MACCHINE MOLECOLARI



da boiler.it
giornale di scienza, innovazione e ambiente
                 28.06.2003

FOCUS.Innovazione
Attacco alle (nano)macchine

di NOAH SHACHTMAN

 PRIMA C'È STATA la paura del nucleare. Poi quella degli alimenti
geneticamente modificati. E ora gli ambientalisti europei e canadesi hanno
trovato un nuovo mostro di laboratorio da combattere: la nanotecnologia. Nei
giorni scorsi, infatti, Greenpeace, GeneWatch U.K., l'Etc Group e altri
movimenti ecologisti si sono riuniti a Bruxelles, presso la sede centrale
del Parlamento europeo, per parlare dei potenziali rischi derivanti dalla
manipolazione scientifica degli strati più profondi della materia, al
livello microscopico di miliardesimi di metro.

Le apparecchiature nanotecnologiche sono così piccole - ha spiegato Jim
Thomas, dirigente dell'Etc - che potrebbero riuscire a penetrare
nell'epidermide, infiltrarsi negli organi vitali e circolare nell'organismo
senza suscitare la minima reazione nel sistema immunitario. Senza contare
che le ultime ricerche - ha aggiunto - hanno ampiamente dimostrato come la
tossicità della materia, a prescindere dal materiale specifico di cui è
composta, aumenti in proporzione alla sua concentrazione. "Il nostro
obiettivo è quello di ottenere una sospensione dello sviluppo di tali
tecnologie", ha concluso, "almeno finché non si saranno stabilite delle
misure di sicurezza chiare e condivise e non si sarà arrivati a una piena
consapevolezza dell'impatto che le nanoparticelle possono avere sulla
società, sulla realtà politica, sulla cultura e sull'ambiente".

Chad Mirkin, presidente dell'Istituto di nanotecnologiadella Northwestern
University, si è detto sconcertato dell'atteggiamento degli ecologisti.
Troppe molecole possono essere studiate solo su nanoscala. Pensare di poter
fermare tutte le ricerche, secondo lui, è inconcepibile. "Respiriamo
nanoparticelle ogni giorno", ha commentato. "Le intenzioni di queste persone
sono buone, ma stanno parlando di un argomento del quale non hanno alcuna
competenza. La nanoscienza non è un settore scientifico a parte, distinto
dagli altri. È una nuova ottica, un nuovo approccio alle discipline
tradizionali. Gran parte di ciò che oggi chiamiamo "nanotecnologia", ieri
era semplicemente chimica, biologia o scienza dei materiali. "Voler mettere
al bando la nanotecnologia vuol dire voler mettere al bando qualsiasi
attività scientifica", ha concluso Mirkin.

Paure autorevoli...

 È dagli anni Ottanta, quando l'allora ricercatore del Mit Eric Drexler ha
introdotto nel lessico comune il termine "nanotecnologia", che l'uomo
combatte con gli incubi legati a questa innovazione. Le macchine molecolari
artificiali immaginate da Drexler sarebbero state capaci di svolgere
qualsiasi attività, nonché di produrre qualunque cosa, incluse altre
apparecchiature nanotech. Il pericolo era che poi però non si riuscisse più
a fermarle. Il mondo avrebbe rischiato di essere invaso da uno sciame di
minirobot, da un'orda di replicanti. Michael Crichton, l'autore di Jurassic
Park, e Bill Joy, il fondatore della Sun Microsystems, sono stati due dei
massimi interpreti di tale scetticismo. E a loro, recentemente, si è
aggiunto anche il principe Carlo d'Inghilterra che, a maggio di quest'anno,
si è detto seriamente disturbato della diffusione dei nanoautomi, al punto
che la Royal Academy of Engineering e la Royal Society, la più autorevole
accademia scientifica inglese, hanno intrapreso un'indagine sui possibili
pericoli connessi all'utilizzo delle nanotecnologie.

Secondo le agenzie di stampa inglesi, a suscitare l'interesse di Carlo
sarebbe stata proprio una relazione dell'Etc Group, The Big Down ("La grande
calata"), sull'argomento. Ma il direttore esecutivo dell'Etc, Pat Mooney, ha
replicato che i nanorobot non sono l'aspetto della questione che più lo
preoccupa. Dopo tutto, la maggior parte degli scienziati ritiene ancora
molto lontana l'effettiva realizzazione di replicanti del genere. Il vero
problema - ribadisce Mooney - è quello ambientale, legato alla creazione, su
base biologica, di macchine a immagine e somiglianza d'uomo.
Paradossalmente, questi robot "organici" erano proprio l'idea di partenza di
Drexler, il padre della nanotecnologia. Il suo Foresight Institute ha
elaborato, a tale proposito, alcune linee guida di limitazione dei rischi.
Una per tutte: alle macchine autoreplicanti non dovrebbe essere consentito
di riprodursi spontaneamente al di fuori del controllo umano.

