sai da dove viene il cibo ?



da greenpalanet.net

12 febbraio 2004

 Cultura & Società   ( 12 Feb 2004 )
SAI DA DOVE VIENE IL CIBO?

Sai chi è stato prima di essere cibo, e com'è stato allevato? Sai che
effetti può avere sul tuo corpo e sulla tua salute? Sai quali sono le
implicazioni sociali di questo cibo? E sai perché non te lo vogliono
spiegare?
Un punto di vista vegetariano sulle ragioni etiche, ecologiche,
salutistiche, sociali ed economiche contro l'iperconsumo di alimenti e
prodotti di origine animale.

Sai da dove viene quello che tu consideri "cibo", sai chi è stato prima di
essere cibo, e com'è stato allevato?
Gli animali sono esseri senzienti, capaci di provare sensazioni, emozioni,
sentimenti, come ben sanno tutti quelli di noi che ospitano in casa un cane
o un gatto.Una mucca non è molto diversa da un cane, da questo punto di
vista. Né un maiale è diverso, è un essere intelligente, affettuoso,
curioso. Ma questi animali vengono invece trattati come cose: affinché
l'attività di allevamenti, mangimifici, impianti di macellazione e catene di
distribuzione risulti economicamente compatibile con i livelli produttivi
richiesti dal mercato, è necessario che il prezzo di carne, latte e uova
rimanga accessibile per il maggior numero possibile di consumatori.Per
essere sostenibile, la zootecnia chimica e intensiva deve quindi
massimizzare i profitti basandosi sul ribasso delle spese. Ormai il 99%
degli allevamenti sono intensivi: gli animali vengono allevati in spazi
ristrettissimi, senza mai la possibilità di uscire alla luce del sole. Ogni
tanto si vedono delle vacche al pascolo, è vero, ma sono solo quell'1% di
animali più "fortunati" che vengono trattati meno peggio. Anche a questi
tocca, comunque, la stessa fine degli altri: il macello. Lì, vengono
ammazzati senza pietà , senza alcun sentimento di compassione, senza sentire
che si tratta di esseri senzienti. Sono solo "capi" da abbattere.I macelli
sono sempre nascosti alla vista del pubblico: per potersi nutrire di
animali, le persone devono allontanare il pensiero della loro uccisione, ci
deve essere separazione tra l'immagine dell'animale vivo nella "fattoria"
(che oggi ormai non esiste quasi più ed è sostituita dagli allevamenti
intensivi) e la sua carne da infilzare con la forchetta. Se ciascuno dovesse
ammazzare da sé gli animali che mangia, sicuramente molti di loro avrebbero
salva la vita.Nel corso della sua vita (80 anni in media), ogni italiano
uccide per cibarsene circa 1400 animali tra bovini, polli, tacchini e altri
volatili, maiali, conigli, cavalli.

La sofferenza degli animali

A pagare il costo degli allevamenti intensivi sono innanzi tutto gli animali
allevati, ai quali sono imposte situazioni di estrema sofferenza. Negli
attuali allevamenti industrializzati, miliardi di animali destinati al
macello sono costretti a vivere incatenati o chiusi in gabbie sovraffollate,
incompatibili con le loro esigenze fisiologiche, privati della minima
libertà di movimento, impediti nella pratica di istinti affettivi e
sessuali, mutilati, sottoposti a costanti terapie antibiotiche ed ormonali
(sia per prevenire l'esplosione di epidemie che per velocizzare la loro
crescita), ad un'illuminazione ininterrotta che impedisce loro di dormire,
nutriti con alimenti inadeguati, chimici e innaturali (fino ai casi delle
mucche costrette al cannibalismo), costretti a respirare un'aria satura di
anidride carbonica, idrogeno solforato, vapori ammoniacali, polveri varie e
povera d'ossigeno.Gli animali sfruttati in questo modo, oltre a manifestare
gravi patologie organiche e psicologiche (galline che si uccidono beccandosi
fra loro, cannibalismo della madre verso i piccoli fra i conigli, suini che
si divorano la coda), subiscono menomazioni e manipolazioni genetiche. Si
tenta a volte di arginare l'aggressività degli animali, ad esempio dei
maiali, mettendo dei "giocattoli" all'interno dei box, come vecchi
copertoni, sui quali gli animali si possono sfogare. Così, anziché rimuovere
la causa di stress si "cura" solo il sintomo, l'aggressività.Le pecore sono,
per ora, le uniche a vivere per lo più all'aperto, ma sono tosate in maniera
brutale in pieno inverno, e sono costrette a sopportare i rigori
dell'inverno senza la protezione naturale del loro mantello. Gli agnellini
maschi sono uccisi a poche settimane di vita, specialmente in occasione
delle festività pasquali. Inoltre, le pecore sono costrette a figliare
continuamente, e non appena sono meno "produttive" vengono macellate.Un
momento di grande sofferenza per le pecore è quello della tosatura, durante
il quale vengono maneggiate molto rudemente dai tosatori, e spesso rimangono
ferite durante l'operazione. Nelle razze più pregiate viene procurata una
ferita circolare attorno all'ano, in modo che con la cicatrizzazione si crei
una zona che separa la lana dall'ano, e la lana non si sporchi.L'Italia è
uno dei pochi paesi al mondo che consuma carne di cavallo. I cavalli
arrivano dai paesi dell'est dopo una vita di duro lavoro, con viaggi
estenuanti in condizioni infernali, per venire infine ammazzati nei nostri
macelli.

Le mucche da latte e i vitelli

Le mucche "da latte" sono selezionate geneticamente ed inseminate
artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall'età di circa
due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la
nascita, i vitelli sono strappati alle madri (provocando in entrambi un
trauma), perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in minuscoli box larghi
poche decine di cm, in cui non hanno nemmeno lo spazio per coricarsi, e
quindi neanche la possibilità di dormire profondamente. Sono alimentati con
una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne
sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al
macello. La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà
costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l'ammontare di
quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non
sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra
di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle). Per aumentare la
produzione di latte, la mucca è alimentata con proteine molto concentrate,
ma neppure queste spesso sono sufficienti, tanto da provocare lacerazione
dei tessuti per soddisfare la continua richiesta di latte (in Inghilterra
hanno coniato un termine per definire questa pratica: "milking off the cow's
back", ossia mungitura del posteriore della mucca). Ciò provoca una
condizione chiamata acidosi, che può rendere zoppo l'animale e ciò ogni anno
al 25% delle mucche sfruttate nei caseifici. A circa cinque o sei anni
d'età, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata. La
durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni.

Le galline ovaiole e i polli da carne

Per la produzione di uova, le galline sono costrette a vivere (fino a gruppi
di quattro) in gabbie delle dimensioni di un foglio A3. Le loro ali si
atrofizzano a causa dell'immobilità forzata; crescendo a contatto della
griglia di ferro della pavimentazione, le loro zampe crescono deformi. Per
aumentare il profitto, molti allevatori usano razze manipolate
geneticamente, destinate a soffrire ulteriormente, a causa di dolorosi
disturbi ossei e difetti della spina dorsale.Negli allevamenti che producono
galline ovaiole, i pulcini maschi (inutili al mercato in quanto non in grado
di produrre uova, né adatti alla produzione di carne di pollo) sono gettati
vivi in un tritacarne, o soffocati in buste di plastica, o schiacciati in
apposite macchine per diventare mangime, mentre a quelli femmina viene
tagliato il becco per impedire loro di beccare a morte le compagne. Questa
procedura, che comporta il taglio di tessuti teneri simili alla carne che
gli umani hanno sotto le unghie, è così dolorosa che molti pulcini muoiono
per lo shock. Inoltre, questa operazione lascia spesso scoperti i terminali
nervosi presenti nel becco, determinando così un dolore continuo per tutta
la vita dell'animale. Non appena la produttività delle galline diminuisce
sotto il livello fissato, di solito dopo 2 anni, sono sgozzate per diventare
carne di seconda scelta.I polli "da carne" non godono certo di un
trattamento migliore: sono allevati in capannoni affollatissimi, fino a
10-15 polli per metro quadrato, sotto la luce sempre accesa, perché crescano
in fretta. A 45 giorni vengono ammazzati, mentre in natura potrebbero vivere
fino a 7 anni.La stessa sorte tocca ai tacchini. Le oche sono ancora più
sfortunate, perché vengono sottoposte al "gavage": immobilizzate, vengono
ingozzate con un imbuto fino a che il loro fegato si spappola, per produrre
così il famoso "paté de foie gras". Anche i fagiani sono allevati in
batteria, per poi essere liberati e poter servire da bersaglio ai
cacciatori, o, nella migliore delle ipotesi, ai predatori che si trovano
nelle riserve di caccia. Se non uccisi da cacciatori o predatori, muoiono
ugualmente dopo pochi giorni perché non sanno procurarsi il cibo da soli.

