cina e nuovi scenari economici



il manifesto - 07 Gennaio 2004

Dietro la sindrome cinese

Dai desideri inconfessabili e mai realizzati della New Economy al bisogno di
pace che si nasconde dietro la «convenzione Cina», da tre anni vincente sui
mercati finanziari mondiali grazie alla vastità del suo mercato e alle sue
potenzialità espansive. Tra processi economici e nuove soggettività, un
cambio di tendenza che coinvolge in primo luogo l'Europa. Nuovo baricentro
di inediti scenari

CHRISTIAN MARAZZI

Se negli anni `90 la «convenzione Internet» aveva determinato il corso degli
eventi sui mercati finanziari, trainando la diffusione delle nuove
tecnologie dell'informazione e della comunicazione, a tre anni dalla crisi
borsistica si può sostenere che la «convenzione Cina» sia riuscita ad
imporsi su scala mondiale. Una convenzione, secondo quanto teorizzato da
Keynes, è un modello di interpretazione della realtà, una costrizione
cognitiva che si impone sulla razionalità dei singoli investitori. La forza
di una convenzione consiste nell'innescare comportamenti di imitazione nella
comunità finanziaria, determinando scelte di investimento che poco hanno a
che vedere con il valore reale di questa o quella azienda o settore, ma
molto con la ricerca di referenti collettivi in grado di rendere i mercati
finanziari il più liquidi possibili, cioè facilmente negoziabili. Da alcuni
anni la logica di una convenzione, dalla sua origine storicamente
determinata fino all'esplosione della crisi che la sottende, è oggetto di
studi da parte di economisti come Michel Aglietta, André Orléan o Robert
Shiller. Inutile dire che queste interpretazioni del funzionamento reale dei
mercati finanziari dimostrano la vacuità della teoria neoclassica delle
aspettative razionali. Più interessante, invece, è l'importanza delle teorie
del linguaggio per spiegare perché e come una convenzione riesca ad imporsi.

Ad esempio, per capire come abbia potuto affermarsi una convenzione come
quella internettiana, è molto utile capire come si diffondono la diceria e
il pettegolezzo. «Di fronte a storie finte, - scrive Sergio Benvenuto - non
ci è difficile confermare il nostro desiderio di sentircele raccontare: la
clausola dell'irrealtà rende il nostro desiderio confessabile e
riconoscibile (...) Ripetendo la diceria, esprimo qualcosa che mi fa piacere
credere o pensare, ma eliminando da questo qualcosa il sigillo della mia
soggettività: sono altri a dirlo, si tratta solo di un'informazione che
graziosamente trasmetto ad altri». La diceria permette di far emergere
qualcosa di socialmente rimosso, qualcosa che non ha posto nel discorso
pubblico. E' il lato oscuro, non rappresentabile dei desideri e delle
credenze della gente, che ne spiega la performatività sociale. «La diceria
ci dice alla luce del sole, anche se spesso in forma indiretta e obliqua,
quel che la gente non può dire né sa dire, ma che la motiva, la turba, la
sprona» (Sergio Benvenuto, Dicerie e pettegolezzi, il Mulino, Bologna,
2000).

I desideri inconfessabili che la new economy ha a suo modo attivato sono
molteplici: desiderio di ricchezza sganciata dal lavoro, desiderio di
democrazia assoluta (non rappresentativa), desiderio di ricompensa per i
costi umani della flessibilizzazione e della precarizzazione del lavoro,
desiderio di lavoro indipendente, desiderio di superamento della forma
proprietaria tradizionale (dinastie familiari, vecchi monopoli pubblici e
privati) attraverso la diffusione dell'azionariato. Si tratta di desideri
socialmente determinati, nel senso che fanno tutt'uno con la rivoluzione
tecnologica e la presa di parola dei movimenti sociali emergenti dalle
rovine del regime fordista. Ma si tratta anche di desideri non realizzabili
nel «discorso pubblico», desideri che non trovano posto nell'assetto
politico della democrazia rappresentativa.

