la nozione di rifiuto



audione di g. amendola procuratore della repubblica roma alla com. naz.
parl. rifiuti

Seduta del 15/10/2003

Audizione del procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di
Roma, Gianfranco Amendola.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore aggiunto
della Repubblica presso il tribunale di Roma, Gianfranco Amendola.
Nell'odierna seduta prosegue la serie di audizioni in merito alle
problematiche inerenti la definizione normativa della nozione di «rifiuto».
La Commissione ha già ascoltato su tale delicata materia, acquisendo utili e
preziosi contributi, i rappresentanti dell'ENEA, dell'APAT,
dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti, delle associazioni ambientaliste,
dell'associazione Ambiente e lavoro, dell'UNI (Ente nazionale di
unificazione), di Ambiente Italia. La Commissione ha svolto altresì
audizioni tese ad acquisire, su tale materia, anche il contributo del mondo
accademico e della dottrina, ascoltando il professor Franco Giampietro,
magistrato di Cassazione in congedo, il professor Renato Federici, docente
di diritto amministrativo, e il magistrato di Cassazione Maurizio Santoloci.
L'odierna audizione del dottor Gianfranco Amendola fornirà certamente alla
Commissione utili elementi di valutazione sulle problematiche che
afferiscono alla questione dell'esatta definizione giuridica della categoria
dei rifiuti. Ricordo che la scorsa settimana sono stati ascoltati magistrati
appartenenti alle procure di Udine, Trieste, Napoli, Venezia e Milano.

Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità
manifestata, do la parola al dottor Amendola, riservando eventuali domande
dei colleghi al termine del suo intervento.

GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il
tribunale di Roma. Signor presidente, ho preso visione del materiale
trasmesso alla Commissione da parte di alcuni colleghi, materiale comune a
tanti magistrati: per esempio, quello che ha portato il procuratore
Santoloci è stato in buona parte scritto da me stesso. Mi sembra, pertanto,
del tutto inutile che adesso io ripeta cose già portate all'attenzione della
Commissione e che voi certamente conoscete perfettamente. Forse è più
opportuno che faccia una sintesi, portando pochi elementi nuovi, alcuni dei
quali ancora non pubblicati.
Ricorderete certamente che, al livello storico, la problematica
sull'interpretazione autentica della nozione di «rifiuto» viene da lontano:
fu proprio su richiesta di questa Commissione - all'epoca presieduta da
altro presidente e con altri componenti - che si disse che era necessario
ridefinire la nozione di rifiuto. Proprio in base a questo, nella
Commissione ambiente della Camera, fu esaminato il disegno di legge definito
Ronchi-quater, nel 1999, il cui iter andò avanti con grande velocità. Il
testo fu speditamente approvato in Commissione in una stesura in cui si dava
l'interpretazione autentica della nozione di rifiuto.
Negli stessi giorni, tuttavia, fu emanata una sentenza della Corte europea
di giustizia, la sentenza Arco del 2000, che, tra le altre cose, conteneva
un elemento di base, pregiudiziale: nessuno Stato membro dell'Unione può
dare un'interpretazione mettendo presunzioni iuris et de iure sulla
definizione di rifiuto, cioè presunzioni che non ammettono prova contraria,
in quanto la definizione di rifiuto non può essere codificata. In base ad
alcuni criteri di valutazione dati dalla Corte europea, essa deve essere
valutata caso per caso dal giudice nazionale. Nel caso concreto, non può
quindi essere standardizzata prima.
È appena il caso di ricordare che le sentenze interpretative della Corte
europea sono vincolanti per i giudici e i funzionari italiani, come ha
affermato anche la nostra Corte costituzionale.