I pesci: pesca in mare e acquacultura

I pesci spesso non sono nemmeno considerati "animali", occupano un gradino
ancora più basso nella scala dell'umana compassione. La prova di tale bassa
considerazione è che non si dice mai "i pesci", ma "il pesce". Un nome
collettivo, a indicare la mancanza di una minima considerazione per la loro
individualità e sofferenza. Eppure, i pesci provano dolore, molti di loro
hanno sistemi nervosi complessi, alcuni, come il polpo, sono particolarmente
intelligenti e capaci di compiere attività elaborate. Un terzo dei pesci
pescati in tutto il mondo viene ributtato in mare dopo morto, perché "di
scarto", in quanto appartiene a specie considerate non commestibili, ma, si
sa, le reti rastrellano tutto. Oltre ai pesci pescati in mare, si va
diffondendo sempre di più l'acquacoltura, cioè l'allevamento intensivo di
pesci, in cui questi animali vengono tenuti in spazi ristrettissimi, dove
soffrono per lo stress e l'infelicità. Anche le aragoste vengono allevate in
batteria, per finire poi bollite vive nelle pentole dei consumatori.I
trasportiAccade molto frequentemente che gli animali non vengano macellati
nel macello più prossimo all'allevamento, ma siano sottoposti a viaggi
massacranti, a volte tanto lunghi da attraversare nazioni diverse. Gli
animali sono stipati negli autocarri, senza alcuna possibilità di riposo,
senza bere, senza mangiare, compresi i cuccioli. Molti di loro arrivano a
destinazione in pessime condizioni, alcuni muoiono durate il viaggio. Nel
camion, se un animale cade, spesso non riesce a rialzarsi, viene calpestato
e subisce fratture alle zampe o al bacino. Questi animali, se possibile
ancora più sfortunati degli altri, mentre tutti vengono spinti verso il
mattatoio, rimangono sul veicolo in preda a dolori lancinanti, per poi
essere agganciati agli arti fratturati e trascinati fuori. Non vengono
sottoposti a eutanasia - gli allevatori non vogliono perdere soldi - ma
aspettano il loro turno di macellazione.Gli animali che muoiono lungo il
viaggio vengono invece buttati in un mucchio, in quella che viene chiamata
la "pila dei morti".Il trasporto è particolarmente duro per i cavalli
poiché, dato che in Italia non ne vengono "prodotti" abbastanza, i macellai
si riforniscono nell'Est europeo, dove i cavalli sono ancora usati, e, dopo
una vita di lavoro, vengono a concludere la loro esistenza nei mattatoi e
sulle tavole del nostro Paese. Per motivi di profitto, gli animali vengono
stipati all'inverosimile, mescolando tra loro individui ammalati, debilitati
e molto giovani. I polli, essendo di poco valore, subiscono un trattamento
ancora peggiore, perché se qualcuno muore durante il tragitto, la perdita è
minima. Gli autocarri vengono caricati di notte, gli operai devono caricare
25.000 animali nel minor tempo possibile, e quindi gli animali vengono
trattati rudemente, lanciati di mano in mano come fossero palloni fino a
essere stipati nelle gabbie.

La macellazione e la morte

La morte degli animali allevati è preceduta da trasporti lunghi ed
estenuanti verso i mattatoi. Stipati nei camion, senza potersi muovere per
molte ore e spesso molti giorni, senza poter bere o mangiare, soffrendo il
caldo o le intemperie, arrivano al macello in gravi condizioni di stress,
spesso così debilitati da non riuscire nemmeno ad alzarsi. Qui, a causa
della rapidità delle linee di macellazione (talvolta fino a 400 capi all'ora
ognuna) spesso non sono storditi in maniera corretta e sono quindi coscienti
quando viene loro tagliata la gola, quando sono scuoiati, decapitati,
squartati, o quando giungono nell'acqua bollente delle vasche di scottatura.
Un operaio di un macello americano, nel corso di un'intervista, ha
dichiarato che almeno il 15% degli animali muore ogni giorno "pezzo dopo
pezzo", roteando gli occhi e muovendo la testa (alcuni suoi colleghi usano
protezioni da hockey per non subire gravi lesioni dagli animali
agonizzanti). Per i suini il momento del macello è particolarmente penoso,
perché il numero delle uccisioni è altissimo, anche 1000 animali in una
mattinata. In queste situazioni lo stordimento molte volte non viene ben
applicato, e quindi gli animali vengono sgozzati, e poi gettati nelle vasche
di acqua bollente, ancora coscienti. Infatti, quando se ne esaminano i
polmoni, molto spesso si vede che contengono sia sangue che acqua, il che
dimostra che gli animali erano ancora vivi e hanno respirato acqua bollente
quando sono stati gettati nelle vasche.L'unica morte davvero indolore
renderebbe necessario narcotizzare l'animale, ma questo non è possibile,
perché le sue carni devono poi essere mangiate. Ma anche se esistesse un
tipo di macellazione senza sofferenza, è chiaro che non sarebbe comunque
accettabile, perché è l'idea stessa di uccidere un animale, come se
potessimo disporre della sua vita a nostro piacimento, che è totalmente
inaccettabile da un punto di vista etico.Per quanto riguarda i pesci, la
loro morte è ancora peggiore: muoiono asfissiati, in una lenta agonia, muta,
perché non siamo in grado di sentire i suoni che emettono. A volte arrivano
nei banchi delle pescherie ancora vivi a terminare la loro agonia tra il
ghiaccio. I crostacei e i molluschi finiscono bolliti vivi.

Biotecnologie e animali

Le nuove biotecnologie applicate agli animali d'allevamento per
l'alimentazione umana creano animali transgenici a cui è stato modificato il
patrimonio genetico affinché producano di più, più carne, più latte, o si
ammalino di meno. Per produrre di più si usa l'ormone somatropo, ottenendo
così un ingigantimento degli animali. Le conseguenze negative per gli
animali sono sostanzialmente quattro:1. l'inserzione di geni estranei nei
cromosomi degli animali è del tutto casuale e sovente crea individui non
vitali o con malformazioni che causano sofferenza.2. Il gene impiantato
(transgene) può distruggere parte dei geni naturali dell'animale ospite, e
dare di nuovo origine a esseri non vitali. Ad esempio, in un esperimento
sono nati dei topi con gravi anomalie, quali la mancanza degli arti
posteriori, spaccature nel muso, ed enormi difetti cerebrali.3. Non sempre
si riesce a fissare la trasformazione voluta, e quindi occorre ripetere
centinaia di volte la stessa manipolazione su altri animali, fino a
sviluppare con successo la linea desiderata, causando così sofferenze e
morte a un numero elevatissimo di animali.4. I transgeni potrebbero avere
effetti mutanti sui vari organi dell'animale. Per esempio, introducendo il
fattore di crescita umano nel codice genetico di un maiale, si sono ottenuti
maiali con gravi anomalie, eccessivamente pesanti e non in grado di reggere
il proprio peso, oppure artritici, strabici, letargici.Vi sono conseguenze
anche sulla salute umana: per anni si è lottato contro la somministrazione
di ormoni di tipo sessuale agli animali, e questa pratica continua
illegalmente tuttora. Con l'introduzione di ormoni attraverso l'ingegneria
genetica, si ricade nello stesso problema, e si pongono rischi analoghi a
quelli derivanti dall'uso di ormoni in altre forme.

