amministrazione condivisa



da lavoce.info
dicembre 2003

GREGORIO ARENA*

L'AMMINISTRAZIONE CONDIVISA
1. Premessa
Se confrontata con quella che era ancora alla fine degli anni Ottanta,
non c'è dubbio che l'amministrazione italiana attuale presenti segni
notevoli di
cambiamento, inteso sia come introduzione nel sistema di nuovi modelli
organizzativi ed operativi, sia come entrata in vigore di nuove norme; è
vero
che per quanto riguarda l'implementazione di tali novità legislative il
giudizio
deve necessariamente variare da situazione a situazione, ma è diffusa la
percezione di un cambiamento in atto.
E infatti se si prende in esame il nostro sistema amministrativo si vede
che non c'è profilo su cui non siano intervenute, in alcuni casi anche
radicalmente, le riforme degli anni Novanta: dalle procedure
all'organizzazione, dalle funzioni alla gestione del personale, dalle nuove
tecnologie delle informazioni alla tipologia dei controlli, dai rapporti fra
i
pubblici poteri centrali e locali ai mezzi, tutti gli elementi del sistema
sono
stati, in misura maggiore o minore, modificati.
Ma il cambiamento prodotto da tali riforme è ancora più profondo di
quanto non possa apparire prendendo in esame soltanto gli elementi che
compongono il sistema amministrativo. Il punto essenziale è che le grandi
leggi di riforma degli anni Novanta contengono tutte, esplicitamente o
implicitamente, nuovi princìpi (trasparenza, partecipazione, semplicità,
distinzione fra politica e amministrazione, sussidiarietà) che si sono
affiancati
o sostituiti ai princìpi tradizionali che hanno finora regolato l'azione
amministrativa e che stanno cambiando i rapporti fra pubbliche
amministrazioni e cittadini, dando vita a nuovi modelli di amministrazione.

Questo lavoro si propone appunto di illustrare sinteticamente un nuovo
modello di amministrazione che si sta sviluppando sotto i nostri occhi da
alcuni anni e che, pur presentando grandi potenzialità e caratteristiche del
tutto nuove rispetto ai modelli tradizionali dell'amministrazione di
regolazione
e di quella di prestazione, è stato finora pressoché ignorato.
Questo nuovo modello, di cui è prevedibile nei prossimi anni un
notevole sviluppo, è stato definito amministrazione condivisa perché innova
rispetto ai modelli tradizionali non tanto sul piano degli obiettivi
perseguiti o
dell'organizzazione utilizzata, quanto sul piano delle modalità di azione e
dei
soggetti coinvolti: in estrema sintesi, nel modello tradizionale di
amministrazione questa ultima persegue l'interesse pubblico per conto degli
amministrati, mentre nell'amministrazione condivisa gli amministrati non
sono
più tali, bensì sono cittadini attivi e responsabili che "alleandosi" con
l'amministrazione contribuiscono alla soluzione di problemi di interesse
generale.
All'interno del modello complessivamente definito amministrazione
condivisa sono presenti due profili distinti che a loro volta danno vita a
due
modelli diversi di amministrazione, a seconda che la collaborazione fra
amministrazioni e cittadini nasca da una richiesta rivolta dall'
amministrazione
ai cittadini (modello della co-amministrazione) o invece derivi da un'
autonoma
iniziativa dei cittadini che si attivano nell'interesse generale (modello
dell'amministrazione della sussidiarietà).
Tuttavia pur presentando profili teorici e operativi diversi fra loro i due
modelli sono riconducibili all'interno di un unico schema concettuale, in
quanto
entrambi fondati su un paradigma nuovo, paritario e pluralista, che prevede
che i rapporti fra amministrazioni e cittadini possano basarsi non solo
sulla
contrapposizione ma anche sulla collaborazione, cioè sull'alleanza contro un
avversario comune rappresentato dalla complessità delle società moderne, in
vista del perseguimento di un obiettivo comune, la soddisfazione dell'
interesse
generale.
2. Il paradigma bipolare

2.1. Cittadini-amministrati
L'espressione "paradigma bipolare" è utilizzata da Sabino Cassese per
indicare il binomio sul quale si è basato (e tuttora in gran parte si basa)
il
rapporto fra amministrazioni pubbliche e cittadini; tale concezione è
espressa
in maniera esemplare nei seguenti brani di due illustri studiosi del secolo
passato.