Il Ronchi-quater così si bloccò e il suo iter non andò avanti nella scorsa
legislatura, ma lo stesso, identico testo che era stato approvato dalla
Commissione fu riproposto come decreto-legge la scorsa estate dalla nuova
maggioranza, dal nuovo Governo, diventando legge con una sola piccola
modifica riguardante una frase. I rilievi che la Corte europea di giustizia
aveva rivolto al cosiddetto Ronchi-quater restano quindi del tutto validi
anche per il provvedimento varato successivamente. Tra l'altro, la Corte
europea di giustizia ha poi affinato ancor di più la sua interpretazione con
diverse sentenze. Ho visto che il collega Santoloci vi ha già citato la
Palin Granit, che è una delle più importanti; pochi giorni fa è uscita
un'altra sentenza, di cui ho portato copia (che vi posso lasciare, nel caso
in cui non l'abbiate ancora), che riguarda l'Avesta Polarit Chrome Oy, sul
caso di alcuni residui di una miniera che venivano utilizzati per chiudere
le gallerie in disuso della miniera stessa. Si discuteva se fossero rifiuti
o no.
In questa lunga e articolata sentenza la Corte ribadisce ancora una volta la
sua giurisprudenza, cioè che la nozione di rifiuto deve essere vista caso
per caso, che tutto ciò che viene prodotto accidentalmente nel corso di un
processo di produzione deve ritenersi, in linea di principio, rifiuto, che
in ogni caso, se vi sono operazioni di trasformazione preliminare, questa
cosa resta un rifiuto, ovviamente a maggior ragione se vi è un'operazione di
recupero o, peggio ancora, di smaltimento, ripetendo i concetti già espressi
per anni. Il concetto base ripetuto sempre in queste sentenze è che possono
essere escluse dalla nozione di rifiuto solamente le situazioni in cui il
riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo
eventuale bensì certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del
processo di produzione. Quindi, tutti i casi
in cui, invece, si volesse dire che non è rifiuto un riutilizzo - e già
dovremmo sapere cos'è il riutilizzo rispetto al recupero - di un materiale,
con trasformazione preliminare e non nel corso del processo di produzione,
sarebbero contrari a questa normativa.
In quest'ultima sentenza, la Corte ha aggiunto inoltre due altri aspetti, a
mio sommesso avviso molto rilevanti. Si è occupata, infatti, dell'altro
articolo fondamentale cui si è fatto ricorso in Italia per escludere alcuni
rifiuti dall'ambito di applicazione dei rifiuti stessi. Mi riferisco
all'ambito delle esclusioni, quello, per capirsi, su cui il Governo
precedente aveva scritto quattro commi, quando la direttiva ne aveva uno:
sette mesi dopo, a seguito dell'intervento della Commissione, fu costretto
ad abrogare, con il Ronchi-bis, il secondo, il terzo e il quarto comma
perché considerati illegittimi dalla Commissione europea. Quindi, vi era già
stata l'idea di allargare le esclusioni dall'ambito della materia dei
rifiuti, esclusioni che poi sono inopinatamente riaumentate recentemente con
l'inserimento delle terre da scavo anche contaminate, del pet coke di Gela e
di materiali vegetali.
Questa sentenza è interessante perché afferma che gli Stati membri possono
fare esclusioni dalla normativa comunitaria sui rifiuti. Quindi, per
definizioni sarebbero già rifiuti. È ovvio che se una cosa non è un rifiuto
non le si applica la normativa; le esclusioni sono invece i casi in cui
queste cose sono certamente rifiuti ma ad essi non si applica la normativa
sui rifiuti. Quindi, uno Stato membro lo può fare, ma esclusivamente nel
caso in cui abbia una normativa che disciplina i rifiuti che dia quanto meno
le stesse garanzie per la tutela dell'ambiente di quante ne dà la normativa
generale europea sui rifiuti. Se ne desse di meno, sarebbe illegittima.
Ciò mi sembra di grande interesse, nel momento in cui il legislatore si
appresta - spero - a rivedere tutta la materia che giorno per giorno si è
«incrostata» secondo i problemi contingenti. Probabilmente, occorre rivedere
insieme sia la nozione di rifiuto sia, soprattutto, le esclusioni, perché
bisogna tenere conto anche di questa sentenza, di cui vi lascio volentieri
copia.
PRESIDENTE. La acquisiamo con piacere.
GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il
tribunale di Roma. Un secondo argomento che può risultare interessante
riguarda un articolo da me recentemente pubblicato in cui ho commentato le
prime sentenze della Cassazione emesse sull'interpretazione autentica della
definizione di rifiuto. L'unico vero contrasto che ho notato - ma certamente
qualcuno lo avrà fatto notare alla Commissione - non è tanto sul fatto che
si sia riconosciuto che qualcosa che sembrava rifiuto non lo è in base
all'articolo 14 del decreto-legge n. 138 del 2002, ma esclusivamente sulla
possibilità che il giudice italiano avrebbe o non avrebbe di disapplicare
l'articolo 14 in base a normative comunitarie e sentenze della Corte di
giustizia. Il vero contrasto interpretativo che si è avuto nell'ambito della
terza sezione della Cassazione è su questo punto: non tanto sull'esatto
contesto in cui inserire l'articolo 14, ma se il giudice italiano possa in
qualche modo disattendere, disapplicare questo articolo 14 in base a
obblighi comunitari. Mi è sembrato interessante far notare questo aspetto,
trattandosi di un punto che certamente può essere rilevante ai fini delle
vostre importanti decisioni.
Che l'articolo 14 sia inidoneo a risolvere i problemi per i quali è stato
emanato è sotto gli occhi di tutti. Se nella relazione si parla di rottami
ferrosi del nord est italiano - e voi avete sentito certamente la Beltrame e
gli altri colleghi che se ne sono occupati - e nel disegno di legge per la
delega sulla normativa ambientale è stato aggiunto un comma dove si dice che
i rottami ferrosi non sono rifiuti, evidentemente si è capito che l'articolo
14 non era idoneo a risolvere il problema (che occorra un nuovo intervento
del legislatore è condivisibile o meno, secondo me non condivisibile).
Quindi, evidentemente, questo
articolo 14 non serve a ciò a cui era destinato, se crea solamente
confusione. Ad esempio, usa il termine «riutilizzo» senza neanche dirci in
cosa questo si differenzi dalle altre forme di recupero previste
dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e non ci dice neppure
cos'è una trasformazione preliminare diversa da una delle operazioni
preliminari per il recupero previste dagli allegati B e C; se non ci dà
neanche questi elementi fondamentali, è solo una fonte di incertezza e una
fonte di sicura condanna, visto che siamo già al secondo parere motivato
contro l'Italia della Commissione europea, e la Corte europea di giustizia
dovrà decidere nei prossimi giorni. Ma la giurisprudenza della Corte è
quella che ho detto, e da ex deputato europeo vi dico che la Corte, sotto
questo profilo (anche se non si può mai sapere cosa decide un giudice), non
potrà che condannarci. Mi sembra pertanto che, a questo punto, più che
basarsi sull'articolo 14, su questa interpretazione autentica, si debba
agire in sede comunitaria, per risolvere lì alcune situazioni e poi
riportarle in tutta Europa, senza levare l'Italia da questo contesto.
Non desidero farvi perdere altro tempo e sono a disposizione per rispondere
ad eventuali domande.
PRESIDENTE. Il senso della nostra iniziativa nasce proprio dalla
registrazione dell'insuccesso dell'articolo 14, registrazione - come lei ha
utilmente notato - da ambo le posizioni, nel senso che chi credeva che
quella ratio potesse sostenere quell'articolato si è accorto che il prodotto
è ininfluente; chi viceversa sosteneva e sostiene che la ratio è errata a
maggior ragione ritiene inutile quell'articolato.
Partendo da quella riflessione, ci siamo permessi di considerare una delle
priorità della Commissione quella di ritornare su questo merito, di ridare
alla Camera, al Senato e anche al Governo la possibilità di riflessione su
questo tema.
Con la sua esperienza e con le sue conoscenze, lei ha offerto uno spaccato
puntuale e utilissimo. Sulla vicenda delle esclusioni è possibile ipotizzare
in modo concreto delle reali condizioni escludenti, il che significa
escludere dal regime dei rifiuti?
GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il
tribunale di Roma. Esattamente.
PRESIDENTE. Che non significa non considerare che trattasi di rifiuto, ma
escluderlo dal regime dei rifiuti.
GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il
tribunale di Roma. Esatto. Nella sentenza di cui ho parlato vi sono alcune
righe che riguardano questo punto, che è il vero punto nuovo, che lei ha
colto perfettamente. La Corte dice: «Tenuto conto delle caratteristiche
molto particolari dei rifiuti di cui trattasi, il legislatore comunitario ha
potuto preferire, in occasione dell'adozione della direttiva (...) lasciare
applicare legislazioni nazionali esse stesse adattate a tali specificità»
(cioè a rifiuti specifici) «piuttosto che assoggettare i rifiuti di ci
trattasi all'ambito generale della direttiva 75/442. Tuttavia, al fine di
evitare che, in talune situazioni, la gestione di questi rifiuti non rimanga
soggetta ad alcuna legislazione, come in precedenza, esso ha accolto un
dispositivo ai sensi del quale, in difetto di normativa comunitaria
specifica e, in via subordinata, di legislazione nazionale specifica, si
applica la direttiva 75/442», cioè quella sui rifiuti. Si aggiunge poi che
questa esclusione opera solo se vi siano disposizioni precise che
organizzano la loro gestione come rifiuti che porti a un livello di
protezione dell'ambiente almeno equivalente a quello previsto dalla
direttiva sui rifiuti. Quindi noi possiamo benissimo farlo, ma l'importante
è non calare le difese. Non entro nei particolari di terre da scavo e pet
coke.
DONATO PIGLIONICA. È meglio che facciamo l'elenco di ciò che viene escluso
dai rifiuti piuttosto che quello dei rifiuti.
PRESIDENTE. L'innovazione straordinaria è che si possono fare quanti elenchi
si vuole, a condizione che la normativa sia di tutela.
GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il
tribunale di Roma. Esattamente.
EGIDIO BANTI. Di quando è questa sentenza?
GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il
tribunale di Roma. Dell'11 settembre del 2003. Non è ancora pubblicata.
EGIDIO BANTI. Mi sembra interessante ragionare brevemente su questo aspetto
dell'equipollenza della normativa qualora si dovesse uscire da quella
prevista dalla direttiva sui rifiuti. Per esempio, la tutela penale, qualora
fosse prevista una fattispecie di reato penale in caso di applicazione della
direttiva stessa e fosse esclusa dall'eventuale legislazione nazionale, è
considerata equipollente da questo punto di vista?
GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il
tribunale di Roma. Direi di no. L'esempio più classico viene nel classico
caso delle esclusioni, cioè le acque di scarico rispetto ai rifiuti, laddove
si discute dell'ambito di applicazione del decreto sui rifiuti e del decreto
legislativo n. 152 del 1999 sulle acque (prima era la legge Merli). La
normativa comunitaria e quella italiana dicono che sono escluse dalla
normativa sui rifiuti in quanto disciplinate da altra legge le acque di
scarico esclusi i rifiuti allo stato liquido. Il decreto n. 152 prevede
sanzioni penali e amministrative con un livello di tutela almeno equivalente
a quello di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997. Quindi, bene abbiamo
fatto, è legittimo, è lecito, ma se lo facessimo senza dare, quantomeno, un
livello equivalente, sarebbe censurabile almeno in sede di Corte europea di
giustizia.
PRESIDENTE. Queste occasioni di approfondimento - se mi è consentito di
primo approfondimento, e qualora valutassimo l'esigenza di meglio
comprendere o approfondire determinate questioni ci premetteremmo di
disturbarla ancora, conoscendo la sua competenza, la sua passione e la sua
sensibilità, e quindi anche la disponibilità a partecipare ai nostri
lavori - sono molto utili per la Commissione.
GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il
tribunale di Roma. Grazie, presidente, è un piacere e un onore.
PRESIDENTE. La ringrazio ancora, assieme ai colleghi intervenuti, e dichiaro
conclusa l'audizione.