Un futuro da regolamentare

A prescindere dai punti di vista, però, la nanotecnologia è il nostro
futuro. Miliardi di dollari ogni anno vengono investiti in questo settore,
anche se gli ambientalisti continuano a sostenere la pericolosità di
progetti del genere. E non hanno tutti i torti. Le proprietà di un materiale
cambiano radicalmente quando esso viene concentrato e ridotto a una scala
microscopica. E non sarebbe male - ammette Kevin Ausman, direttore esecutivo
del Center for Biological and Environmental Nanotechnology della Rice
University - finanziare degli studi relativi all'impatto delle
nanoparticelle sulla salute e sull'ambiente. Il problema è che le varietà di
nanoparticelle sono troppo numerose per studiarle tutte. Secondo Ausman,
converrebbe analizzare quelle più rilevanti dal punto di vista scientifico e
commerciale.

Secondo l'Etc Group, però, iniziative simili non sono sufficienti. Piuttosto
ci dovrebbe essere, quantomeno, un insieme di regole di sicurezza condivise
da tutti. Alcuni ricercatori maneggiano questi materiali tenendo conto della
loro potenziale tossicità, e indossano dei camici di protezione. Ma altri
non usano memmeno i guanti. "È un'idiozia non cercare una linea d'azione
comune che stabilisca le pratiche migliori da adottare in laboratorio",
commenta Mooney. E se l'Etc si è mobilitata, è probabile che la protesta
otterrà dei risultati. Non sarebbe la prima volta. Negli anni Novanta,
l'organizzazione - che allora si chiamava Rural Advancement Foundation
International - citò in tribunale la Monsanto e altre aziende chimiche
perché bloccassero le sperimentazioni sulle piante geneticamente modificate
che producevano semi sterili. E dopo una lunga battaglia legale, la Monsanto
fu effettivamente costretta a fermare le ricerche.



Robot molecolari, è davvero possibile?

di NOAH SHACHTMAN

 PER ERIC DREXLER questo dovrebbe essere un momento di gloria. I suoi
colleghi, invece, lo trattano come se fosse un vecchio svitato. La
nanotecnologia, il settore scientifico da lui avviato, è diventata una
disciplina di rilievo, un business ultramiliardario, con riflessi innovativi
in ambito medico, commerciale e accademico. Ma secondo la maggior parte
degli specialisti attuali, il sogno portato avanti dal padre del nanotech, l
'utopia dei robot molecolari, è solo fantascienza. E per altri, se la sua
visione dovesse mai avverarsi sarebbe una tragedia per l'umanità. In ballo c
'è molto più che un pugno di scienziati in cerca di gloria. Aziende, governi
e università hanno investito enormi quantità di denaro in ricerche e
progetti. Ma nessuno ha avuto il coraggio di scommettere sui nanorobot di
Drexler.

«Non me la sento di escludere nessuna possibilità per il Ventiduesimo e
Ventitreesimo secolo», commenta Kevin Ausman, direttore esecutivo del Center
for Biological and Environmental Nanotechnology della Rice University. Ma la
microrobotica di Drexler «è un'ipotesi a cui nessuno sta ancora lavorando
concretamente, e alla quale mancano degli obiettivi coerenti». Al contrario,
i ricercatori stanno sfruttando le proprietà delle particelle nanometriche
(nell'ordine di miliardesimi di metro) nella sperimentazione di nuove
terapie contro il cancro e il morbo di Alzheimer, nella progettazione di
materiali da costruzione più resistenti, di vestiti idrorepellenti e
antimacchia, di display flessibili per computer. Secondo Drexler,
attualmente presidente del Foresight Institute, una think tank
nanotecnologica, questi sono tutti progetti interessanti, ma che hanno molto
poco a che fare con l'incubo dei nano-automi che da circa vent'anni
terrorizza l'opinione pubblica. E si lamenta del fatto che «le sole ricerche
sulle macchine molecolari siano in realtà esperimenti da cantina, di basso
livello, tentati da non addetti ai lavori nel tempo libero».

L'uomo come Madre Natura?