In primo luogo Santi Romano, che nel suo Corso del 1930 affermava
che "I soggetti nel campo del diritto amministrativo possono essere di
diverse
specie . Ma la distinzione che ci sembra fondamentale e a cui quindi occorre
subordinare le altre, è quella tra soggetti attivi e soggetti passivi della
potestà
amministrativa. Bisogna, così, contrapporre, da un lato i soggetti che
amministrano e che, nel loro insieme, costituiscono . la pubblica
amministrazione, e, dall'altro, gli amministrati".1 In secondo luogo Massimo
Severo Giannini, che nelle sue Lezioni del 1950 a sua volta affermava che:
"Nelle comunità statali attuali (Stato comunità), da un lato vi sono le
autorità
pubbliche, che si esprimono nello Stato organizzazione; dall'altro le
persone, o
soggetti privati, o cittadini . le quali possiedono alcuni diritti
fondamentali. Vi
sono, perciò, nelle comunità statali, due forze, l'autorità e la libertà, le
quali
hanno dei centri di appoggio e di espressione".2
Cassese sottolinea come, secondo questo punto di vista tradizionale
".lo Stato ed il diritto pubblico sono dominati dal conflitto
Stato-cittadino, due
poli irriducibili e in contrasto tra di loro. Questo paradigma si è formato
lentamente nel passaggio da ordini, come quello europeo medievale o quelli
extra-europei, dominati da un potere in cui non c'è differenziazione tra
Stato e
società civile, a un ordine, quali quelli in cui viviamo, fondati sulla
separazione
tra Stato e comunità.".3
4
Questo è dunque "il paradigma fondamentale del diritto pubblico nel
XX secolo: due poli separati, né convergenti, né contrattanti, ma in
contrapposizione, a causa della superiorità di uno sull'altro; a compensare
tale
superiorità, quello più forte è astretto a regole e doveri, mentre il
privato
agisce secondo il proprio interesse, in modo libero, salvo limiti esterni
imposti
dalla legge. Intorno a questo paradigma si sono formati e sviluppati i modi
dello studio e del sapere giuridico, per cui può dirsi che ogni pur remoto
suo
angolo è influenzato da questa fondamentale contrapposizione".4
Ed infatti la più consueta modalità di rapporto fra amministrazioni e
cittadini vede questi ultimi unicamente nel ruolo di amministrati, utenti,
pazienti, assistiti, tutti termini utilizzati non a caso per indicare che
nell'ambito
del paradigma bipolare l'amministrazione può presentarsi sia come potere,
sia
come prestazione, ma in ogni caso il destinatario della sua azione è
comunque
sempre un soggetto passivo, mero destinatario dell'intervento pubblico, sia
esso un'autorizzazione, una pensione o una terapia. Naturalmente
l'amministrato può utilizzare nei confronti dell'amministrazione vari
strumenti
di tutela, da quelli più tradizionali come il ricorso al giudice
amministrativo a
quelli più recenti come il ricorso al difensore civico, ma la sua posizione
di
sudditanza nei confronti della pubblica amministrazione non cambia.
2.2. Cittadini-clienti
Sempre nell'ambito del paradigma bipolare si è sviluppata di recente
anche un'altra modalità di rapporto, apparentemente più moderna, che vede il
cittadino nel ruolo non più di utente bensì di "cliente" e che risale ai
primi anni
Novanta, con l'introduzione anche nel nostro Paese delle Carte dei servizi,
strumenti di tutela degli utenti dei servizi pubblici mutuati
dall'esperienza
inglese delle Citizens' Charters. Si tratta di una modalità di rapporto che
tende
esplicitamente a riprodurre nel settore pubblico la relazione
fornitore-cliente,
riconoscendo a quest'ultimo il diritto a precisi standards di qualità e
5
all'informazione su questi ultimi, nonché il diritto ad essere interpellato
per
conoscere il suo giudizio sulla qualità del servizio.
In realtà per molte amministrazioni anche l'occasione delle Carte dei
servizi è stata vissuta più come mero adempimento burocratico che non come
stimolo a modificare il proprio modo di operare. D'altro canto sul versante
dei
cittadini da un lato l'informazione sull'esistenza degli standards previsti
dalle
Carte dei servizi è stata ed è scarsissima, dall'altro mancano gli strumenti
(ma
soprattutto la volontà) per rendere il giudizio degli utenti sulla qualità
del
servizio realmente significativo, facendo sì che produca effetti simili a
quelli
che nel settore privato produce il giudizio positivo o negativo dei clienti.
Comunque, al di là del giudizio sull'efficacia delle Carte dei servizi e
degli altri strumenti ad esse assimilabili, l'aspetto positivo della
modalità di
rapporto fondata sul concetto di cittadino come cliente sta nell'aver fatto
uscire, almeno teoricamente, il cittadino dal ruolo passivo di amministrato
per
attribuirgli quello di sovrano: cercare di introdurre nei servizi pubblici
l'impostazione definita "orientamento al cliente" vuol dire infatti cercare
di
spezzare la tradizionale autoreferenzialità delle nostre burocrazie per
renderle
consapevoli che l'esistenza stessa delle pubbliche amministrazioni, in tutti
i
settori, si giustifica solo se ed in quanto esse siano effettivamente utili
al
cittadino.
"Servire" vuol dire letteralmente sia "esser servo di", sia "essere utile
a": è in questo secondo significato che va letta la disposizione di cui
all'art.98
della Costituzione, secondo la quale i pubblici dipendenti sono al servizio
esclusivo della Nazione (cioè dei loro concittadini).