LA SCELTA ECOLOGICA

Sai qual è l'impatto sull'ambiente?

Il mondo moderno industrializzato minaccia l'ambiente naturale in più e più
modi. Di queste minacce, e di come porvi rimedio, si discute con passione da
 anni in vari ambiti. Ma viene sempre trascurato un fattore fondamentale:
l'allevamento di bovini e altri animali per l'alimentazione umana.
L'allevamento su vasta scala, sia di tipo intensivo (in grosse stalle senza
terra dove gli animali sono stipati, come accade in Italia), sia di tipo
estensivo (i grandi ranch degli Stati Uniti, o i pascoli nei paesi del Sud
del mondo) è chiaramente insostenibile dal punto di vista ecologico. Lo è
stato nel passato, ma ogni volta si sono scoperte nuove terre da sfruttare,
e ogni volta è ricominciata l'invasione dei bovini.Ormai, però, la metà
delle terre fertili del pianeta viene usata per coltivare cereali, semi
oleosi, foraggi, proteaginose, destinati agli animali. Per far fronte a
questa immensa domanda - in continuo aumento, in quanto le popolazioni che
tradizionalmente consumavano poca carne oggi iniziano a consumarne sempre di
più - si distruggono ogni anno migliaia di ettari di foresta pluviale, il
polmone verde del pianeta, per far spazio a nuovi pascoli o a nuovi terreni
da coltivare per gli animali, che in breve tempo si desertificano, e si fa
un uso smodato di prodotti chimici per cercare di ricavare raccolti sempre
più abbondanti.Per consumo di risorse, latte e carne sono indiscutibilmente
i "cibi" più dispendiosi, inefficienti e inquinanti che si possano
concepire: oltre alla perdita di milioni di ettari di terra coltivabile (che
potrebbero essere usati per coltivare vegetali per il consumo diretto degli
umani), e oltre all'uso indiscriminato della chimica, vi è la questione
dell'enorme consumo d'acqua in un mondo irrimediabilmente assetato, il
consumo di energia, il problema dello smaltimento delle deiezioni animali e
dei prodotti di scarto, le ripercussioni sul clima, l'erosione del suolo, e
la desertificazione di vaste zone.

L'uso di prodotti chimici

L'abuso di prodotti chimici per l'agricoltura nei paesi più "sviluppati" è
evidente dai dati statistici:in Germania, Giappone, Gran Bretagna, se ne
usano più di 300 kg per ettaro, in Italia 104, mentre i consumi scendono a
35 in Cina, a 22 in Messico, a 7 in Bangladesh e a 1 in Nigeria. I prodotti
chimici comprendono fertilizzanti, pesticidi (che uccidono gli insetti
nocivi per le colture) ed erbicidi (che uccidono le piante nocive): tutti
inquinano il suolo, l'acqua e il cibo stesso. Dal 1945 ad oggi il consumo di
pesticidi è decuplicato, mentre i danni provocati dagli insetti alle colture
è raddoppiato. Non si tratta però di un problema legato all'agricoltura in
sé e per sé, ma all'agricoltura finalizzata all'allevamento di animali: per
quanto riguarda gli erbicidi, ad esempio, è indicativo il fatto che l'80% di
quelli usati negli USA viene utilizzato nei campi di mais e di soia
destinati all'alimentazione degli animali. Il massiccio uso di fertilizzanti
è dovuto soprattutto alla pratica della monocoltura, che risulta conveniente
in quanto consente una industrializzazione spinta:vengono standardizzate le
tipologie di intervento, i macchinari agricoli, le competenze e i tempi di
lavoro. Se anziché alla monocoltura i suoli fossero destinati a coltivazioni
a rotazione per uso diretto umano, non sarebbero necessari prodotti chimici,
perché il suolo rimarrebbe fertile.

Il consumo di energia

Nel trasformare vegetali in proteine animali, un'ingente quantità delle
proteine e dell'energia contenute nei vegetali viene sprecata: il cibo serve
infatti a sostenere il metabolismo degli animali allevati, ed inoltre vanno
considerati i tessuti non commestibili come ossa, cartilagini e frattaglie,
e le feci. Esiste il cosiddetto "indice di conversione", che misura la
quantità di cibo necessaria a far crescere di 1 kg l'animale. Ad un vitello
servono 13 kg di mangime per aumentare di 1 kg, mentre ne servono 11 a un
vitellone (un bue giovane) e 24 ad un agnello. I polli richiedono invece
solo 3 kg di cibo per ogni kg di peso corporeo. Se si considera poi che
l'animale non è tutta carne, ma vi sono anche gli "scarti", queste quantità
vanno raddoppiate.Il rendimento delle proteine animali è ancora più basso.
Un bovino, ad esempio, ha un'efficienza di conversione delle proteine
animali di solo il 6%: consumando cioè 790 kg di proteine vegetali, produce
meno di 50 kg di proteine.L'economista Frances Moore Lappé fa notare come,
nel 1979, 145 milioni di tonnellate di cereali e soia siano stati utilizzate
negli USA come mangime per gli animali. Di queste, solo 21 milioni sono
state poi rese disponibili per l'alimentazione umana in forma di carne,
latte e uova. I 124 milioni di tonnellate di cibo vegetale sprecato
avrebbero fornito una porzione di cibo nutriente per tutti gli esseri umani
della Terra, ogni giorno, per un anno.Oltre allo spreco di energia
necessaria per il funzionamento dell'organismo, va contata l'energia
necessaria per la coltivazione del cibo per gli animali e per il
funzionamento degli allevamenti stessi. Dal punto di vista dell'uso di
combustibile fossile, per ogni caloria di carne bovina servono 78 calorie di
combustibile, per ogni caloria di latte ne servono 36, e per ogni caloria
che proviene dalla soia sono necessarie solo 2 calorie di combustibile
fossile, un rapporto di 39:1 a sfavore della carne. Jon R. Louma afferma che
per ogni caloria ingerita dall'americano medio, servono 9.8 calorie di
carburante fossile, quindi in un anno un americano "mangia" 13 barili di
petrolio.

Il consumo d'acqua

Il 70% dell'acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e
dall'agricoltura (i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire gli
animali d'allevamento).Quasi la metà dell'acqua consumata negli Stati Uniti
è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame.Gli allevamenti
consumano una quantità d'acqua molto maggiore di quella necessaria per
coltivare soia, cereali, o verdure per il consumo diretto umano. Dobbiamo
sommare, infatti, l'acqua impiegata nelle coltivazioni, che avvengono in
gran parte su terre irrigate, l'acqua necessaria ad abbeverare gli animali e
l'acqua per pulire le stalle.Una vacca da latte beve 200 litri di acqua al
giorno, 50 litri un bovino o un cavallo, 20 litri un maiale e circa 10 una
pecora.Il settimanale Newsweek ha calcolato che per produrre soli cinque
chili di carne bovina serve tanta acqua quanta ne consuma una famiglia media
in un anno.Facendo un calcolo basato sulla quantità di proteine prodotte si
ottiene un rapporto molto sbilanciato a sfavore degli allevamenti: per un
chilo di proteine animali occorre un volume d'acqua 15 volte maggiore di
quello necessario alla produzione della stessa quantità di proteine
vegetali.

