattutto gamberi e granchi.

LA SINDROME SGOMBROIDEA

- In particolare, i l consumo di pesce fresco o inscatolato, contenente
elevate quantità di istamina e di altre amine vasoattive, causa il
cosiddetto «avvelenamento da sgombroidi». La parte rosso-scura del tessuto
muscolare dei pesci della famiglia Scombridae e Scomberascidae (tonni,
sgombri, sarde, sardine, acciughe, etc.), contiene elevate quantità di
istidina libera. Alcuni germi, di comune riscontro sulla cute dei pesci,
nell'ambiente marino ed in quello terrestre, sono in grado, tramite un
enzima, di trasformare l'istidina presente nel tessuto muscolare dei pesci
in istamina. Il consumo di pesce azzurro, di tonno, di acciughe, di aringhe,
è stato la causa di intossicazioni da istamina in diversi paesi (soprattutto
usa, Gran Bretagna, Giappone). La «sindrome sgombroidea» è considerata negli
Usa una delle più comuni forme d'intossicazione per ingestione di pesce.
I casi riportati in Europa e in Italia, invece, sono pochi.

I SINTOMI

- Le manifestazioni cliniche dell' intossicazione riguardano l'apparato
gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea) il sistema nervoso centrale
(vertigini, cefalea), la cute (rush) ; raramente si osservano disturbi
respiratori e ipotensione. L'inizio della sintomatologia è rapido (20-30
minuti dall'assunzione dell'alimento) e i disturbi, abitualmente di lieve
entità, si risolvono generalmente in breve tempo; solitamente durano meno 24
ore. La sindrome, sebbene frequente, viene spesso diagnosticata come
reazione allergica alimentare.

LE DOSI DEL RISCHIO

- Un contenuto normale di istamina, nelle specie ittiche sopra menzionate, è
mediamente dell'ordine di 0,5 - 25 mg/Kg. La quantità di istamina in grado
di provocare effetti tossici, è pari a 133,33 mg/Kg di alimento. La terapia
della sindrome sgombroidea è basata sull'impiego di antistaminici, che
sarebbero in grado di minimizzare la sintomatologia.

LE CAUSE
- La causa più frequente di intossicazione da istamina va ricondotta alla
mancata applicazione delle norme igieniche e alla non corretta conservazione
del prodotto nelle fasi di distribuzione e di somministrazione. Casi
frequenti di avvelenamento derivano dall'ingestione di tonno, proveniente da
confezioni multiporzione, acquistato sfuso ed episodi di intossicazione sono
imputabili alla catena della ristorazione e somministrazione (per esempio si
sono avuti casi imputabili al consumo di pizza napoletana per l'utilizzo di
alici inscatolate che, dopo manipolazione, rimanevano sul piano di lavoro
per ore a temperatura ambiente e non ricoperte da olio; per consumo di
sandwich al tonno preparato parecchie ore prima del consumo e non mantenuto
in refrigerazione; al consumo di tonno sott'olio proveniente da scatole
multiporzione venduto sfuso, mantenute per più giorni a temperatura
ambiente, manipolate con scarsa igiene, il cui trancio non era ricoperto di
olio).

PREVENIRE E RICONOSCERE

- Una buona igiene e la refrigerazione sono fondamentali accorgimenti per il
controllo dello sviluppo dei microrganismi produttori dell'enzima
decarbossilasi. Una volta pescato il pesce va infatti immediatamente
congelato o immerso in acqua fredda a -1 C° e mantenuto continuamente a
bassa temperatura. La produzione di istamina, nei pesci delle famiglie
Scomberascidae e Scombridae può essere il risultato dello sviluppo di ceppi
batterici abituali della flora intestinale, ma la contaminazione batterica
può avvenire, anche dopo la pesca, in tutte le fasi della produzione
dell'alimento, anche nelle fasi di distribuzione e somministrazione. A
temperature elevate, nell'alimento si sviluppano i microrganismi
responsabili della trasformazione dell'istidina, determinando la formazione
di istamina a livelli elevati prima che si manifestino i tipici segni della
decomposizione.

COTTURA E CONSUMAZIONE

- La cottura non degrada l'istamina una volta formatasi nei tessuti del
pesce, anche se distrugge i batteri che concorrono alla formazione
dell'istamina. Il pesce inscatolato può presentare quantità di istamina a
volte più elevate di quello fresco per via della manipolazioni che subisce
durante i processi di lavorazione o nelle successive fasi di distribuzione e
somministrazione. La tossina non conferisce al prodotto odori o sapori
particolari. L'esame sensoriale del consumatore, non può quindi fornire
elementi per accertare la presenza o l'assenza di tossina. L'esame di
laboratorio è l'unica prova certa per la valutazione di un prodotto.

Fonte: Webzine della Sanità Pubblica Veterinaria

12 novembre 2002