Nel rapporto dell'amministrazione con il cittadino-cliente si manifesta
poi con particolare chiarezza il ruolo che possono svolgere i cosiddetti
"nuovi
diritti" dei cittadini nei confronti dell'amministrazione, dal diritto
all'efficienza
ed efficacia dei servizi pubblici al diritto alla semplicità ed economicità
dell'azione amministrativa, dal diritto all'informazione a quello alla
partecipazione, e così via. E' su questo terreno (oltre che su quello che si
vedrà fra poco della sussidiarietà orizzontale), che si gioca oggi la
realizzazione di una cittadinanza amministrativa capace di affiancare ed
6
integrare l'altra forma di cittadinanza, quella politica, consentendo alla
sovranità popolare di dispiegarsi pienamente, nelle forme opportune, anche
in
quel particolare ambito dei rapporti fra cittadini ed istituzioni in cui
queste
ultime sono rappresentate da amministrazioni pubbliche.
Ma nel considerare il cittadino come un "cliente" delle amministrazioni
vi è anche un aspetto negativo, che emerge quando un malinteso spirito di
emulazione del modello imprenditoriale induce chi opera nelle
amministrazioni
pubbliche a dimenticare che il termine "cliente" applicato ai cittadini è
pur
sempre soltanto una metafora, un modo cioè per sollecitare gli operatori
pubblici ad avere nei confronti di quelli che altrimenti sarebbero dei
semplici
"amministrati" le stesse sollecitudini ed attenzioni che verso i clienti
hanno
coloro che forniscono beni e servizi in regime di mercato. Il rischio,
altrimenti,
è quello di dimenticare da un lato che il cliente è soltanto un soggetto che
ha
la capacità economica per acquistare sul mercato beni e servizi, mentre il
cittadino è un soggetto titolare di diritti fondamentali, costituzionalmente
riconosciuti e garantiti; dall'altro, che le pubbliche amministrazioni
devono
assolvere ad una specifica "missione costituzionale" e che nell'assolvimento
di
tale missione non esistono clienti ma soltanto cittadini.
Ciascuna amministrazione ha infatti una sua funzione specifica,
prevista e disciplinata dalle norme che ne regolano l'attività in vista del
perseguimento dell'interesse pubblico; ma oltre alla funzione che
caratterizza
ciascuna amministrazione ve n'è poi una di carattere generale, disciplinata
dall'art. 3,2°c. della Costituzione, il quale prevedendo che "E' compito
della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando
di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" attribuisce a
tutte le
istituzioni (e in primo luogo alle amministrazioni) il compito di perseguire
il
principio costituzionale di uguaglianza sostanziale.
Si può allora dire che vi è una sorta di "missione costituzionale"
dell'intero sistema amministrativo italiano, consistente nel garantire a
tutti i
cittadini le condizioni grazie alle quali ciascuno possa essere pienamente
se
7
stesso, realizzando i propri progetti di vita e facendo fruttare le proprie
capacità; e vi è poi una specifica missione costituzionale di ciascuna
amministrazione, che consiste nel realizzare il principio di uguaglianza
sostanziale mediante gli strumenti e nell'ambito dei limiti funzionali e
territoriali previsti dalle norme che ne disciplinano l'attività.
Ma se le pubbliche amministrazioni sono uno degli strumenti principali
con cui la Repubblica persegue il principio costituzionale di uguaglianza
sostanziale, allora la persona al cui pieno sviluppo va finalizzata tutta
l'attività
amministrativa non può essere, come vorrebbe il paradigma bipolare, in
posizione di subordinazione rispetto all'amministrazione, dal momento che
l'amministrazione è il mezzo e la persona il fine. In un'amministrazione che
sia
realmente, come afferma la Costituzione, strumento di promozione della
dignità di ogni persona e della sua piena realizzazione come essere umano,
il
cittadino non può essere considerato né come un amministrato né come un
cliente, bensì deve essere considerato come un protagonista nella
realizzazione
del proprio pieno sviluppo, insieme ed a pari titolo con l'amministrazione.
3. Cittadini-alleati
Per impostare in modo nuovo il rapporto delle amministrazioni con i
cittadini è necessario andare oltre il paradigma bipolare, dando vita ad un
modello di amministrazione in cui amministrazione e cittadini perseguono
insieme la missione costituzionale di cui all'art.3, 2°c.; nasce così una
nuova
modalità di rapporto, nella quale i cittadini non sono né amministrati né
clienti, bensì alleati dell'amministrazione.
Questo nuovo modello è stato denominato amministrazione condivisa
per indicare con immediatezza che cittadini e amministrazioni non si
limitano
ad amministrare insieme, ma lo fanno alleandosi contro un avversario
comune, la complessità delle società moderne e condividendo sia l'obiettivo,
che consiste nel soddisfacimento di un interesse generale, sia le risorse
che
entrambi i soggetti del rapporto possono mettere in campo.