Le deiezioni animali

In Italia gli animali da allevamento producono annualmente circa 19 milioni
di tonnellate di deiezioni a scarso contenuto organico, che non possono
essere usate come fertilizzante. Attualmente, lo smaltimento di questi
liquami avviene per spandimento sul terreno, il che provoca un grave
problema di inquinamento da sostanze azotate, che causa inquinamento nelle
falde acquifere, nei corsi d'acqua di superficie, nonché eutrofizzazione nei
mari. Anche i farmaci somministrati agli animali possono passare
nell'ambiente con i reflui e residuare nei suoli, nei vegetali, nelle acque
e quindi negli alimenti di cui si ciba l'uomo, come le verdure o il
pesce.Calcolando il carico equivalente, ovvero trasformando il numero di
animali in quello equivalente di popolazione umana che produrrebbe lo stesso
livello di inquinamento da deiezioni, in totale, in Italia, gli animali
equivalgono ad una popolazione aggiuntiva di 137 milioni di cittadini, cioè
più del doppio del totale della popolazione.

Il problema degli scarti

Oltre alle deiezioni, occorre smaltire tutte le parti di "scarto" degli
animali uccisi.In caso di epidemie, vengono bruciati, o seppelliti (vivi o
morti) milioni di animali. La cremazione richiede una grande quantità di
combustibile ed emette fumi inquinanti e tossici (compresa la diossina). La
sepoltura contribuisce all'inquinamento delle fonti d'acqua e
all'inquinamento da antibiotici (di cui gli animali sono imbottiti).Ma anche
nel "normale processo produttivo" viene prodotta un'enorme quantità di
scarti non utilizzabili: la testa, i visceri, gli zoccoli, il contenuto
dell'intestino, le cartilagini, le piume, le ghiandole, sono parti che non
vengono normalmente usate.Fino a poco tempo fa venivano essiccate e tritate
in farine carnee che venivano aggiunte ai mangimi degli animali erbivori, ma
ora, dopo il caso "mucca pazza", questo non è più possibile (almeno, non lo
è legalmente) e quindi vengono stoccate, con conseguente spreco di spazio e
denaro pubblico.Altri sottoprodotti sono usati dall'industria. Ad esempio la
pelle è usata nell'industria conciaria, che è una delle più inquinanti che
esistano: le concerie sono responsabili dell'acidificazione di vasti
territori agricoli e rendono non potabili le acque della zona in cui
sorgono, oltre a essere estremamente dannose per la salute dei lavoratori.

Il clima e la desertificazione

Le conseguenze più drammatiche del consumo di latte e carne si verificano
nel Terzo Mondo: il disboscamento operato per far posto agli allevamenti di
bovini destinati a fornire proteine animali all'Occidente ha distrutto in
pochi anni milioni di ettari di foresta pluviale. Ogni anno scompaiono 17
milioni di ettari di foreste tropicali. L'allevamento intensivo non ne è la
sola causa, ma sicuramente gioca un ruolo primario: nella foresta Amazzonica
l'88% dei terreni disboscati è stato adibito a pascolo e circa il 70 % delle
zone disboscate del Costa Rica e del Panama sono state trasformate in
pascoli. A partire dal 1960, in Brasile, Bolivia, Colombia, America Centrale
sono stati bruciati o rasi al suolo decine di milioni di ettari di foresta,
oltre un quarto dell'intera estensione delle foreste centroamericane, per
far posto a pascoli per bovini. Per dare un'idea delle dimensioni del
problema, si pensi che ogni hamburger importato dall'America Centrale
comporta l'abbattimento e la trasformazione a pascolo di sei metri quadrati
di foresta.Paradossalmente, questa terra non è affatto adatta al pascolo:
nell'ecosistema tropicale lo strato superficiale del suolo contiene poco
nutrimento, ed è molto sottile e fragile. Dopo pochi anni di pascolo il
suolo diventa sterile, e gli allevatori passano ad abbattere un'altra
regione di foresta. Gli alberi abbattuti non vengono commercializzati,
risulta più conveniente bruciarli sul posto.La geografa Susanna Hecht
racconta che il 90% degli allevamenti di bestiame nella ex-foresta
amazzonica cessa l'attività dopo circa otto anni, per ricominciare in altre
zone. Si possono percorrere centinaia di chilometri di strada nella foresta
amazzonica senza trovare altro che terre abbandonate dove cresce una
vegetazione secondaria.Per quanto riguarda le terre adibite alla
coltivazione di cereali per l'alimentazione animale, il continuo
accorciamento dei maggesi non lascia al suolo il tempo di rigenerarsi,
accentuandone l'erosione. Ne conseguono sia frane ed inondazioni, sia una
diminuzione dell'approvvigionamento delle falde, il che provoca
desertificazione, disarticolazioni idrogeologiche e siccità ricorrenti.
Nelle zone semiaride, come l'Africa, lo sfruttamento dei suoli per
l'allevamento estensivo (i cui prodotti vengono esportati nei paesi ricchi)
porta alla desertificazione, cioè alla riduzione a zero della produttività
di queste terre. Le Nazioni Unite stimano che il 70% dei terreni ora adibiti
a pascolo siano in via di desertificazione.Anche alcune parti delle Grandi
Pianure del "West" americano si stanno trasformando in deserto. Ampi fiumi
sono diventati ruscelli o si sono prosciugati del tutto lasciando spazio a
distese di fango. Dove prima vi erano vegetazione ed animali selvatici di
ogni specie, oggi non cresce più nulla e non vi è più vita animale.
L'allevamento estensivo di bovini è stato, e continua a essere, la causa di
tutto questo.Per quanto riguarda il clima, la combustione di milioni di
ettari di foresta produce milioni di tonnellate di carbonio. L'elevato
consumo di energia nelle varie fasi della produzione di carni produce grandi
quantità di anidride carbonica, che contribuisce all'effetto serra. Dalle
deiezioni animali viene prodotta una tale quantità di metano (per ogni kg di
carne, 3 etti di metano emessi durante la ruminazione) da contribuire per il
15%-20% all'effetto serra globale. Inoltre, l'80%-90% dell'ammoniaca immessa
nell'atmosfera viene emessa dagli animali: questo è causa di piogge acide
che danneggiano suoli e boschi.

LA SCELTA SALUTISTICA

Sai che effetti può avere sul tuo corpo e sulla tua salute?
I pericoli per la salute umana che derivano dal consumo di alimenti di
origine animale (carne, pesce, uova, latte e latticini) sono molti, non
tutti evidenti e conosciuti alla maggior parte delle persone, anche se negli
ultimi tempi si è iniziato a parlarne. Varie epidemie sono scoppiate, in
tempi remoti e recenti, tra gli animali d'allevamento, portando con sé il
serio pericolo (in alcuni casi diventato realtà) di contagio animale-uomo.
Gli animali negli allevamenti intensivi sono imbottiti di antibiotici e
farmaci di vario genere, e i pesci pescati nei mari sono un concentrato
delle sostanze tossiche di cui le acque sono oggi "ricche".Anche
tralasciando tutti questi pericoli, rimane comunque il fatto che una dieta a
base di alimenti di origine animale è inadatta all'organismo umano, e porta
a tutte quelle malattie degenerative che costituiscono le prime cause di
morte nei paesi ricchi.

