nuovo modello nella distribuzione



il manifesto - 24 Dicembre 2003


Wal-Martirizzati di tutto il mondo

La precarietà si estende dall'Arkansas al Bangladesh. Cestinato il Made in
Usa, il colosso di Bentonville che odia i sindacati, sempre a caccia di
bassi costi si spinge oltre i confini , ed esporta nel mondo il modello
della terra bruciata. Ma la resistenza glocal è cominciata

LUCA CELADA

LOS ANGELES

Sam Walton si riteneva un vero ideologo del commercio di massa e abbinava
( è deceduto nel 1998) le proprie idee manageriali aun filosofia
patriottarda per cui si proclamava paladino della american way of life nella
sua accezione più schietta e campagnola. Per sua volontà gli sterminati
parcheggi dei suoi negozi sono aperti a chi vi vuole passare la notte in
camper e quindi frequentati da contingenti di nomadi part-time, i cosiddetti
RVers , che sono circa 5 milioni in tutto il paese e costituiscono anche un
ghiotto target commerciale. Compatriota di Bill Clinton e incline alla
formulazione di massime di sapore populista, a un certo punto si era
proclamato difensore a oltranza del made in USA. La filosofia però non è
durata. Negli anni `90 la ricerca di forniture a prezzi sempre più bassi ha
portato l'azienda a varcare in modo crescente i confini nazionali. Gran
parte dei prodotti venduti oggi da Wal Mart sono fabbricati, assemblati o
usano materiali prodotti in paesi in via di sviluppo. Lo stesso si potrebbe
dire della maggior parte dei beni di consumo venduti oggi nel mondo
occidentale ma Wal Mart è stato un fautore accanito di questo modello, e
soprattutto gestisce un volume di merci sufficiente a imporlo.

Per diventare uno dei 10.000 fornitori della società e aggiudicarsi così
gigantesche ordinazioni, bisogna sottostare a inflessibili richieste di
costi bassi, così bassi da rendere impossibile l'uso di mano d'opera
occidentale. Dunque molte fabbriche che vendono a Wal Mart sono state fra le
prima a traslocare in posti come l'Honduras, il Messico, il Bangladesh e
naturalmente in Cina, dove 3000 aziende hanno fornito a Wal Mart 12 miliardi
di dollari di prodotti solo lo scorso anno (oltre al fatto che in Cina la
compagnia ha inaugurato anche diversi supernegozi) . Ma l'azienda di
Bentonville fa di più e contratta direttamente con aziende preferibilmente
nelle zone a sviluppo economico speciale, come Shenzhen e Zhuhai, imponendo
sempre i propri prezzi ed eliminando gli intermediari. Il volume gestito
dall'azienda è tale che alcuni governi come quello del Bangladesh, paese che
esporta negli Usa per un valore di $1,9 miliardi (il 14% dei quali verso Wal
Mart), hanno inviato emissari diplomatici a trattare direttamente col
quartier generale in Arkansas, quasi si trattasse di una nazione sovrana,
giungendo al punto di costruire o ammodernare infrastrutture come il porto
mercantile di Chittagong su esplicita richiesta del management.
L'abbassamento continuo dei costi che la compagnia esige si ripercuote poi
sulle condizioni di lavoro, i salari dei lavoratori dei fornitori e quelli
dei concorrenti, creando un clima di costante e spietata concorrenza che fa
il gioco di Wal Mart.

La precarietà in generale, che sia quella del fornitore tessile a Dakka o
quella dell'impiegato in Arkansas (o degli stessi dirigenti spinti a
competere in efficientismo) favorisce Wal Mart secondo la legge spietata di
un capitalismo rapace. Anche per questo c'è un ulteriore anatema nel
decalogo di Bentonville: la sindacalizzazione. In un rito vagamente
scientology ogni impiegato al momento dell'assunzione è tenuto a visionare
un video in cui un sedicente «collega» spiega perché i sindacati sono nocivi
per il morale, per il benessere dell'azienda e conseguentemente per il bene
della comunità che, se fosse costretta a sottostare alle esorbitanti
richieste dei sindacati, non potrebbe più godere dei prezzi scontati.

In parte la forza di Wal Mart dipende da quella che Robert Reich, ex
ministro del lavoro di Clinton, definisce l'assuefazione occidentale alla
fornitura massiccia di beni di consumo sottocosto, che si tratti di
spazzolini elettrici costruiti a Shanghai o benzina estratta in Medioriente
grazie a un benevolo assetto geopolitico che mantiene artificialmente bassi
i prezzi delle materie di «prima necessità». In quest'ambito Wal Mart tutela
semplicemente, secondo la dottrina attualmente prevalente i propri interessi
«ovunque essi si trovino».

Così facendo, i giganti, impersonali scatoloni dei supercentri, veri buchi
neri urbanistici, creano un circostante cratere economico in cui nulla
sopravvive. Non è un caso che uno dei principali gruppi di militanza
anti-Wal Mart abbia scelto di chiamarsi sprawl busters
(www.sprawl-busters.com) con riferimento al modello urbano promosso dagli
ipermercati, cioè un amorfo tessuto residenziale inframmezzato da centri
nodali preposti al consumo, massicce monoculture commerciali. «Sono
aberrazioni capaci di sventrare una comunità e lasciarla in brandelli», mi
ha detto Melissa Gilbert durante il corteo degli scioperanti Ufcw (United
Food and Commercial Workers). «Una volta decimati i salari e annientati i
piccoli negozi indipendenti, ti rimane una vasta massa di lavoratori precari
e sottopagati e sparisce quindi la base fiscale in grado si sostenere la
comunità». In questo senso Wal Mart è lo strumento di un' accelerazione
liberista e una radicalizzazione sociale in cui, con le offerte del mese,
vengoni liquidate anche sanità, servizi sociali e welfare in nome di un
trickle-down reaganista secondo cui l'incremento del potere d'acquisto delle
famiglie è rappresentato dai saldi.