8
Per quanto riguarda l'obiettivo, cittadini ed amministrazioni
condividono non tanto l'esercizio del potere (come nella partecipazione al
procedimento amministrativo), quanto la funzione stessa dell'amministrare,
la
quale consiste appunto nella realizzazione della missione costituzionale
affidata dalla Costituzione alle amministrazioni. I cittadini non si
sostituiscono
all'amministrazione, né le loro capacità vengono usate per supplire a
carenze
dell'amministrazione, bensì si tratta di una vera e propria alleanza fra
soggetti
tendenzialmente paritari, basata sull'autonomia e sulla responsabilità di
tutti i
soggetti coinvolti nel rapporto e finalizzata alla soluzione di problemi di
interesse generale.
La disponibilità dei cittadini a condividere con l'amministrazione parte
delle proprie risorse e capacità dipende infatti da una loro autonoma
assunzione di responsabilità rispetto ad un problema che viene percepito
come un problema di interesse generale, la cui soluzione dipende però da
molteplici comportamenti pubblici e privati. Lo stesso vale anche sul
versante
dell'amministrazione, perché anche per quest'ultima la decisione di
utilizzare il
modello dell'amministrazione federata, anziché di usare (ove ciò sia
possibile)
il potere, deriva da un'assunzione di responsabilità; per l'amministrazione,
inoltre, utilizzare il modello dell'amministrazione federata significa
rifiutare la
contrapposizione su cui si basa il paradigma bipolare, accettando l'idea che
per risolvere i problemi collettivi l'amministrazione ha bisogno di
cittadini
consapevoli e attivi, piuttosto che non assenti, passivi o addirittura
ostili.
C'è anche un profilo più strettamente teorico da considerare, che può
avere però conseguenze pratiche significative. Come risulta dalle ormai
numerose esperienze dei premi attribuiti alle amministrazioni più innovative
(Centoprogetti del Dipartimento della Funzione Pubblica, il Premio Nathan
del
Comune di Roma, i premi di ForumPa e altri ancora) vi sono già nel nostro
sistema amministrativo esperienze riconducibili al modello
dell'amministrazione federata. Il problema è che essendo queste esperienze
fondate più o meno esplicitamente sull'alleanza anziché sulla
contrapposizione
fra cittadini e amministrazioni, la loro presenza in un sistema
amministrativo
ancora largamente caratterizzato dalla prevalenza del paradigma bipolare
9
viene percepita come una stranezza (se non addirittura come una deviazione
rispetto al modello dominante), anziché come il sintomo di un possibile
diverso modo di essere dell'amministrazione. E poiché questo ovviamente
frena molti operatori pubblici che pure sarebbero disponibili ad instaurare
con
i cittadini alleanze fondate sulla condivisione di risorse, ecco che emerge
l'importanza di un adeguato inquadramento teorico di queste nuove
esperienze.
D'altro canto proprio queste esperienze di amministrazione federata
già realizzate in varie parti d'Italia sembrano indicare che i nostri
dipendenti
pubblici sono perfettamente in grado di far funzionare il modello in
questione;
naturalmente, come per ogni altro cambiamento nell'amministrazione, anche
in questo caso moltissimo dipende dalla formazione dei dipendenti e dalla
comunicazione interna.
Oltre che l'obiettivo, amministrazioni e cittadini nel modello
dell'amministrazione federata condividono anche le risorse. Ora, mentre è
chiaro quali siano le risorse che le pubbliche amministrazioni possono
mettere
in campo in termini di professionalità, strutture, mezzi, etc., meno
evidenti
sono le risorse con cui i cittadini, singoli e associati, possono
contribuire al
buon funzionamento di questo nuovo modello di amministrazione.
Eppure basta guardarsi intorno e riflettere per rendersi conto che le
persone sono portatrici non solo di bisogni ed esigenze, ma anche di
capacità
e risorse che, se opportunamente valorizzate dalle pubbliche
amministrazioni,
possono contribuire in maniera significativa al soddisfacimento sia delle
loro
esigenze, sia di interessi di carattere generale. Ciò emerge da un lato
dall'analisi della Costituzione (tanto nella parte sui princìpi fondamentali
quanto nel nuovo Tit.V), dall'altro dall'analisi della realtà italiana.
Per quanto riguarda i princìpi costituzionali si può fare riferimento in
generale proprio a quel principio "personalista" secondo il quale al centro
dell'attività dei pubblici poteri deve esservi sempre la persona umana, con
le
sue esigenze ma anche con le sue capacità. Lo stesso art.3, 2°c., già
citato,
può essere letto in questa prospettiva, in quanto attribuendo alla
Repubblica il
compito di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono il
"pieno
10
sviluppo" della persona umana esso implicitamente sembra affermare che la
rimozione degli ostacoli è condizione sufficiente alla piena realizzazione
di
ciascuno; se ne può quindi dedurre che ogni persona è portatrice di capacità
latenti che la Repubblica può contribuire a far emergere grazie alla
rimozione
dei suddetti ostacoli.
Anche l'art.2, se letto nella prospettiva dell'amministrazione federata,
offre un fondamento costituzionale ad un rapporto fondato sull'alleanza fra
pubblici poteri e cittadini: afferma infatti tale disposizione che "La
Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo.e richiede l'
adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". I
Padri
costituenti, nel redigere tale disposizione, pensavano a doveri quali la
partecipazione alla vita politica del Paese, il pagamento dei tributi,
l'assolvimento degli obblighi militari e simili; ma nulla impedisce oggi, in
una
diversa prospettiva dei rapporti fra amministrazioni e cittadini, di
includere fra
tali doveri di solidarietà anche la collaborazione dei cittadini con
l'amministrazione pubblica per la soluzione di problemi che interessano
l'intera
comunità.