Infezioni trasmissibili all'uomo

Molte persone sono estremamente preoccupate dalle possibili infezioni da
animali a uomo, e sostengono che "gli animali portano malattie", sempre
riferendosi ad animali vivi, che danno loro fastidio, come i piccioni, o
anche cani e gatti. Questa credenza è del tutto infondata, è solo un
preconcetto, perché è praticamente impossibile contrarre malattie dal
contatto con questi animali, quando si rispettano le normali norme
igieniche. Sono molto rare (e mai gravi, tranne nel caso della rabbia, ormai
praticamente assente in Italia) le malattie che si possono trasmettere da
animali vivi a uomini, è molto più probabile contrarre le stesse infezioni
per altre vie (da oggetti, o, più facilmente, da altri esseri umani). Le
stesse persone non si preoccupano invece di una forma di contagio molto più
pericolosa e probabile, quella che può aver luogo cibandosi di animali. In
questo caso non è più vero, secondo loro, che "gli animali portano
malattie": toccarli, o vivere nel loro stesso ambiente, è pericoloso,
mangiarli no!In realtà, la quasi totalità delle infezioni che si contraggono
dagli animali sono proprio quelle derivanti dal consumo di cibi di origine
animale. Si va dalla comune salmonella, che nella stragrande maggioranza dei
casi si contrae in seguito al consumo di uova infette, a malattie molto più
pericolose, anche ad esito letale, come il morbo di Creutzfeld-Jacob, con
ogni probabilità la variante umana della BSE, l'encefalopatia spongiforme
bovina, comunemente detta "morbo della mucca pazza".In quest'ultimo caso,
un'infezione che colpisce gli animali salta la barriera di specie e colpisce
anche gli esseri umani.Un altro esempio di questo genere è costituito
dall'influenza aviaria, che periodicamente colpisce polli e tacchini negli
allevamenti intensivi. Questi vengono abbattuti in massa, per non rischiare
un contagio all'uomo a causa di una possibile mutazione del virus in grado
di saltare la barriera di specie e colpire anche gli esseri umani. Infatti
questa malattia è molto vicina al ceppo virale H5NI che qualche anno fa a
Hong Kong uccise alcune persone.Anche la tubercolosi bovina è trasmissibile
all'uomo (anche se nell'uomo assume una forma molto blanda), e da tempo si
sospetta che il virus della leucemia bovina, il Blv, che infetta il 20%
delle vacche negli USA, possa avere dei legami con alcune forme di leucemia
umana.Le ispezioni compiute nell'ambito dei controlli sulla BSE hanno
portato alla luce un fiorente mercato clandestino: animali importati
illegalmente da paesi in cui i controlli veterinari sono meno stringenti,
bovini macellati senza autorizzazione, allevamenti di animali per carni
"alternative" che usano mangimi proibiti, anche contenenti diossina.

Farmaci e sostanze tossiche presenti negli animali di allevamento
Negli animali si concentrano i pesticidi usati per la coltivazione dei
vegetali che formano il loro mangime: si è stimato che negli USA l'80% dei
pesticidi e fertilizzanti viene utilizzato per la coltivazione dei vegetali
(cereali, semi oleosi e proteaginose) destinati all'alimentazione degli
animali d'allevamento. Se l'uomo consumasse direttamente gli stessi
vegetali, coltivati nello stesso modo, ne mangerebbe molti meno: per
incamerare la stessa quantità di proteine, da alimenti vegetali e dalla
carne degli animali che consumano cibi vegetali, il rapporto è di circa 1 a
16 (nel caso di carne bovina). Infatti, per un grammo di proteine che
l'animale "produce", esso deve mangiare 16 grammi di proteine vegetali
(perché ovviamente, la maggior parte delle sostanze nutritive viene usata
nei processi metabolici dell'animale). Questo implica che i pesticidi e i
fertilizzanti si ritrovino "concentrati" nella carne degli animali, e quindi
chi si ciba di carne è costretto a ingerirne molti di più rispetto a quanto
accadrebbe se consumasse direttamente i vegetali. Quando i mangimi
contengono panelli di olii esausti, o sostanze ancora più tossiche, il
rischio è maggiore, come è accaduto, ad esempio, nella vicenda dei polli
alla diossina, in cui questa sostanza era contenuta nei mangimi degli
animali.Inoltre, negli allevamenti intensivi gli animali vengono imbottiti
di farmaci, per cercare di scongiurare le malattie causate dallo stress da
sovraffollamento e dalla debolezza congenita di questi animali, frutto di
manipolazioni genetiche che danno luogo ad animali "iperproduttivi", ma che
si ammalano molto facilmente.Ad esempio, negli allevamenti di maiali, quando
gli animali sono mantenuti sul grigliato, l'aria dei capannoni è
caratterizzata da un eccesso di ammoniaca ed altri gas, che rappresenta un
fattore irritante per le mucose delle vie respiratorie, che determina uno
stato di continua irritazione e a volte porta a forme polmonari o bronchiali
più gravi, per cui la somministrazione di farmaci deve essere continua. In
Europa vengono consumate 5000 tonnellate di antibiotici LEGALI, di cui 1500
per favorire la crescita artificiale di polli, suini, tacchini e vitelli. A
queste vanno aggiunte tutte le sostanza illegali largamente impiegate, che
molto difficilmente vengono scoperte nei controlli veterinari (che sono
comunque pochissimi, viene controllato un animale ogni 7000), perché sono
sempre diverse e se non si conosce a priori la sostanza cercata non si
possono eseguire test per scoprirne la presenza.L'abuso di antibiotici è
pericoloso perché è all'origine del fenomeno della resistenza dei batteri a
un numero sempre maggiore di antibiotici, cosa che preoccupa molto gli
scienziati di tutto il mondo. Viene infatti in questo modo favorito lo
sviluppo di batteri, che, "allenati" da questa continua esposizione agli
antibiotici, si adattano, diventando resistenti a questi farmaci, che su di
essi non hanno più effetto. L'altro pericolo legato all'ingestione di
farmaci dalle carni degli animali è quello di cancerogenicità: in Gran
Bretagna un pollo su cinque e un uovo su dieci contengono tracce di farmaci
che possono far aumentare nell'uomo il rischio di cancro.La sindrome di
"mucca pazza" ha scatenato nei consumatori la corsa ad altri tipi di carne,
nella speranza di una maggior "sicurezza", mentre invece si verifica il
contrario: se contrarre il morbo di "mucca pazza" è comunque ad oggi
piuttosto improbabile, subire dei danni alla salute per il consumo di carni
ancora più "a rischio", come quelle di vitelli, maiali, pollame conigli e
pesci, è praticamente certo, dato che per questi animali le condizioni di
allevamento sono ancora peggiori e i farmaci usati, di conseguenza, sono
molti di più.Gli estrogeni sempre presenti in ogni tipo di carne provocano
anche diverse disfunzioni a livello ormonale negli esseri umani. Ad esempio,
nel Centro di ginecologia dell'infanzia e dell'adolescenza dell'Università
di Torino è stato verificato un aumento dei casi di telarca (sviluppo delle
ghiandole mammarie prima della pubertà) nelle bambine, e come terapia è
stata consigliata l'esclusione dalla dieta di ogni genere di carne.E' del
luglio 2002 la notizia che gli allevatori olandesi hanno voluto distruggere
50 mila maiali perché i test per controllare se i mangimi sono stati
contaminati da un ormone vietato sarebbero costati troppo. Molti allevamenti
olandesi hanno ricevuto partite di carne contaminata con
medrossi-progesterone-acetato (Mpa), un ormone che mette a rischio la
fertilità dell'uomo e che in Europa viene usato solo a scopi terapeutici.
Questa volta le sostanze illegali sono state scoperte (e chi ne fa le spese
sono sempre gli animali), quante altre volte invece non si scoprono (e ne
fanno quindi le spese gli animali, e i consumatori)?

Sostanza tossiche nei pesci

Molti pensano che "il pesce" sia un alimento più salutare della carne, ma
non è così. I pesci allevati nelle vasche d'acquacoltura (e sono sempre di
più) soffrono degli stessi problemi degli altri animali degli allevamenti
intensivi, e anche nei loro mangimi si trova ogni genere di sostanza
chimica. Per i pesci che prima di essere pescati vivono liberi nei mari si
pone invece il problema dell'inquinamento delle acque: questi animali sono
veri e propri concentrati di sostenze tossiche, soprattutto di diossina.
L'80% della diossina assorbita dai finlandesi, ad esempio, deriva dal pesce
di cui si nutrono abbondantemente. I risultati di uno studio dell'aprile
2001 commissionato dal Parlamento Europeo dimostrano che il mar Baltico è
particolarmente inquinato, in quanto in esso si riversano le scorie di varie
industrie. Sul mar Mediterraneo non si hanno dati specifici, anche se si sa,
per esempio, che la laguna di Venezia è particolarmente ricca di metalli
pesanti e diossina.Il 60% del pesce consumato in Italia proviene
dall'estero, soprattutto da paesi extraeuropei, in cui non viene rispettata
alcuna regola e non vi è alcun controllo sul pescato.