Lo sviluppo e la crisi della new economy hanno infatti rivelato
l'impossibilità di soddisfare questi desideri all'interno del modello
liberista di società. L'analisi degli anni dell'amministrazione Clinton
condotta da Robert Pollin nel suo libro Contours of Descent. US Economic
Fractures and the Landscape of Global Austerity (Verso, 2003) dimostra
ampiamente la contraddizione tra forma di una convenzione e realtà vissuta.
«Negli Stati Uniti di Clinton, il rapporto tra il salario del lavoratore
medio e quello dei quadri è passato da un rapporto di uno a 113 nel 1991 a
quello di uno a 449 alla fine della sua presidenza... Anche con le
possibilità alimentate dall'investimento finanziario e il consumo dei
ricchi, i salari medi sono rimasti del 10% inferiori a quelli dei periodi
migliori Nixon-Ford (1968-1976), nonostante che la produttività
dell'economia fosse più elevata (del 50%) sotto Clinton che sotto
Nixon/Ford. Il livello di povertà sotto Clinton è stato di poco superiore ai
record raggiunti negli anni di Reagan/Bush». L'analisi di Pollin del
passaggio, sotto Clinton, da conti pubblici deficitari a conti in attivo
dimostra anche quanto fragile sia la critica all'attuale politica economica
di Bush Jr., come ad esempio quella di Paul Krugman, basata sulla nostalgia
di un keynesismo in realtà mai esistito. Di fatto, i due terzi dei miracoli
fiscali di Clinton sono da addebitare ai tagli alle spese del governo in
rapporto al PIL (per il 54%) e alle imposte sui guadagni dei capitali (per
il 10%). La clintonomics è stata, semmai, una sorta di keynesismo
finanziario basato sul deficit spending privato, con effetti redistributivi
fortemente inegualitari. In questo senso l'esplosione della bolla
speculativa ha siglato il ritorno all'indebitamento pubblico causato dagli
sgravi fiscali per gli alti redditi e da una spesa militare fortemente
espansiva, senza che la crescita economica indotta dal keynesismo militare
di Bush Jr. permetta di migliorare la situazione occupazionale e reddituale
della maggioranza dei cittadini americani. Dopo la crisi borsistica,
infatti, le caratteristiche principali della new economy sono rimaste grosso
modo le stesse (aumento del lavoro atipico, precarietà del mercato del
lavoro, riorganizzazione flessibile dei processi produttivi e distributivi,
digitalizzazione spinta del lavoro), mentre è cambiata radicalmente la
divisione internazionale del lavoro e la direzione dei flussi di capitali.

La «convenzione Cina» che si è imposta sui mercati finanziari negli ultimi
tre anni riflette la crescita formidabile dei deficit (federale e
commerciale) degli Stati Uniti e i surplus dei paesi asiatici, di cui quello
cinese, se si tiene conto del flusso di investimenti diretti stranieri,
supererà quest'anno il 5 percento del PIL. Riflette, anche, l'accumulazione
di riserve monetarie da parte dei paesi asiatici, riserve che le banche
centrali utilizzano per frenare la svalutazione del dollaro acquistando
Buoni del Tesoro americani (ciò che, tenendo bassi i rendimenti sui BOT,
permette ai mercati finanziari US di proteggersi dall'indebolimento del
dollaro). Rispetto agli anni `90, si può dire che la situazione si è
capovolta, perché i capitali esteri che allora andavano sui titoli azionari
statunitensi oggi sono prevalentemente diretti su quelli asiatici. Fino ad
oggi questa inversione di flussi di capitali non ha provocato scossoni
particolari, e questo perché la svalutazione del dollaro ha fatto aumentare
le esportazioni dei beni americani e ha avuto quale effetto monetario quello
di aumentare i profitti delle filiali estere delle multinazionali
statunitensi. Per quanto molto instabile, l'equilibrio che si è stabilito
sui circuiti finanziari mondiali potrebbe non degenerare in una guerra
commerciale tra Stati Uniti e Cina. Gli americani hanno bisogno di vendere
BOT agli asiatici, e gli asiatici, pur esportando sempre di più, hanno
bisogno di importare materie prime e beni strumentali dagli Stati Uniti
(come i 30 aerei della Boeing che Beijing ha appena deciso di acquistare).