Ma nella Costituzione vi è oggi un riferimento esplicito alle persone
come portatrici non solo di esigenze ma anche di capacità che possono essere
mobilitate nell'interesse generale: si tratta dell'ultimo comma dell'art.118
del
nuovo Tit.V, che afferma che "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province
e
Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati,
per
lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio
di
sussidiarietà". L'introduzione in Costituzione del principio di
sussidiarietà
orizzontale rappresenta una novità radicale nei rapporti fra cittadini e
pubblici
poteri perché mina alle radici il paradigma bipolare: se i cittadini non
solo
sono in grado di assumere autonomamente iniziative nell'interesse generale,
ma i pubblici poteri devono sostenere tali iniziative, salta l'assunto così
bene
espresso nel brano di Santi Romano sopra citato, secondo il quale "... la
distinzione che ci sembra fondamentale ... è quella tra soggetti attivi e
soggetti passivi della potestà amministrativa. Bisogna, così, contrapporre,
da
11
un lato i soggetti che amministrano e che costituiscono . la pubblica
amministrazione e, dall'altro, gli amministrati".
Tale distinzione di ruoli, con la conseguente contrapposizione fra
soggetti che amministrano e soggetti che sono "amministrati", non si
giustifica
più alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale; o meglio si
giustifica solo
in quei settori, tipici dell'amministrazione autoritativa o di regolazione,
dove
entra in gioco l'esercizio del potere amministrativo. Ma laddove invece si
tratta di esercitare una funzione, dove il binomio cioè non è più
autorità/libertà bensì funzione/interesse, la contrapposizione fra
amministrazione ed amministrati su cui si fonda il paradigma bipolare non ha
ragion d'essere e, anzi, considerata la complessità di una società come
quella
italiana attuale, rischia di costituire un ostacolo alla soluzione dei
problemi
della collettività.
Il modello dell'amministrazione federata trova riscontri anche nei fatti,
cioè nell'analisi della realtà italiana. Questa possibilità di impostare in
modo
nuovo il rapporto fra amministrazione e cittadini deriva dal fatto che,
anche
grazie alla Costituzione, in questi ultimi cinquanta anni la società
italiana si è
andata progressivamente caratterizzando per il suo pluralismo. Da sempre il
nostro Paese è ricco di tradizioni diverse, che tuttora si manifestano
attraverso le mille espressioni delle culture locali; ma su questo terreno
già
così vario si sono poi sviluppati negli ultimi decenni associazioni, gruppi
e, in
generale, centri di riferimento di interessi attivi in tutti i campi
possibili ed
immaginabili.
Anche il sistema amministrativo non poteva rimanere estraneo a
queste vicende, tant'è che al pluralismo sociale corrisponde un pluralismo
amministrativo altrettanto articolato e significativo. E' un sistema
amministrativo complesso, caratterizzato da un accentuato plurimorfismo
(cioè dalla varietà di modelli organizzativi) e pluricentrismo (cioè dalla
varietà
di centri di riferimento di interessi pubblici) che non sono altro che lo
specchio
del nostro pluralismo sociale: anche sotto questo profilo la nostra
amministrazione (come tutte le amministrazioni) rispecchia, nel bene e nel
12
male, pregi e difetti della società di cui è parte ed al cui servizio è
stata
istituita.
Ebbene, uno dei pregi della società italiana è proprio quello di essere
piena di risorse, vivace, attiva, intraprendente, capace di affrontare ogni
genere di ostacoli, ivi compresi quelli creati da una burocrazia che spesso
sembra fare di tutto non per sostenere, ma per ostacolare il dispiegarsi di
queste capacità. Rispecchiare questo aspetto della nostra società, essere in
sintonia con essa, significa che l'amministrazione deve saper diventare uno
dei "luoghi" in cui la varietà, le capacità, in una parola le risorse della
società
italiana possono manifestarsi, contribuendo alla soluzione dei problemi che
riguardano tutti.
Finora queste risorse sono state trascurate e sprecate perché i soggetti
destinatari degli interventi pubblici non sono stati considerati come
persone
ma piuttosto come utenti, amministrati, assistiti, pazienti o, al massimo,
"clienti". Il modello dell'amministrazione federata comporta invece, come
s'è
visto, un cambiamento radicale nell'impostazione dei rapporti fra cittadini
ed
amministrazioni, fondato sull'idea che il cittadino cui i soggetti pubblici
rivolgono la propria attività non è un problema da risolvere bensì una
persona
che ha competenze, idee, tempo, energie e capacità che, opportunamente
integrate con le risorse umane, organizzative, finanziarie, etc.
dell'amministrazione in questione, possono essere determinanti al fine di
garantire sia il soddisfacimento di esigenze individuali, sia la soluzione
di
problemi di interesse generale.