Le patologie causate dai cibi di origine animale

Anche tralasciando tutti i pericoli elencati nelle sezioni precedenti, e
supponendo per assurdo che gli animali non possano trasmetterci alcuna
infezione e non siano infarciti di farmaci, anabolizzanti e sostanze
tossiche, rimane comunque il fatto che una dieta a base di alimenti di
origine animale è inadatta all'organismo umano. Il complesso degli studi
nutrizionali dimostra che per prevenire e curare le più comuni e gravi
patologie degenerative tipiche dei paesi industrializzati occorre cambiare
dieta, limitando di molto, o escludendo del tutto, i prodotti di origine
animale. Secondo un rapporto del Surgeon General degli Stati Uniti, più di
1,5 dei 2,1 milioni di decessi riscontrati nel 1987 possono essere messi in
relazione a fattori alimentari, soprattutto al consumo di grassi saturi e
colesterolo.Non a caso, l'associazione dei nutrizionisti americani (ADA)
promuove un'alimentazione che esclude i prodotti animali, oggi largamente
consumati, per uomini, donne, donne incinte, donne che allattano, bambini e
sportivi. Negli ultimi anni il mito delle proteine animali è stato
abbandonato anche dai nutrizionisti che in passato lo sostenevano. E' stato
ampiamente dimostrato che molti vegetali possiedono il medesimo contenuto
proteico delle carni e che possono soddisfare il nostro fabbisogno di
aminoacidi essenziali e non essenziali: legumi, cereali integrali, verdure,
semi e noci contengono tutti gli aminoacidi; non è neppure necessario
combinare questi alimenti in un unico pasto, come anni fa consigliava
erroneamente la teoria della complementarità delle proteine. Le proteine di
soia, inoltre, equivalgono nutrizionalmente a quelle animali e, se lo si
desidera, possono costituire quasi l'unica fonte di assunzione proteica.Le
patologie cardiovascolari, neoplastiche e l'obesità sono in diretta
relazione con l'eccessivo consumo di grassi, in particolare di grassi
saturi, che fanno depositare il colesterolo nei vasi arteriosi, causando
danni irreparabili all'organismo umano. I prodotti di origine animale sono
ricchi di questi grassi, mentre i vegetali ne sono poverissimi. Un cospicuo
numero di studi epidemiologici dimostra che un'alimentazione priva di
alimenti di origine animale è la più confacente alle esigenze dell'organismo
umano e numerose pubblicazioni hanno accertato come - grazie all'abbondante
introduzione di vitamine, minerali, fibre, carboidrati complessi,
oligoelementi, biostimoline e molte altre sostanze sinergiche - nelle
persone che si alimentano in questo modo sia considerevolmente minore
l'incidenza di gravi patologie quali tumori, ipertensione, arteriosclerosi,
infarto, ictus, diabete, obesità, osteoporosi, calcoli e altre patologie che
costituiscono le principali cause di malattia e mortalità nei paesi
industrializzati.

LA SCELTA SOCIALE

Sai quali sono le implicazioni sociali di questo cibo?
Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno a causa della fame, della
denutrizione e delle malattie ad essa collegate. Di queste circa 18.000 sono
bambini. Ciò significa che ogni settimana muoiono circa 170.000 persone,
ogni mese circa 700.000, ogni anno quasi 9 milioni. In totale, un miliardo
di individui non ha cibo a sufficienza, mentre un altro miliardo consuma
carne in maniera smodata. E' questo il problema di fondo: lo squilibrio
nella distribuzione delle risorse. L'attuale disponibilità di derrate
alimentari potrebbe consentire a tutti gli abitanti del pianeta di assumere
un numero sufficiente di calorie, proteine, e altri nutrienti necessari.Le
produzioni attuali di cereali e legumi sarebbero sufficienti a sfamare
tutti, occorrerebbe solo consumare direttamente i vegetali, anziché usarli
per nutrire gli animali, con un grave spreco, e ridistribuire le risorse in
modo equo.Il problema della ridistribuzione delle risorse non è causato
soltanto dallo spreco dovuto allo smodato consumo di carne da parte dei
paesi ricchi, è sicuramente più ampio, ma questi specifici sprechi vi
contribuiscono in maniera significativa.Nei paesi poveri sono state
incentivate le produzioni di cereali destinate ad essere esportate e
successivamente utilizzate come mangime per l'allevamento intensivo del
bestiame, bestiame che si trasforma in tonnellate di carne e va a costituire
la dieta squilibrata del Nord del mondo, dove l'emergenza sanitaria è ormai
costituita dall'obesità e da tutte le malattie connesse alla
sovralimentazione e all'eccessivo consumo di prodotti animali, mentre il Sud
del mondo si vede sottrarre le proteine vegetali con cui potrebbe garantire
la sopravvivenza ai suoi figli.

Carne per tutti? Il pianeta non regge

Negli Stati Uniti, il 70% dei vegetali (cereali e semi oleosi) usati vanno a
nutrire gli animali, in Europa il 55%, in India solo il 2%. Su scala
mondiale, quindi, un terzo dei cereali e tre quarti della soia prodotti
globalmente sono destinati a nutrire gli animali anziché gli esseri umani.
Basandosi su consumi pari a quelli statunitensi attuali, un raccolto di 2,2
miliardi di tonnellate di vegetali può nutrire solo 2,75 miliardi di persone
(su 6 miliardi che popolano il pianeta). Questi dati dimostrano che,se tutti
adottassero un modello di consumo come quello oggi imperante nei paesi
occidentali, il pianeta non potrebbe reggere. Lo stesso raccolto potrebbe
nutrire 11 miliardi di indiani (i quali hanno un consumo pro-capite di carne
di molto inferiore a quello dell'occidentale medio), un numero maggiore
dell'attuale popolazione mondiale. Sei miliardi di umani, tanto carnivori
quanto il cittadino medio occidentale, richiederebbero il doppio delle terre
emerse esistenti, perché sarebbe necessaria una quantità di cereali pari a
più del doppio dell'attuale produzione.Eppure, il consumo e la richiesta di
carne sono in continuo aumento, poiché nei paesi in via di sviluppo il
nutrirsi di carne è visto come uno status symbol. L'International Food and
Policy Research Institute (IFPRI) prevede uno scenario insostenibile per il
2020:
la domanda di carne nel sud del mondo sarà doppia rispetto al 1995;
la domanda di carne di maiale triplicherà in Asia e raddoppierà in America
Latina e Africa;
in occidente, vi sarà un aumento del 25% rispetto agli attuali consumi già
spropositati;
lo squilibrio rimarrà sempre elevato: Asia meridionale 8,5 kg di carne annui
pro-capite; Africa sub-sahariana 11,2; Medio Oriente e Nordafrica 26,4;
Sud-est asiatico 26,9; Asia orientale 63,7; America Latina 64,3; paesi
occidentali 85,3;
i cinesi copriranno un quarto dell'aumento globale della domanda di cereali
e due quinti dell'aumento della domanda di carne.