Per il momento a fare le spese di questa inversione di tendenza è l'Europa.
L'Euro è la valuta che si è rivalutata di più rispetto al dollaro e c'è da
aspettarsi una recrudescenza delle misure di contenimento della spesa
sociale e dei salari a tutto vantaggio dei settori d'esportazione. Il
fallimento del progetto di Costituzione europea e la richiesta di Francia e
Germania di ridurre il budget a favore di paesi come la Spagna e la Polonia
dimostrano che, più che di costituzione, l'Europa ha bisogno di una
costituente, un processo di definizione dal basso delle politiche economiche
e sociali che prenda seriamente in esame l'affermarsi della «convenzione
Cina». Da parte loro i cinesi hanno incominciato a manifestare un interesse
concreto alla costruzione di dispositivi di difesa europea contro la
strategia di politica estera americana. L'unico modo per contrastare le
politica militare americana nell'area medio orientale sembra essere quello
di rovesciare l'asse delle alleanze guardando alla Cina.

Ma torniamo alla «convenzione Cina» cercando di capire meglio i suoi
risvolti soggettivi, quel suo modo di funzionare da «finzione socialmente
necessaria» tipico di ogni convenzione. Come nel caso di Internet negli anni
`90, la «forza di convenzione» della Cina sta nella vastità del suo mercato,
nelle sue potenzialità espansive, sta nel rivoluzionamento dei modi di
lavorare indotti dallo spostamento su scala globale di milioni di posti di
lavoro. Non solo in Cina, ma in India e in altri paesi asiatici si sta
assistendo all'espansione di settori che fino a poco tempo fa credevamo
esclusivi del mondo occidentale e degli Stati Uniti in particolare, come
quello delle nuove tecnologie. La finzione sta nel fatto che una simile
crescita è comunque destinata a produrre le sue crisi, crisi da eccesso di
produzione rispetto ad una domanda insufficiente. L'insufficienza della
domanda mondiale di beni e servizi non è dovuta soltanto alle disparità tra
paesi ricchi e paesi poveri, ma anche ad una trasformazione sociale ed
economica avvenuta in questi anni all'interno delle classi medie dei paesi
occidentali.

Due studiose americane hanno analizzato gli effetti di queste trasformazioni
del ceto medio negli ultimi venti anni. Dal loro studio (Elizabeth Warren,
Amelia Warren Tyagi, The Two-Income Trap. Why Middle-Class Mothers & Fathers
Are Going Broke, Basic Books, 2003) emerge che le famiglie con due redditi,
pur guadagnando il 75% in più rispetto a una generazione fa, in realtà
possono spendere meno; oggi per una donna avere un figlio significa avere
una probabilità molto elevata di fallire finanziariamente; la famiglia media
americana non può più comprare una casa senza che entrambi i genitori
lavorino; ormai il numero di figli che sperimentano la bancarotta dei
genitori è superiore al numero dei loro divorzi. Al centro di questo
collasso finanziario del ceto medio americano si ritrova l'aumento
impressionante del costo dei figli dovuto all'educazione e l'impossibilità
di farvi fronte a causa della rigidità verso l'alto del reddito delle
famiglie con i due genitori al lavoro.

Dietro l'aumento del disavanzo commerciale americano e la necessità di
mantenere bassi i tassi di interesse, cioè dietro il nuovo assetto globale,
si nasconde una società che per sopravvivere deve indebitarsi fino alla
soglia del fallimento finanziario, che è costretta a lavorare
ininterrottamente trascurando i propri figli, che per fuggire dalla paura
del presente e del futuro va ad abitare nei quartieri dove ci sono le scuole
«migliori», e così fa aumentare gli affitti e i costi della casa. Insomma,
ben diversamente dalle teorie del sovraconsumo del ceto medio, la condizione
reale della classe media americana dimostra quali siano gli effetti
dell'eccesso di lavoro rispetto al tempo di vita. Rivela anche come dietro
l'instabilità finanziaria le donne siano sempre sulle barricate a lottare
contro il rischio del collasso familiare.

Di solito una convenzione si afferma socialmente quanto più è vicina alla
vita della gente, come è accaduto alla «convenzione Internet» nel momento in
cui i computer hanno incominciato a far parte della vita di tutti i giorni.
Il «socialmente rimosso» che si rispecchia, rovesciato, nella «convenzione
Cina» è il desiderio di pace «qui e ora» contro cui congiurano il lavoro, la
famiglia, la scuola, i debiti, la fatica di vivere della maggioranza della
gente. Vincere la pace nel presente concreto è il nostro modo di credere
nella convenzione Cina.