Ciò è tanto più vero se si considera che, proprio perché la nostra è una
società pluralista, è naturale che i soggetti che daranno vita ad esperienze
di
amministrazione condivisa saranno quasi sempre persone "situate", ovvero
inserite a vario titolo e modo in una formazione sociale la cui presenza
arricchisce, direttamente o indirettamente, il rapporto che si instaura con
l'amministrazione. E' proprio nelle formazioni sociali, del resto, che la
persona
acquisisce molti di quei saperi sociali, di quelle capacità ed esperienze
che
possono consentire di instaurare quel rapporto paritario e reciprocamente
utile
che sta alla base del modello dell'amministrazione federata.
13
3.1. La co-amministrazione
Come s'è accennato sopra, il modello dell'amministrazione condivisa
può realizzarsi o per iniziativa dell'amministrazione, che autonomamente
decide di uscire dal paradigma bipolare, oppure per iniziativa dei
cittadini, che
si attivano sulla base dell'art.118, u.c..
Nel primo caso, definito co-amministrazione, è l'amministrazione che,
come si capirà meglio dagli esempi che seguono, sollecita i cittadini ad
affrontare insieme un problema di interesse generale cui l'amministrazione
da
sola non può dare soluzione oppure può darla in maniera meno efficiente che
non alleandosi con i cittadini.
Come si è accennato, vi sono già nel nostro sistema amministrativo
esperienze che costituiscono, spesso inconsapevolmente, esempi di
applicazione del modello dell'amministrazione condivisa. 5
I casi in questione sono molto diversi fra loro quanto a rilevanza
teorica e pratica, nonché dal punto di vista dei settori interessati.
Inoltre,
proprio perché la decisione di condividere le proprie risorse è una
decisione
del tutto autonoma, possono esservi gradi diversi di condivisione a seconda
dei soggetti coinvolti, del tipo di intervento da attuare, del momento in
cui
l'esperienza di amministrazione condivisa si realizza, e così via, per cui
anche
il mix finale di risorse condivise è molto vario: in alcuni casi i cittadini
che coamministrano
mettono a disposizione una quantità minima di capacità, tempo,
esperienze, etc., in altri invece il loro ruolo (sia individualmente sia
associati)
è cruciale ai fini della soluzione di un problema di interesse generale.
Dall'analisi dei casi risulta anche che il modello in questione dà i
migliori risultati proprio in quei settori (e non sono pochi) in cui la
pubblica
14
amministrazione, per indurre un numero rilevante di soggetti a
comportamenti conformi alla realizzazione dell'interesse generale, può fare
un
uso del potere molto limitato (o non può farne uso affatto). Si tratta di
settori
in cui l'imposizione di obblighi produce effetti solo se accompagnata da una
intensa, capillare e costosa azione sanzionatoria delle eventuali
inadempienze:
ne sono un esempio la tutela ambientale, la gestione del traffico urbano, la
sicurezza nei luoghi di lavoro e sulle strade, etc.. Oppure si tratta di
settori in
cui l'imposizione di obblighi per ottenere comportamenti conformi
all'interesse
generale non è nemmeno ipotizzabile, come nel caso della prevenzione
sanitaria.
In tutti i casi comunque il funzionamento dell'amministrazione
condivisa dipende dall'autonomia e dal senso di responsabilità di tutti i
soggetti coinvolti nel rapporto ma, soprattutto, dei cittadini. La
disponibilità di
questi ultimi a condividere con l'amministrazione parte delle proprie
risorse e
capacità dipende in altri termini da una loro autonoma assunzione di
responsabilità rispetto ad un problema che deve essere percepito, grazie ad
un'efficace comunicazione pubblica, come un problema che riguarda tutti, la
cui soluzione dipende però essenzialmente da molteplici comportamenti
privati.
Passando ad alcune esperienze concrete si può notare come, sia pure
con i limiti già individuati sopra trattando dei cittadini-clienti, molte
amministrazioni erogatrici di servizi hanno imparato a considerare gli
utenti
dei servizi pubblici come soggetti in grado, se adeguatamente sollecitati,
di
fornire valutazioni, giudizi, suggerimenti, etc. sulla qualità dei servizi
medesimi; e vi sono ormai diversi esempi, soprattutto a livello locale, di
amministrazioni che con modalità varie chiedono ai propri utenti di valutare
il
servizio offerto e di formulare proposte di miglioramento.
Si tratta certamente di un profilo particolare di quell'orientamento al
cliente che, come s'è visto, rappresenta un'evoluzione recente nell'ambito
del
paradigma bipolare; ma questo modo di impostare il rapporto fra le
amministrazioni erogatrici di servizi ed i destinatari dei servizi stessi
può
anche essere letto, in un'altra prospettiva, come un avvicinamento al
modello
15
dell'amministrazione condivisa, in quanto vede nell'utente un soggetto
dotato
di conoscenze, esperienze ed in generale competenze di vario genere che
possono essere utilizzate per migliorare l'efficienza e l'efficacia dei
servizi
pubblici nella loro configurazione tradizionale.