Ora l'onda d'urto è arrivata in California dove Wal Mart progamma di aprire
40 supercenters entro il 2004. Ognuno è una bomba economica per il
lavoratori del sindacato dei Food Workers, visto che comprendono
supermercati alimentari i cui dipendenti sono pagati la metà dell'attuale
media sindacale. In altri termini, ai supermercati tradizionali è
virtualmente assicurato lo stesso destino delle 25 catene di supermercati
americane che hanno già dovuto chiudere o dichiarare bancarotta a seguito
dell'apertura di un Wal Mart nel loro mercato.

Gli impiegati del settore, coi loro salari di $19 l'ora, pensione e cassa
mutua, sono esponenti di una classe blue collar relativamente privilegiata,
frutto di 4 decenni di lotte e vertenze combattute negli anni di espansione
industriale, A Los Angeles questa è stata legata prima allo sviluppo
metalmeccanico, che ha importato migliaia di lavoratori dell'auto, e poi a
quella dell'industria aerospaziale e della difesa, sulla cui stabilità è
stata costruita gran parte della middle class della città. Una classe
lavoratrice media in grado di ritagliarsi un relativo benessere e a propria
volta sostenere fiscalmente servizi pubblici adeguati . Era «l'effetto GM»
nei tempi in cui le fabbriche di stampo fordista erano la base di stabilità
sociale. Per cui la General Motors poteva vantarsi, con il famoso motto, che
«ciò che aiuta la GM aiuta l'America». L'opposto dell'effetto Wal Mart, che
nell'era della deregulation e delle maquiladoras è succeduta alla GM come
azienda simbolo.

«Il nuovo modello economico commerciale» spiega Wong, della University of
California Los Angeles (Ucla), «si fonda sull'annientamento della middle
class lavoratrice e la creazione di una società a `due piani' con una vasta
calsse di sottolavoratori». Nell'era del precariato le condizioni sindacali
dei supermercati sono quindi un anacronismo, soprattutto con le truppe di
Wal Mart ammassate al confine col Nevada e la disoccupazione endemica nei
ceti «etnici». Basta un quarto d'ora passato al centro di reclutamento di
Ralphs a Compton, quartiere nero-ispanico fra i più poveri della cittè, per
vedere, malgrado i picchetti, entrare una dozzina di giovani di colore con
in mano i moduli per la domanda d'impiego.

Il primo supercenter californiano dovrebbe essere quello di Inglewood,
storico quartiere della LA afroamericana. Una comunità ai margini della
sfera economica della città, e sulla prima linea della crisi da sottolavoro,
che ha cercato di incentivare le piccole imprese ma che ora vede profilarsi
il trattamento Wal Mart: monocoltura, sottolavoro, omogeneizzazione in
basso. Qui si è formata una coalizione per bloccare l'arrivo della catena,
epressione di un nuovo movimento trasversale che vuole impedire l'ulteriore
espansione del modello. «La gente comincia a capire che un Wal Mart
rappresenta la fine delle aspirazioni dei loro genitori, quelli che su un
impiego hanno costruito una famiglia, una casa, mandato i figli
all'università», dice la reverenda Altagracia Perez della Los Angeles
Alliance for a New Economy. «Comincia così a organizzare la resistenza. E'
una decisione di lotta ma anche morale». La coalizione ha spinto il
consiglio municipale a esaminare una delibera che impedisca l'apertura di
mega negozi sul territorio cittadino. Abituata alle battaglie politiche
locali, Wal Mart ha aggirato il consiglio, raccogliendo firme sufficienti a
indire un referendum sulla questione e mascherandola da iniziativa per
l'incentivazione economica. La coalizione si è rivolta al tribunale
amministrativo per bloccare il voto.

Nel mirino di Wal Mart sono soprattutto città e quartieri più disagiati e
vulnerabili, dove è possibile arruolare anche organizzazioni tradizionalment
progressiste come la Urban League, che da decenni si batte per l'avanzamento
economico nei quartieri afroamericani di Los Angeles come quello di
Crenshaw, che a dieci anni di distanza stenta ancora a riprendersi dagli
effetti delle rivolte del `92. «Non era certo la nostra prima scelta»,
afferma il presidente John Mack, «ma dopo anni di degrado, trascurati da
tutti, abbiamo dovuto ammettere che un Wal Mart era meglio di niente». Ora
nel centro commerciale della zona campeggia un Wal Mart, un ettaro di
emporio della bassa qualità su tre piani dove si aggirano 300 impiegati con
l'identica uniforme blu recante la scritta «come possiamo servirvi?».

Ma non tutti si rassegnano, l'opposizione politica e popolare in California,
uno degli ultimi stati non ancora «colonizzati» sta crescendo. La città di
Los Angeles ha all'esame un decreto che impedirebbe l'apertura di centri
commerciali al di sopra dei 16000 metri quadri senza previa analisi
dell'impatto economico sull'area. Una legge simile è stata approvata a
Oakland. «Si tratta di importanti battaglie glocal» , afferma una
rappresentante della coalizione a un comizio anti-Wal Mart a Inglewood, «ma
sostanzialmente sono scaramucce di retroguardia. La battaglia può essere
vinta solo con la sindacalizzazione di tuttta la forza lavoro di Wal Mart».
Con 1.200,000 impiegati in America e altri 800.000 previsti entro due anni,
e un'amministrazione politica fortemente favorevole alle imprese, non sarà
compito facile.