usa , sindrome anti-cinese



il manifesto - 19 Luglio 2003


Sindrome anti-cinese
La Casa Bianca sta gettando le basi per uno scontro tra Washington e
Pechino. I think tank conservatori americani, con il famigerato Pnac in
testa, descrivono la Cina come un concorrente diretto, nelle forze armate
Usa serpeggia la richiesta di essere schierate in modo da poter fronteggiare
esplicitamente quelle cinesi. E in mezzo, ancora una volta, il petrolio. E'
quello delle isole Spratly, un arcipelago conteso che potrebbe essere «un
nuovo Golfo Persico»
E' Pechino l'ultimo obiettivo del «nuovo riordino mondiale» inaugurato in
Afghanistan e in Iraq? Ormai molti sintomi dicono di sì
RITT GOLDSTEIN
«Prima dell'11 settembre, le relazioni tra il paese più potente al mondo e
quello più popoloso si stavano avviando a uno scontro», ha scritto Mohan
Malik per l'influente Asia-Pacific Center for Security Studies dell'esercito
Usa. E gran parte dell'opinione pubblica mondiale si interroga sul vero
motivo della guerra all'Iraq e sugli obiettivi futuri dell'amministrazione
Bush. Ora elementi allarmanti fanno pensare che - cessate le ostilità tra
Usa e Medio Oriente e abbandonata la questione della Corea del Nord -
l'amministrazione Bush abbia intenzione di cercare uno scontro con la Cina,
un progetto da cui l'aveva allontanata l'11 settembre. Secondo l'Asia Center
dell'Università di Harvard l'ex ambasciatore americano in Cina, ammiraglio
Joseph Prueher, avrebbe osservato a proposito delle relazioni Usa-Cina:
«Dall'11 settembre abbiamo trovato un `nemico' diverso». Ma atti recenti
dell'amministrazione dimostrano che sono in corso iniziative
inconfondibilmente finalizzate proprio a uno scontro con i cinesi. Secondo
una dichiarazione dell'ammiraglio in pensione Tom Moorer (ex capo degli
stati maggiori riuniti, la carica più alta nelle forze armate americane) la
Cina sarebbe «sempre più chiaramente un nemico che cerca di soppiantarci».
La posizione dell'ammiraglio riflette un tentativo cominciato nel 1997, che
ha visto i neo-conservatori statunitensi cercare in misura crescente una
resa dei conti con Pechino. Come è stato ampiamente riportato dai media, nel
caso dell'incidente dell'aereo-spia americano avvenuto nel 2001 i falchi
dell'amministrazione hanno soffiato sul fuoco. Ma l'offensiva è stata
guidata da think tank come il Pnac (Project For a New American Century) -
che ha nell'amministrazione Bush il 40% dei suoi 25 soci fondatori - e
periodici come il Weekly Standard.

Come per il Golfo Persico, un elemento chiave è rappresentato dal petrolio.
Il possesso dei giacimenti di petrolio e di gas delle isole Spratly nel Mar
della Cina meridionale è largamente percepito come la probabile causa
scatenante per il conflitto. Come titolava nel giugno 2002 la rispettata
newsletter sull'industria energetica Alexander's Gas & Oil Connections, «il
contenzioso sulle isole Spratly blocca l'esplorazione del Mar della Cina
meridionale», riprendendo un rapporto Dow Jones che definiva le Spratly
«un'area ritenuta ricca di giacimenti sottomarini di petrolio e di gas».
Ironicamente, un rapporto della Us Energy Information Administration del
marzo 2002 osserva che «la regione delle isole Spratly potrebbe diventare un
altro Golfo Persico». La loro definizione intendeva fare riferimento solo
alle potenziali fonti energetiche del territorio rivendicato dai Cinesi.