Sviluppando ulteriormente questo tipo di impostazione si ha un
ulteriore passaggio, consistente nel considerare gli utenti molto di più che
non
semplici (per quanto importanti) valutatori del servizio, ma addirittura
possibili co-protagonisti nella gestione del servizio stesso.
Un esempio di questo modo di applicare il modello
dell'amministrazione condivisa riguarda in particolare le amministrazioni
comunali ed è rappresentato dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani.
E'
una soluzione al problema della gestione dei rifiuti che soddisfa
l'interesse
generale ad uno smaltimento efficiente e rispettoso dell'ambiente, dunque è
una soluzione ad un problema pubblico, ma non è una soluzione "pubblica" nel
senso tradizionale del termine, perché non è il risultato unicamente
dell'attività di un soggetto pubblico.
In questo come in altri casi riguardanti problemi strutturali, di
"sistema", il ruolo dell'amministrazione consiste nel risolvere il problema
mobilitando le risorse pubbliche e private necessarie; nel caso specifico,
l'amministrazione pubblica deve convincere migliaia di persone a
differenziare
i rifiuti presso la propria abitazione o luogo di lavoro. Per ottenere
questo
risultato, fondato sull'attivazione quotidiana di migliaia di cittadini,
l'amministrazione può usare il potere, imponendo un certo comportamento e
minacciando sanzioni per i casi di inadempienza; oppure (ed è di gran lunga
il
sistema più efficiente) può comunicare con i cittadini convincendoli, anche
con
incentivi economici, che quel particolare problema può essere risolto solo
coamministrando,
cioè mettendo ciascuno a disposizione una parte delle proprie
capacità e risorse.
Un altro settore in cui si potrebbe realizzare quell'alleanza fra
amministrazione e cittadini in cui consiste l'amministrazione condivisa (ed
in
cui invece troppo poco si fa in tal senso) è quello della sanità, in cui la
16
soluzione del problema dipende in maniera evidente da un'autonoma
assunzione di responsabilità da parte degli interessati.
Come afferma la Costituzione, l'esigenza di "stare in salute" è un
fondamentale diritto dell'individuo ma anche interesse della collettività
(art.32, 1°c. Cost.). In genere la risposta a questa esigenza viene
individuata
nell'ottica del paradigma bipolare, dunque creando costose strutture
sanitarie
il cui ruolo nel far sì che le persone vivano a lungo e "stiano in salute"
nel
senso più pieno del termine è in realtà molto meno significativo di quanto
non
appaia.6
Invece, anche in questo settore si può far ricorso al modello
dell'amministrazione condivisa per provocare in ogni cittadino un'autonoma
assunzione di responsabilità circa la propria salute (per esempio
rispettando
alcune regole in materia di stili di vita, alimentazione, sport, fumo,
bevande
alcoliche, ambienti di vita e di lavoro e così via) e provocare al tempo
stesso
nell'amministrazione una speculare assunzione di responsabilità, spostando
risorse dalla cura alla prevenzione.
Il settore della sanità, che è uno di quelli in cui è più evidente la crisi
dello Stato sociale, aiuta a comprendere come il modello
dell'amministrazione
condivisa possa contribuire anche a rendere meno drammatica la scarsità di
risorse pubbliche per il funzionamento delle strutture tipiche del Welfare
State. Nel caso della sanità, per esempio, questo modello fornisce un
contributo indiretto al problema dei costi delle strutture sanitarie, in
quanto
attraverso la condivisione di responsabilità da parte dei cittadini nei
confronti
della propria salute (quella che comunemente si chiama prevenzione), si
migliora lo stato di salute generale della popolazione evitando o riducendo
il
ricorso alle strutture sanitarie, ciò che consente un risparmio notevole di
risorse pubbliche (per non parlare, evidentemente, delle sofferenze umane in
tal modo evitate).
6 Fanno riflettere, a questo proposito, i dati riportati nella Relazione
sullo stato del servizio
sanitario della Provincia Autonoma di Trento per il 2000, secondo i quali la
longevità dipende dai
seguenti fattori: per il 50% dagli stili di vita, per il 20% dalla qualità
dell'ambiente, ancora per il
20% dall'eredità genetica, ma solo per il 10% dalle cure sanitarie, cit. in
L'Adige, 6 giugno 2002,
pag.25.
17
In altri termini, il problema posto dalla crisi dello Stato sociale riguarda
i costi crescenti di strutture pubbliche create per soddisfare diritti
fondamentali come il diritto alla salute, all'istruzione, all'assistenza,
alla
mobilità, e così via; il modello dell'amministrazione condivisa fornisce una
soluzione alternativa non tanto al problema dei costi delle strutture,
quanto al
problema originario, quello che ha dato luogo alla creazione stessa di tali
strutture, ovvero il problema di come garantire il diritto alla salute,
all'assistenza, etc.. Nella logica dell'amministrazione condivisa si parte
dal
problema e si cerca una soluzione nuova, che consenta di attivare risorse
presenti nella società, piuttosto che risorse pubbliche; così facendo si
riduce il
peso che grava sulle strutture tradizionalmente deputate a fornire risposte
al
problema in questione e, spesso, si realizzano soluzioni qualitativamente
migliori.
