come non costruire areoporti



da corriere.it

venerdi 19 dicembre 2003

CRONACHE
Agrigento ha scartato la pianura vicino a Licata
«Nuovi aeroporti? Spianiamo le colline»
La Sicilia sogna altri sei scali. Uno dovrebbe sorgere sulle alture di
Racalmuto. Bisognerebbe portare via terra per 200 mila Tir


di Gian Antonio stella

Racalmuto con le sue colline: qui dovrebbe sorgere il nuovo aeroporto
(Tulumello)
A leggere i programmi, gli studi, le analisi, i grafici che traboccano dagli
uffici regionali, provinciali, comunali, gli abitanti della Sicilia sembrano
avere un solo obiettivo nella vita: dimenticare la delusione per tutte le
occasioni mancate di decollo economico decollando loro stessi. A milioni e
milioni.
Ed ecco che l'aerostazione di Catania, nonostante gli annosi problemi di
vento e di cenere che periodicamente ne fanno invocare la chiusura, si vede
già proiettata nel giro di una trentina di anni dagli attuali 4 a 25 milioni
di passeggeri, 7 in più rispetto a quelli che oggi ospita la Malpensa.
Palermo, un po' meno ambiziosa, punta nel giro di qualche anno a triplicare
i suoi tre milioni e mezzo oltre i dieci. E poi c'è l'aeroporto Trapani, che
è aperto a part time e per lunghi mesi appare malinconico, vuoto e spettrale
come le vicine saline, ma già si vede travolto dal nuovo rinascimento di
vorticosi interscambi transmediterranei e Comiso che, recuperate ai voli
civili le piste fino a ieri militari, già vede all'orizzonte non solo il
muso in atterraggio di migliaia di carghi che arriveranno da ogni dove per
poi portare in giro per il mondo i fichi e le melanzane e i pomodoretti ma
pure quello di velivoli stracolmi di turisti e uomini d'affari: «E' qui che
s'investe?».

E a mettere tutti insieme questi sciami di 737 e Atr e Concorde imbottiti di
passeggeri, sali nei grafici a trenta, quaranta, cinquanta milioni di
persone che altro non hanno in mente da qui ai prossimi decenni che di
planare e decollare dalla Sicilia.
Col risultato che, davanti a tanto via vai, vogliono il loro scalo («minchia
e chi siamo noi?!») anche Vittoria, Messina, Gela, Siracusa aprendo la
strada domani, chissà, pure a Militello Rosmarino o Palazzolo Acreide. Per
non parlare del futuro aeroporto intercontinentale (sui collegamenti
aerospaziali c'è qualche ritardo progettuale) nella piana di Agira,
provincia di Enna, che nel medio termine dovrebbe accogliere il grosso di
questi stormi di Jumbo stando al passo delle avio-metropoli planetarie come
Denver in Colorado. Un progetto che, va da sé, dovrà essere corredato da
autostrade a sei corsie e svincoli da infarto e viadotti conficcati nel
cielo e appezzamenti per chilometri di ristoranti e parcheggi e paninoteche
e drugstore e grandi magazzini e oreficerie e magari negozi di calzature dai
nomi di scoreggiona raffinatezza come quello che domina la statale da
Agrigento a Palma di Montechiaro: «Scarpe diem».



Frasci di Sciascia incise su una lapide sullo sfondo di Racalmuto
(Tulumello)
Dite voi: potrebbe mai Agrigento, in tale contesto, farsi sfuggire di mano
il futuro? Non ha diritto forse, la città fondata da Dedalo arrivato in volo
con Icaro, a uno straccio di aeroporto? Certo, c'è chi suggerisce che
basterebbe fare finalmente l'agognata bretella per Caltanissetta per avere
già oggi Catania e Palermo abbastanza vicine in attesa del super-scalo di
cui dicevamo di Enna. Ma perché rinunciare al sogno di uno scalo domestico?
Uno dopo l'altro, così, sono stati esaminati sette possibili siti. Via via
scartati in favore di Racalmuto a partire da quello di Piano Romano, vicino
a Licata, per decenni individuato, essendo piatto come un biliardo, come il
più adatto.

