energia, una rivoluzione da concertare



il manifesto - 25 Luglio 2003


PROBLEMI ENERGETICI

Una rivoluzione energetica da concertare

VINCENZO NASO * - GIANNI SILVESTRINI **

L'estate è funestata da una inquietante congiuntura energetico-ambientale.
Due gli aspetti più evidenti: i cambiamenti climatici e i black out; la
limitatezza delle risorse fossili e l'inquinamento globale e locale fanno da
sfondo. E' il momento di far leva su questi segnali e avviare radicali
cambiamenti, una rivoluzione energetica concertata di proporzioni ancora
maggiori di quella degli anni Settanta. Partendo dai black out e dalle
alterazioni estreme del clima, vanno prese decisioni politiche che
coinvolgeranno tutti. In questi giorni, a Montecatini, al Consiglio
informale dei ministri europei dell'ambiente e dell'energia, si è andata
evidenziando l'inconciliabilità fra le necessità ambientali e le decisioni
prese da alcuni paesi in campo energetico. Così, da un lato la commissaria
Wallstrom ha messo sotto accusa dieci paesi europei, fuori-rotta rispetto al
Protocollo di Kyoto (Italia inclusa: le sue emissioni sono cresciute del 6%
rispetto al 1990, mentre devono ridursi del 6,5% nel 2010); dall'altro, il
ministro Marzano, ha rilanciato il ruolo del carbone, sia pure «pulito» e
con ipotesi di confinamento, mettendo a rischio gli obiettivi di riduzione
della Co2.

A rigore, il protocollo di Kyoto non è ancora ufficialmente adottato (lo
sarà a settembre con la ratifica da parte della Russia?), ma già si stanno
discutendo i passaggi successivi. L'Ue, da sempre riferimento nelle
strategie di risposta all'emergenza climatica, prepara tagli alle emissioni
fino al 40% per il 2020; il governo inglese si è spinto ad ipotizzare
riduzioni dei gas climalteranti del 60% al 2050. Con obiettivi così
stringenti, vanno riviste alla base le modalità di produzione e consumo
dell'energia e di trasporto di persone e merci. La tendenza attuale
porterebbe ad un aumento del 50% dei consumi mondiali entro il 2030. In
verità, segnali di cambiamento si vedono, come il boom delle fonti
rinnovabili (Germania, Spagna, Danimarca) e la riduzione dell'uso del
carbone; essi mostrano con crescente chiarezza lo scenario che si sta
avviando e che comporterà radicali mutamenti tecnologici, impegnendo
ingentissime risorse economiche. Alla base c'è una variabile, quella
climatica, che diverrà critica prima ancora dell'esaurimento delle fonti
fossili. Con questo quadro di riferimento vannno prese decisioni che
influiranno sui prossimi 30-40 anni; è il caso delle nuove centrali
elettriche, comunque necessarie nella fase di transizione verso nuovi
scenari. Un esempio dell'impatto della variabile climatica verrà
dall'introduzione, nel 2005, della Direttiva europea sull'emissions trading,
l'obbligo per le imprese di contenere le emissioni entro tetti prestabiliti
con la possibilità di acquisire quote di anidride carbonica per rientrare
nei limiti. Secondo uno studio della Mc Kinsey, il loro costo si potrebbe
portare a valori tali (oltre 25 euro a tonnellata di Co2) da rendere i costi
operativi delle centrali a carbone decisamente superiori rispetto a quelli
dei cicli combinati a gas. Vedremo finalmente affermarsi quelle denunce sui
costi «esterni», le esternalità che inficiano le effettive prestazioni
economiche delle fonti fossili, da sempre evocati dai sostenitori delle
fonti rinnovabili? La rivoluzione energetica dovrà avere più fronti:
interventi sulla domanda, promuovendo capillarmente il risparmio energetico;
interventi di transizione (microgenerazione, impianti combinati a gas e
primo stadio di effettiva penetrazione delle rinnovabili); ricerca, sviluppo
e diffusione delle tecnologie dell'idrogeno (inizialmente prodotto da
fossili ma anche da rinnovabili, a medio termine soltanto da sole, vento,
biomasse ed altre rinnovabili).