La Cina (che è il terzo maggiore consumatore di petrolio) necessita di
importazioni massicce di energia. Si prevede che in futuro il suo consumo
«si decuplicherà». Il petrolio delle Spratly è visto come vitale per il
futuro della Cina, particolarmente alla luce dei cambiamenti mediorientali.
I cinesi hanno anche ricercato sia acquisti di energia che accordi di
sviluppo congiunto compreso, prima della guerra, un accordo con l'Iraq per
sviluppare congiuntamente i giacimenti petroliferi iracheni. Prima della
guerra in Iraq, il 60% delle importazioni di energia della Cina venivano dal
Golfo Persico. Tali importazioni energetiche sono ora sotto il controllo
degli Usa. Ma come ha riferito il Toronto Star il marzo scorso, molti
analisti pensano che la ragione della guerra all'Iraq fosse «l'energia e il
petrolio» e che essa sia stata combattuta per ottenere il «controllo degli
stati del Golfo mediante un paese strategico, l'Iraq». «Controllando il
rubinetto del petrolio» l'America avrebbe avuto più «potere nei confronti di
Cina e Russia.»

Lo Star citava anche l'analista militare Michael Klare, il quale avvertiva:
«Controllando i giacimenti petroliferi del Golfo Persico, gli Stati uniti
potranno strangolare l'economia mondiale». Secondo Klare l'amministrazione
Bush è convinta che tale controllo, combinato alla potenza militare degli
Stati uniti, «garantirà la supremazia americana per i prossimi 50 o 100
anni».

Oggi, con un recente sondaggio in base al quale il 56% degli americani
appoggiano una azione militare contro l'Iran, vale la pena di menzionare il
fatto che nel 2000 il Pnac aveva anche fatto riferimento al bisogno di
affrontare «potenziali avversari dalla Cina all'Iran». Il Pnac aveva allo
stesso tempo auspicato la riduzione delle forze armate Usa di stanza in
Europa e un loro rafforzamento nel Pacifico. Il segretario alla difesa
Donald Rumsfeld (socio fondatore del Pnac) ha appoggiato tale rafforzamento
nel Pacifico, un rafforzamento diretto contro la Cina. E a partire dall'1
giugno, Aaron Friedberg (socio fondatore del Pnac, descritto come uno che
crede nella inevitabilità di uno scontro Usa-Cina) ha cominciato il suo
incarico come vice-consigliere alla sicurezza nazionale del vice-presidente
Dick Cheney (socio fondatore del Pnac), l'unico consigliere di così alto
livello con credenziali sulla Cina.

Per quanto riguarda la posizione del presidente Bush, mentre era ancora un
candidato presidenziale aveva dichiarato: «La Cina è un nemico, non un
partner strategico». Oggi il Pentagono sta spostando i suoi asset e la sua
impostazione di conseguenza, vedendo il Pacifico come la prossima grande
arena di conflitto. Come ha avvertito l'analista militare William Pfaff
nell'aprile 2001, gli Usa non dovrebbero fare della Cina «un nemico».
Tuttavia, secondo Pfaff, il comportamento della attuale amministrazione
«dimostra che il paese sta andando in quella direzione - e lo sta facendo
con preoccupante spensieratezza». Più incisivamente, nel gennaio 2003 John
Pilger ha definito l'obiettivo dell'amministrazione «l'assoggettamento della
Cina».

Attualmente l'amministrazione Bush starebbe cercando di «contenere la Cina»
attraverso una rete crescente di alleanze regionali. Quelle con l'India sono
diventate di pubblico dominio dopo la pubblicazione in aprile di un articolo
sui legami India-Usa da parte di Jane's, il prestigioso gruppo di ricerca
della difesa. L'articolo di Jane's si basa su una analisi riservata di 130
pagine preparata per il segretario alla difesa americano Rumsfeld. Tale
documento di analisi definiva la Cina «la minaccia più significativa alla
sicurezza di entrambi i paesi per il futuro, in quanto rivale economico e
militare». Un anonimo ammiraglio Usa citato aggiungeva che gli Usa e l'India
«considerano entrambi la Cina una minaccia strategica». Ciò su cui si taceva
erano gli sforzi fatti dagli Usa per favorire questa percezione. Jane's
riferiva comunque che le persone intervistate per la preparazione
dell'analisi destinata a Rumsfeld erano in gran parte persone con «un
interesse» a incoraggiare i legami Usa-India.

È da notare che un articolo apparso il 21 giugno sul Chicago Tribune
sottolineava che l'India e la Cina starebbero cercando un «terreno comune»
alle pressioni della Russia. Il Tribune riferiva che «in alcune capitali ha
preso piede l'idea che grossi paesi come Cina, Russia e India dovrebbero
collaborare più strettamente per controbilanciare l'influenza americana»,
così da raggiungere un mondo «multipolare». In questa lotta figurano il
Vietnam, Singapore e, in modo particolare, le Filippine.