3.2. L'amministrazione della sussidiarietà
L'altra modalità di realizzazione del modello dell'amministrazione
condivisa, quella definita amministrazione della sussidiarietà, si fonda
invece
sull'autonoma iniziativa dei cittadini, che si attivano per realizzare
attività di
interesse generale, secondo quanto previsto dall'art.118, u.c. Cost.
("Stato,
Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di
attività di
interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà").7
L'art.118, u.c. dipende dunque per la sua attuazione non dalle
istituzioni, ma dai cittadini; spetta ad essi assumere l'autonoma iniziativa
nell'interesse generale che costituisce il nucleo essenziale della
disposizione.
Tradizionalmente, secondo lo schema bipolare, il flusso del potere, delle.
18
informazioni, delle decisioni va dalle amministrazioni verso i cittadini; in
questo
caso invece il flusso si inverte, il potere di iniziativa ce l'hanno i
cittadini perché
dipende da loro, non dalle amministrazioni, realizzare esperienze di
amministrazione condivisa fondate sul principio di sussidiarietà
orizzontale.
Dal punto di vista delle amministrazioni, però, l'inserimento nel nostro
ordinamento del principio di sussidiarietà orizzontale consente di ampliare
la
gamma degli strumenti utilizzabili per la realizzazione della missione
affidata
loro dalla Costituzione all'art.3, 2°c.. Finora si poteva ritenere che solo
i poteri
pubblici potessero provvedere in tal senso, direttamente o attraverso
l'azione
di privati agenti nell'ambito di un rapporto di strumentalità nei confronti
delle
pubbliche amministrazioni; ora invece, grazie al principio di sussidiarietà
orizzontale, la Repubblica ha trovato degli alleati che si assumono
autonomamente l'onere di contribuire al difficile compito di creare le
condizioni
per la piena realizzazione di ciascuno, quegli stessi cittadini del cui
pieno
sviluppo la Repubblica deve appunto, secondo l'art.3, 2° c., farsi carico.
I poteri pubblici, secondo l'art.118, u.c., devono favorire le autonome
iniziative dei cittadini quando esse sono nell'interesse generale; ma la
creazione delle condizioni per la piena realizzazione di ciascuna persona
umana
è sicuramente nell'interesse generale. Favorendo tali iniziative, pertanto,
la
Repubblica persegue, sia pure con strumenti diversi da quelli tradizionali
ed in
collaborazione con i cittadini stessi, la missione affidatale dall'art.3,
2°c. Cost..
Il principio di sussidiarietà orizzontale nell'accezione di cui all'art.118,
u.c. Cost., tanto più se messo in relazione con l'art.3, 2°c., non postula
dunque
in alcun modo un "ritrarsi" dei soggetti pubblici di fronte all'autonoma
iniziativa
dei cittadini nell'interesse generale, anzi, al contrario, richiede un loro
ulteriore
attivarsi, in quanto permane pur sempre in capo a tali soggetti l'onere di
realizzare la missione loro affidata dall'art.3, 2°c.; cambiano gli
strumenti e le
modalità di intervento, non la missione.
L'interesse generale diventa allora il ponte che unisce l'art.3, 2°c. e
l'art.118, u.c., i soggetti pubblici ed i cittadini: in un caso tale
interesse è
perseguito direttamente dai soggetti pubblici, in un altro dai cittadini ma
sostenuti dai soggetti pubblici, in un rapporto "sussidiario" nel senso più
19
letterale del termine, in quanto è un rapporto di reciproca collaborazione e
aiuto per il raggiungimento di un obiettivo comune.
Ma ci sono anche altri "ponti", per così dire, che uniscono l'art.118, u.c.
ed i primi articoli della Costituzione in materia di princìpi fondamentali.
Uno è
rappresentato dall'art.2, già citato, che "richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"; un altro
dall'art. 4, che
al primo comma riconosce il diritto al lavoro, mentre il secondo comma
dispone
che "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità
e la
propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso
materiale o
spirituale della società". Il principio di sussidiarietà orizzontale da un
lato apre
nuovi spazi per la realizzazione di quanto previsto da entrambe queste
disposizioni, dall'altro trova in esse un'ulteriore legittimazione, in
particolare
per quanto riguarda la maggiore cogenza del dovere dei poteri pubblici di
"favorire" le autonome iniziative dei cittadini.
Se infatti tali iniziative sono uno dei modi con cui i cittadini possono
adempiere sia ai "doveri inderogabili di solidarietà", sia al "dovere di
svolgere
... un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale
della società", sarebbe inaccettabile che i soggetti pubblici non li
sostenessero
o peggio ancora li ostacolassero, tanto più tenendo conto che le iniziative
autonome dei cittadini di cui all'art.118, u.c. in fondo non sono altro che
una
manifestazione di sovranità popolare, sia pure in forme e con strumenti
inediti.