Interventi sulla domanda: l'efficienza energetica

La priorità nelle scelte energetiche dovrà riguardare l'efficienza degli usi
finali: lo spazio per ridurre i consumi a parità di servizi erogati è molto
maggiore di quanto si pensi. Una politica per l'efficienza energetica,
coerente e duratura, può dare grandi risultati. Negli ultimi 30 anni, la
California ha stabilizzato i consumi elettrici procapite, a fronte di un
incremento medio del 50% negli Usa. In Danimarca, il consumo specifico (per
m2) per il riscaldamento degli edifici si è ridotto di un quarto negli
ultimi 20 anni. L'Italia è generalmente considerata efficiente, dal punto di
vista energetico. In realtà, disaggregando il dato dell'intensità
energetica, si scoprono comparti efficienti ed altri molto carenti; in
particolare, la situazione del settore civile e residenziale è molto
arretrata. In media, l'efficienza dei frigoriferi italiani è del 7%
inferiore a quella europea. Così per altri elettrodomestici, ma soprattutto
per gli edifici, con dispersioni decisamente superiori a quelle del resto
dell'UE.E dire che i vantaggi economici degli interventi di risparmio
possono risultare notevoli! Con programmi di risparmio (20 miliardi di
dollari investiti nell'ultimo decennio) le compagnie elettriche statunitensi
hanno evitato la costruzione e la onerosa gestione di una trentina di grandi
centrali elettriche: il rapporto tra benefici e costi è stato pari a 2,1 nel
settore privato e a 1,6 nel settore pubblico. E secondo un recente studio
dell'European Climate Change Plan, interventi di risparmio possono evitare
alla Ue emissioni di anidride carbonica per 150 milioni di tonnellate
all'anno (t/a), con costi nulli o addirittura con un vantaggio economico:
vantaggi economici alla collettività e decollo dell'industrializzazione
ecologica, decisiva in un periodo di debolezza economica dei Paesi
industrializzati.

Ma che fa il nostro paese per il risparmio? Poco, se si guarda al passato;
oggi, però, ci sono interessanti prospettive. Nei prossimi mesi, anche
grazie ai black-out, diventeranno operativi i decreti del 2001 che obbligano
i distributori di energia elettrica e gas a svolgere un ruolo attivo sul
versante dell'efficienza energetica. Il meccanismo messo a punto sulla base
dei decreti Bersani e Letta è sicuramente innovativo e può ridurre di circa
8 milioni di t/a le emissioni di Co2 al 2008. L'estensione di questo
meccanismo al 2012 può far coprire il 20% della quota «nazionale» di
riduzione prevista dal Protocollo di Kyoto (esclusi gli interventi
all'estero). A questo si potrebbero aggiungere le nuove tecnologie di
progettazione e gestione degli edifici energeticamente «intelligenti» o
«autosufficienti».



Fonti rinnovabili e generazione distribuita oggi, idrogeno domani

Con buona pace di M. Pallante (il manifesto,13/7/03), l'intervento sul lato
della domanda, indispensabile e prioritario, non basterà. Le emergenze,
essendo più d'una, unite alla crescita imperiosa dei consumi, prevista anche
dal World Energy Outlook 2002, comportano che la rivoluzione energetica
concertata aggredisca anche il versante della produzione. Abbiamo esposto le
nostre tesi anche su questo giornale (il manifesto, 2/11/02; 11/5 e
29/6/03): il risparmio energetico è una fonte energetica virtuale; eolico e
biomasse vanno da subito affiancati alle nuove centrali a ciclo combinato ed
a gas, con tutte le cure per le compatibilità ambientali di tutti e tre
questi tipi di impianti. La microgenerazione e la tri-generazione
(caldo-freddo-elettricità) ad altissima efficienza dovranno essere
incentivate e diffondersi capillarmente (a Montecatini si è parlato di
12.000 Mw), per fronteggiare le imminenti crisi delle reti elettriche
globali. La crescita della generazione distribuita rappresenta infatti un
altro elemento della rivoluzione. La tendenza degli impianti di generazione
era verso dimensioni unitarie sempre maggiori, per la riduzione dei costi
unitari. Il collegamento tra taglia e costi si è però invertito negli anni
80. Negli Usa la liberalizzazione del mercato elettrico ha comportato un
crollo della taglia: negli anni 90 sono state commissionate solo 22 grandi
centrali, un decimo rispetto alla media del decennio precedente.

Alle rinnovabili, che possono contribuire per la loro natura alla
generazione decentrata ed attraversano un buon periodo con crescite annue
dell'eolico e fotovoltaico del 30%, toccherà anche un più impegnativo ruolo:
diventare, il sole per primo, le uniche fonti da cui produrre idrogeno. La
rivoluzione energetica non avrà successo se non preparerà l'era
dell'idrogeno pulito, ossia prodotto da rinnovabili; il suo ciclo va
sperimentato e sviluppato, lavorando su produzione, accumulo, trasporto,
distribuzione, utilizzazione. Lo sforzo che la rivoluzione energetica
comporta è immenso, gli ostacoli enormi. Essa dovrà essere concertata, tra
Organizzazioni internazionali, Governi, multinazionali, amministrazioni
pubbliche, anche locali. Un primo passo possono essere i programmi di
cooperazione con i Paesi in via di sviluppo (Clean Development Mechanism,
CDM) e con quelli in transizione (Joint Implementation, JI), favoriti dai
meccanismi che deriveranno dal Protocollo di Kyoto, giustamente richiamati
dai Direttori Clini ed Ortis a Montecatini. Purché le politiche di
intervento all'estero non sostituiscano le molte misure da adottare in casa,
che devono avere invece la priorità. La speranza è che i decisori capiscano
che la svolta è indispensabile ed urgente, ma soprattutto, che questa
esigenza sia metabolizzata dall'opinione pubblica mondiale, l'unica che
potrà, con successo, sorvegliare, intervenire, pretendere.

* Presidente ISES Italia**

Direttore Scientifico Kyoto Club