Geniale, nello studio di prefattibilità ambientale, la spiegazione del
rifiuto: «il sito di Licata si trova in una delle rare pianure della cosa
siciliana mentre il sito di Racalmuto si trova in una zona di colline
interne, classiche della Sicilia, molto ondulata, a volte dolcemente, a
volte con dirupi dovuti all'affioramento della roccia». E' o no l'ideale,
per metterci un aeroporto? Il sindaco del paese, l'ulivista Gigi Restivo, la
vedova di Sciascia, gli amici dello scrittore, Legambiente e l'intera
comunità salvo eccezioni sono saltati su: ma come? Un aeroporto in collina?

Proprio sotto la casa in contrada Noce dove l'autore del «Giorno della
civetta» ha scritto tutti i suoi libri? Buttando giù 106 case, le vigne, i
frutteti? Senza avere compiuto il minimo studio sui venti che ci sono in
zona? Una rivolta. Alla quale il presidente della società «Aeroporto
Agrigento Valle dei Templi» Marcello Massinelli, in una serie di interviste
ai giornali locali, ha risposto spennellando miele. E dicendo che «la zona
sotto l'aspetto isofonico, cioè dei rumori, è la migliore a livello
italiano», che i padroni delle case abbattute potranno indicare un familiare
da assumere e infine che «non si può minimamente pensare di fermare il
progresso in nome di Sciascia». Già che c'era, dopo aver fatto trapelare l'
ipotesi che lo scalo dia lavoro a 350 persone (il triplo di quante lavorano
all'aeroporto di Trieste), ha buttato lì: «Invece di criticare soltanto
qualcuno potrebbe anche suggerire qualcosa di importante a cominciare dal
nome che verrà dato all'aeroporto. Perché non chiamarlo aeroporto Leonardo
Sciascia?». Un poeta.

«Cose di pazzi!», ride Vito Riggio, presidente dell'Enac (l'ente nazionale
per l'aviazione civile) siciliano sì ma ma non decollato, «Questa storia è l
'emblema di come, in nome del campanile, si sia perduta ogni visione non
solo nazionale ma perfino regionale. Sono tutti convinti che l'aerostazione
porti sviluppo, sviluppo, sviluppo. E siccome poi, costruito l'aeroporto,
sanno benissimo che non avrebbero manco i passeggeri necessari, alcuni già
prefigurano la possibilità di invogliare la gente offrendo biglietti
gratuiti. E tutto questo mentre la Finanziaria taglia».
Oh, mamma, a proposito: e i soldi? Niente paura, rispondono i padri dell'
idea: un po' li metterà l'Europa, un po' la Regione, un po' la Provincia, un
po' i privati...

L'importante è partire. Avere subito i finanziamenti per cominciare con gli
espropri e gli sbancamenti. Vale a dire 40 miliardi di vecchie lire. Per
piallare le colline così da stendere una pista di oltre due chilometri,
dicono, basterà scavare al massimo fino a 10 metri di profondità e portar
via un milione e 400 mila metri cubi di terra. Una stima che secondo il
comune è falsa e smentita dagli stessi progetti ufficiali, che ad opere
finite parlano del doppio: 2 milioni e 800 mila metri cubi di terra.

Un affarone per le cosche mafiose che, stando ai finanziamenti chiesti in
banca, stanno rastrellando caterpillar e ragni ed escavatori. Un incubo per
chi ha un minimo di amore per la Sicilia: un camion medio, lungo nove metri,
ne porta 14, di metri di terra. Vale a dire che per rimuovere le colline
servirebbero 200 mila autotreni che messi in fila formerebbero una coda di
1.800 chilometri.

Se ne lavorassero trenta alla volta (una enormità, su stradine di campagna
larghe tre metri) per dieci ore al giorno a un quarto d'ora a carico ci
metterebbero quasi un anno. Dopo di che, finiti i finanziamenti e cambiata
la maggioranza di governo, là dove sono le colline amate da Leonardo
Sciascia rischia di restare solo una distesa piatta e spelacchiata di terra
incolta. Vogliamo raccogliere l'invito della società? E diamoglielo un nome
sciasciano, a questo aeroporto! «Aeroporto quaquaraquà».