Import-export tra paesi poveri e ricchi

Secondo quanto riportato dalla Commissione Europea, l'Europa è in grado di
produrre abbastanza vegetali da nutrire tutti i suoi abitanti, ma non i suoi
animali. Solo il 20% dei vegetali destinati agli animali d'allevamento
proviene dall'interno, il resto viene importato dai paesi del sud del mondo,
impoverendoli ulteriormente, e sfruttando le loro risorse ambientali. Ad
esempio, l'Etiopia, paese in cui la morte per fame è all'ordine del giorno,
anche durante i periodi di carestia esportava semi oleosi per il consumo
animale, anziché destinare lo stesso suolo a coltivazioni per il consumo
umano diretto. Il Brasile coltiva a soia 60 milioni di ettari, il 23% della
terra coltivabile del paese, soia che esporta in Europa per il 50%, e vende
all'estero carne bovina e animali vivi, nonostante 30 milioni di persone
siano malnutrite. Le coltivazioni di soia prendono il posto di quelle di
mais e fagioli neri destinati all'alimentazione locale, facendo così
aumentare i prezzi e facendone diminuire la disponibilità.In Colombia, 40
milioni di ettari sono lasciati a pascolo dai latifondisti per allevare
animali, mentre solo 5 milioni sono coltivate da piccoli agricoltori.Il
Messico coltiva una quantità sempre maggiore di sorgo a uso animale: 25 anni
fa, il bestiame consumava il 6% della produzione totale di cereali, oggi più
del 33%. In un paese in cui milioni di persone soffrono di denutrizione
cronica.L'India, paese vegetariano per tradizione, sta iniziando a
occidentalizzarsi e a consumare più carne, ed inoltre esporta il 75% della
carne che produce (anche se non bovina) nei 50.000 macelli nati negli ultimi
anni.I prodotti animali che il sud del mondo esporta verso il nord
provengono sempre da allevamenti intensivi di pochi ricchi proprietari, o da
allevamenti estensivi dei grandi latifondisti, che arricchiscono poche
persone, impoveriscono l'ambiente naturale e affamano la popolazione locale.

LA SCELTA ECONOMICA

E sai perché non te lo vogliono spiegare?

Nel mondo, in media, il 50% della forza lavoro è impiegata in agricoltura,
con grandi variazioni da un paese all'altro: il 64% in Africa, il 61% in
Asia, il 24% in Sud America, il 15% nell'Europa orientale e negli stati ex
URSS, il 7% in Europa occidentale e meno del 4% in Canada e USA. Lo sviluppo
tecnologico fa diminuire la forza lavoro necessaria ed il prezzo delle
materie prime, ma solo per economie di scala. I piccoli proprietari non
possono permettersi i grossi investimenti richiesti da questo genere di
agricoltura, e si assiste quindi alla continua diminuzione delle aziende
agricole a conduzione familiare e all'affermarsi di poche grandi imprese.
Mentre nel passato vi era una simbiosi tra la coltivazione della terra e
l'allevamento di animali, a partire dagli anni '50-'60 si è sviluppata in
Europa (sulla scia di quanto avveniva negli Stati Uniti) la zootecnia
intensiva, in cui gli animali vivono in grandi capannoni senza più alcun
legame con la terra, e i mangimi vengono acquistati all'esterno, spesso
anche da altri continenti.Le tecnologie che hanno consentito questa
trasformazione in allevamenti "senza terra" sono state: l'introduzione dei
mangimi complessi e integrati, un'unica miscela di sostanze nutritive e
farmaci; la realizzazione di strutture più razionali e igieniche; l'uso
della chimica negli allevamenti, sotto forma di farmaci, vaccini,
antiparassitari, che vengono somministrati agli animali non quando
necessari, ma costantemente, come forma di prevenzione.I prodotti della
zootecnia costano poco sul mercato, ma se la produzione avvenisse in modo
sostenibile (dal punto di vista ambientale, della salute del consumatore, e
del benessere degli animali), i costi sarebbero almeno triplicati. Va
considerato che l'attuale sistema non sopravvive senza le sovvenzioni
pubbliche: quello che il consumatore non spende al momento dell'acquisto, lo
spende quando paga le tasse, in forma di sovvenzioni agli allevatori.

I numeri, quanti allevamenti in Italia, dove, e chi ci lavora

In Italia i lavoratori del settore della zootecnia sono 700.000,
considerando allevamenti, macelli, industrie di trasformazione, concerie, a
cui vanno aggiunti 15.000 addetti alla pesca. Più l'allevamento è intensivo
e causa di sofferenza per gli animali, meno addetti richiede: per i polli
industriali, ad esempio, è sufficiente un addetto ogni 100.000 animali. Gli
allevamenti si concentrano soprattutto in Piemonte, Lombardia, Emilia
Romagna e Veneto.In Italia si allevano 9 milioni di bovini, 9 milioni di
suini, quasi 13 milioni tra ovini e caprini, 500 milioni di polli "da
carne", 50 milioni di galline ovaiole, 100 milioni di conigli e centinaia di
milioni di altro pollame (galline faraone, tacchini, quaglie, ecc.).In
Europa, i numeri ovviamente crescono: 90 milioni di bovini (di cui 30
milioni di vacche), 118 milioni di suini, 250 milioni di galline ovaiole.In
tutto il mondo: 1 miliardo e 300 milioni di bovini, 2 miliardi e 700 milioni
di ovini e caprini, 1 miliardo di suini, 12 miliardi di polli e galline e
altro pollame. Per rendere meglio l'idea:il 24% della superficie terrestre è
occupato, direttamente o indirettamente, da bovini.In Australia, la
popolazione bovina supera quella umana del 40%. In Sudamerica ci sono
mediamente nove vacche ogni dieci persone.Ogni anno in Italia si macellano
circa 4.700.000 bovini di cui la metà italiani e la metà importati.Nord,
Centro e Sudamerica producono il 43% di tutta la carne bovina del mondo.
L'Europa occidentale il 17%, la Russia il 18%.

L'accentramento della proprietà

Spesso, quando si chiede una riforma nel campo dell'allevamento, o si chiede
ai cittadini di consumare meno carne, ci si sente rispondere col ricatto dei
"posti di lavoro" a rischio. In realtà la vera minaccia per l'occupazione
proviene proprio dal sistema di allevamento intensivo, che riduce il numero
delle piccole imprese a favore di quelle più grandi, che richiedono meno
manodopera. In Italia, solo alcuni allevamenti di razze bovine o ovine
autoctone, o di vacche da latte, è di proprietà degli allevatori stessi. La
maggior parte degli allevatori lavora in soccida (non possiede cioè gli
animali che alleva). Il 90% dei maiali sono allevati in questo modo e il
pollame è di proprietà di pochi grandi industriali che sono anche
proprietari di tutta la filiera produttiva.Dato che il guadagno con questo
genere di lavoro non è molto elevato, spesso gli allevatori hanno un secondo
lavoro, e questo fa sì che il tempo che dedicano alla cura degli animali sia
troppo esiguo, e gli animali vengano spesso lasciati sporchi e senza
cure.L'accentramento della proprietà si verifica perché, in questa forma di
allevamento industrializzato, i costi dei macchinari e della loro
manutenzione sono molto alti, e quindi i piccoli proprietari sono costretti
a vendere le loro stalle ai grandi proprietari, diventano manodopera
salariata. Oltretutto, questo modello di allevamento necessita di pochissima
manodopera, perché è tutto automatizzato, e questo è un danno sia per i
lavoratori che per gli animali, perché diventano più rari i momenti in cui
gli allevatori sono in contatto con loro. Spesso capita infatti che nessuno
si accorga del malessere di un animale prima che sia troppo tardi, e molte
volte l'animale viene trovato morto senza che nessuno si fosse accorto prima
che stava male.Esistono delle holding proprietarie di allevamenti,
mangimifici, impianti di macellazione e catene di distribuzione nonché,
spesso, di industrie farmaceutiche. Alcuni esempi sono l'Inalca, quotata in
borsa, e i gruppi Veronesi (AIA) e Amadori.Tutto il sistema di agricoltura e
allevamento è governato dalle multinazionali della chimica. Per gli
allevamenti intensivi sono necessari cereali e leguminose: i semi di queste
piante, ibridi, devono essere acquistati ogni anno da poche
multinazionali.Per la loro coltivazione sono usate varie sostanze chimiche,
erbicidi, fitofarmaci, concimi, prodotti per la maggior parte dalle stesse
industrie. Agli animali vengono somministrate elevate quantità di farmaci:
quelli legali, come gli antibiotici, e quelli illegali, come gli
anabolizzanti, oltre a svariate sostanze chimiche come integratori,
coloranti, appetizzanti, sempre provenienti dalle stesse industrie
chimico-farmaceutiche.Dopo la macellazione degli animali, i prodotti a base
di carne vengono insaporiti con altre sostanze chimiche. L'industria chimica
influenza dunque tutta la filiera agro-zootecnica.