 L'idea di costruire una macchina molecola per molecola, atomo per atomo,
esisteva già nel 1959, quando il Nobel per la chimica Richard Feynman
pronunciò il suo famoso discorso There's Plenty of Room at the Bottom. Ma il
concetto prese davvero corpo solo negli anni Ottanta, quando Drexler, allora
ricercatore del Mit, coniò una definizione per le nozioni individuate da
Feynman: nanotecnologia. Dall'osservazione delle proteine e degli enzimi che
agiscono all'interno del corpo umano, gli era venuta l'idea di minuscole
apparecchiature biologiche in grado di attivare e disattivare i geni, di
costruire fibre muscolari e di riprodursi autonomamente. Nel suo primo
libro, Engines of Creation, si chiedeva: perché l'uomo non potrebbe fare ciò
che la natura fa da un'eternità?

La sua previsione era che, un giorno, ci sarebbero state delle macchine
microscopiche e autoreplicanti, in grado di riparare le cellule del nostro
organismo e di allungarci la vita, di rendere più leggere ed economiche le
astronavi, di produrre intelligenze artificiali. Questi nanorobot ebbero una
presa immediata sull'immaginazione popolare. Esplosero le ricerche sull'
infinitamente piccolo. Nel 2000, il presidente Clinton ha approvato la
National Nanotechnology Initiative, un sistema di finanziamenti per questo
settore pari a circa cinquecento milioni di dollari l'anno. Prima o poi,
secondo Clinton, la nanotecnologia «avrebbe portato al cento per cento dei
successi nella lotta contro ogni tipo di cancro». Ma proprio all'apice del
dibattito, gli ideali di Drexler hanno ricevuto un brutto colpo dal
fondatore della Sun Microsystems, Bill Joy, che in un articolo pubblicato da
Wired, Why the Future Doesn't Need Us ("Perché il futuro non ha bisogno di
noi"), ha scritto: «La conseguenza più immediata di questo sogno faustiano
sarà semplicemente quella di farci correre un gravissimo rischio: quello di
distruggere la biosfera da cui dipende la nostra esistenza». In assenza di
ogni controllo, le macchine molecolari potrebbero riprodursi all'infinito,
finendo con l'invadere il pianeta.

Botta e risposta

Tutto questo succederebbe se mai un un giorno i minirobot venissero
effettivamente costruiti. Ma molti scienziati non ne sono così sicuri. «La
nanorobotica non è una valida ipotesi scientifica. È pura fantascienza»,
commenta Stephen Quake, fisico del California Institute of Technology.
Secondo lui, il movimento costante degli atomi e delle molecole rende
impossibile la costruzione di apparecchiature del genere. Il principio di
indeterminatezza di Heisenberg - secondo il quale più si conosce la
posizione di una particella subatomica, meno se ne conosce il momento
angolare, e viceversa - sarebbe poi un altro elemento a sfavore del sogno di
Drexler. Com'è possibile manipolare gli atomi se è così difficile
identificarne le componenti?

Ma l'attacco più forte alla nanorobotica è stato quello di Richard Smalley,
Nobel per la chimica della Rice University. Nel 1999, Smalley tesseva le
lodi di un mondo in cui «abbiamo imparato a controllare la nostra attività
creative fino al livello più profondo, atomo per atomo». Ma nel 2001 si era
già convinto che il trionfo totale di questo sogno non sarebbe stato
assolutamente possibile. Le "dita" con cui maneggiamo questa delicata
materia sono troppo grandi e rudi, sosteneva in un articolo sullo Scientific
American. In conseguenza di tali critiche, e per di più in un periodo di
difficoltà personali in seguito a un divorzio, Drexler finì per ritirarsi
per parecchi anni dalla scena pubblica, dedicandosi all'informatica e alla
matematica pura.

Ma ora ha rotto il suo silenzio, e ha deciso di rispondere pubblicamente ai
suoi avversari. Alla fine di aprile, ha inviato una lettera aperta a
Smalley, accusandolo di falsare il suo lavoro con «argomentazioni
tendenziose». Gli enzimi, equivalenti naturali delle macchine molecolari da
lui immaginate, non hanno bisogno di "dita" per essere creati. E non ne
avrebbero bisogno neanche i suoi minirobot. «La convinzione che ci siano
delle prove concrete dell'irrealizzabilità della mia idea è una leggenda
metropolitana. Tutte chiacchiere. Non esiste nessun saggio, nessun
esperimento in proposito», aggiunge. «È tutto una gran confusione tra quello
che si sta effettivamente facendo e quello che un giorno potrà essere
fatto».