Fin dal 1996 sono cominciate ad apparire notizie secondo cui il Vietnam
avrebbe invitato gli Usa a tornare nella base navale di Cam Ranh Bay,
costruita dagli Usa durante la guerra del Vietnam. Nel 2001 l'influente
think-tank nel campo della difesa, la Rand Corporation, ha pronosticato un
ritorno a Cam Ranh Bay se il Vietnam avesse percepito una minaccia da parte
della Cina tale da giustificarlo. La Cina e il Vietnam hanno combattuto due
battaglie navali limitate per le isole Spratly (1974 e 1988), in cui la
posta in gioco erano i diritti sul petrolio. E con la perdita della base
navale di Subic Bay nelle Filippine nel 1992, l'America è rimasta priva di
basi permanenti ad ampia scala in quella regione.

Attualmente le Filippine sono corteggiate dall'amministrazione Bush. Secondo
la Associated Press, a maggio il presidente delle Filippine ha ricevuto un
«Royal US Welcome». La Associated Press ha anche rilevato che durante la sua
presidenza Bush ha ospitato solo tre visite di stato. E l'anno scorso,
durante il periodo che andava fino alle elezioni nelle Filippine, le forze
armate filippine e statunitensi hanno condotto le loro prime esercitazioni
congiunte da molti anni a questa parte. Una esercitazione insolitamente
lunga è durata dal gennaio al luglio 2002.

Durante gli anni `80, successivamente al defenestramento del dittatore
Ferdinando Marcos, appoggiato dagli Usa, c'erano stati molti tentativi di
colpo di stato da parte di gruppi ribelli filippini. Nel 1989 l'America
inviò i propri caccia dalla sua base nelle Filippine alla base aerea Clark
per sostenere l'allora esistente governo filippino, creando quello che è
stato chiamato un «contraccolpo nazionalistico» che nel 1992 ha portato
all'uscita dell'America dalla sua ex colonia. Ma da allora, le Filippine
hanno avuto scontri armati con la Cina (ad esempio, nel 1999, la marina
filippina ha attaccato e affondato due pescherecci cinesi nelle Spratly in
due episodi distinti), e dagli anni `70 avevano cercato senza successo di
includere le Spratly nel territorio coperto da un trattato difensivo
Usa-Filippine. Uno scontro Filippine-Cina per le isole Spratly potrebbe
aprire la strada a un confronto diretto Usa-Cina.

Nel 2001 il Cato Institute, un noto think-tank americano, ha riferito di una
rinnovata cooperazione militare tra gli Usa e le Filippine, ma ha sostenuto
che le Filippine «sperano in molto di più; la cosa a cui tengono
maggiormente è il sostegno degli Usa al loro storico contenzioso
territoriale con la Cina sulle isole Spratly». A questo proposito, una
relazione del War College dell'esercito Usa è molto preoccupante.

In un articolo apparso nell'autunno 2001 sulla rivista del War College,
Parameters, intitolato «An Evitable War: Engaged Containment and the
US_China Balance», il tenente colonnello Roy C. Howle, Jr. afferma che «le
isole Spratly rappresentano la causa di frizione più pericolosa dell'Asia
orientale». Mentre percepisce che «gli obiettivi della Cina appaiono per la
maggior parte misurati e ragionevoli», Howle contemporaneamente prende di
mira direttamente quei fattori che limitano il militarismo Usa, criticando
il dibattito sulla guerra. Egli sostiene che «la debolezza dell'America
consiste non nelle sue capacità, ma nella sua volontà nazionale».

Howle auspica una collocazione provocatoriamente avanzata delle forze armate
Usa, di modo che queste possano «essere automaticamente attivate qualora la
Cina usi la forza», bypassando il processo democratico del dibattito sulla
guerra. E con osservazioni schiette quanto accurate, Howle sostiene che
«l'America deve prendere di petto la questione centrale: se essa cioè voglia
un mondo unipolare o multipolare», un Impero Americano o un globo
pluralistico.

Per quanto riguarda l'Impero americano, il Pnac si è dichiarato fedele alla
tesi secondo cui «la leadership americana è positiva sia per l'America che
per il resto del mondo».