Il ruolo dei consumatori

La responsabilità del proliferare degli allevamenti intensivi è anche del
singolo consumatore: fino a pochi decenni fa la carne era un alimento di
lusso mentre ora, solo grazie agli allevamenti intensivi, costa tanto poco
da trovarsi sui piatti di tutte le famiglie a ogni pasto, o quasi. Tutti
hanno accolto con favore questa diminuzione di prezzo, senza chiedersi che
cosa ci fosse dietro. Allo stesso tempo però, i consumatori pretendono
garanzie di salubrità, senza rendersi conto che è impossibile coniugare
qualità con produzioni così elevate. Nonostante tutti gli scandali che
continuano a susseguirsi, si fa finta di non vedere, di non sapere che il
problema deve essere risolto alla radice, eliminando l'allevamento intensivo
e consumando quindi carne in quantità molto minore (meglio ancora, non
consumandone affatto), pagandola a un prezzo più elevato. Va contato
inoltre, nel calcolo del reale costo della carne, quanto paghiamo in tasse
sotto forma di sovvenzione pubblica agli allevatori, e quanto paghiamo in
Sanità, in termini di malattie degenerative che potrebbero essere prevenute
con una alimentazione priva (o contenente quantitativi molto piccoli) di
prodotti animali.Oggi in Occidente si spende di più in alimenti dimagranti
che in cibo "normale": il 30% della popolazione soffre di sovrappeso e
ricorre ad alimenti dietetici, a base di prodotti chimici, commercializzati
dalle stesse aziende che riforniscono gli allevamenti di farmaci e
anabolizzanti. Si è così creato un circolo vizioso per cui le persone si
nutrono troppo e spendono molto per dimagrire, ad esclusivo vantaggio, per
entrambi gli aspetti, dell'industria chimica.

Globalizzazione e perdita della biodiversità

L'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO), dominata dai paesi più
ricchi e dalle multinazionali, ha imposto un genere di globalizzazione
penalizzante per chiunque voglia fissare dei paremetri minimi di benessere
animale, di rispetto dell'ambiente e della salute dei consumatori. L'OMC
vieta infatti a tutti i paesi firmatari di fissare delle regole sulle
importazioni sulla base dei PMP (Processi e Metodi Produttivi). In questo
modo, chiunque fissi degli Standard di qualità all'interno del proprio paese
non potrà evitare che prodotti di altri paesi, fabbricati senza alcuna
regola e quindi a costo più basso, invadano il mercato interno, vanificando
così la regolamentazione locale. La globalizzazione fa sì che animali vivi e
morti vengano importati da - ed esportati verso - paesi molto lontani tra
loro geograficamente, contribuendo così alla grande sofferenza legata al
trasporto di animali vivi e all'enorme consumo energetico necessario per il
trasporto. La carne si compra ogni giorno dove il mercato è più conveniente,
senza tener conto degli sprechi di risorse che questo comporta.L'Italia è il
maggior importatore europeo di bovini vivi, ed è al terzo posto
nell'importazione di carne bovina (cioè di animali già ammazzati). L'Italia
importa inoltre mangimi vegetali, per un totale di 1.000 miliardi di saldo
commerciale negativo in questo settore, e di 4.000 miliardi di saldo
negativo per quanto riguarda i prodotti della pesca e l'acquacoltura.La
globalizzazione ha portato anche a una perdita di biodiversità, perché oggi
in tutto il mondo si coltivano solo poche specie vegetali. Le varietà di
piante commestibili usate dall'uomo nell'arco della storia, sono tra le otto
e le novemila. Oggi se ne coltivano solo 150, e dodici di queste, da sole,
provvedono all'80% dell'alimentazione umana. I semi di queste piante sono
degli ibridi (sono, cioè, sterili), e quindi non si possono ripiantare di
anno in anno, ma occorre ogni anno acquistare il quantitativo necessario per
la semina presso le multinazionali. Con l'arrivo delle sementi transgeniche,
tutto questo peggiorerà ulteriormente.

Le sovvenzioni pubbliche

Nel 1999 il 23% della spesa annua dell'Unione Europea è stata destinata a
sovvenzioni al settore zootecnico (carne e latte), a cui va aggiunta una
buona parte del 44,2% del sostegno alle coltivazioni, destinate soprattutto
al consumo animale (cereali, semi oleosi, proteaginose). In periodi di
crisi, le sovvenzioni aumentano a dismisura: ben lungi dal punire gli
allevatori responsabili di epidemie quali "mucca pazza", influenza aviaria,
afta, ecc., lo Stato e la Comunità Europea elargiscono loro generose
ricompense. Nei primi sei mesi del 2001 l'Italia ha stanziato 900 miliardi
per l'emergenza BSE. In pratica, il guadagno di allevatori e agricoltori
deriva solo dalle sovvenzioni, cioè dalle tasse dei cittadini: infatti
nell'industria il guadagno è mediamente del 30% sul Prodotto Lordo
Vendibile, e le sovvenzioni ad allevatori e agricoltori superano questa
cifra.Le sovvenzioni sono distribuite "a pioggia", non in modo ragionato, e
questo porta ancora una volta i grandi produttori, e non i piccoli, ad
avvantaggiarsi.Va sottolineato anche che, in ogni paese in cui si manifesta
una malattia o una epidemia negli animali, i produttori reagiscono con la
richiesta di immediati interventi statali per compensare le perdite. Le
richieste sono sempre molto elevate, i danni vengono valutati in miliardi di
euro. Di contro, l'imposizione fiscale su queste categorie risulta sempre
molto bassa: per gli allevatori, quando i soldi sono in uscita, sotto forma
di tasse da pagare, gli affari vanno sempre "male", quando vi sono delle
perdite il giro d'affari viene invece sempre dichiarato molto consistente.

Il costo dello smaltimento degli scarti

In seguito al diffondersi della BSE ("mucca pazza") è stato vietato l'uso
delle farine di carne, che finora venivano usate nell'alimentazione degli
animali, soprattutto erbivori. Queste farine erano ottenute dagli scarti
degli animali macellati, e quindi le industrie che ritiravano gli animali
morti lucravano sulla loro trasformazione. Ora le stesse industrie non sono
ovviamente più disposte a ritirare gli scarti gratuitamente, e allevatori e
macellatori dovrebbero pagare questo servizio circa 50 centesimi al chilo.
Ad esempio, per ogni bovino adulto morto, l'allevatore dovrebbe pagare circa
250 euro e circa 30 euro per ogni capo macellato. Questi costi in realtà
dovrebbero far parte dei normali costi di attività presenti in ogni
industria, invece sicuramente verranno sostenuti con sovvenzioni pubbliche,
pagate dunque da tutti i cittadini. In Italia, il costo dello smaltimento di
questi scarti si può stimare intorno ai 150 milioni di euro l'anno, a cui
vanno aggiunte le spese per l'effettuazione dei circa 800 mila esami
necessari a partire dal 2001 su tutti i bovini oltre i 30 mesi portati al
macello, il cui costo è stato stimato in 75 milioni di euro.
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