inflazione e riforma degli indicatori



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ALDO CARRA*

INFLAZIONE: DOPO TANTE POLEMICHE SI IMPONE

UNA RIORGANIZZAZIONE DEGLI INDICATORI DI

IMPATTO DELL'INFLAZIONE

Premessa

Le azioni di policy, in una fase di scarsa crescita dei redditi soprattutto da

lavoro e da pensione, non possono non tener conto degli effetti

dell'inflazione sulla disponibilità delle famiglie. L'esigenza di conoscere questi

effetti si è fatta, nell'ultimo anno, più forte che nel passato perché i

consumatori hanno percepito un’inflazione molto più elevata di quella

registrata dall'ISTAT e questa percezione ha influito su quantità e struttura

dei consumi. Perché questo scarto?

E' vero che la percezione è sicuramente influenzata da fattori soggettivi che

la amplificano, ma è anche vero che l'inflazione rilevata ha alcune distorsioni

e si è dimostrato che esse producono effetti in un’unica direzione:

sottostimarne la dinamica mensile, soprattutto nei periodi di accelerazione.

Quindi, se l'inflazione percepita è più elevata di quella reale, quella rilevata è

quasi certamente più bassa.

Ma, soprattutto, è ancora sufficiente misurare l'inflazione come si fa

attualmente? In una recente ricerca sulla rilevazione dei prezzi, condotta

con IRES-CGIL ed ICU, sono emerse diverse criticità dalle quali sono

scaturite precise proposte. Occorre misurare l'impatto dell'inflazione sulle

famiglie, tenendo conto delle diverse tipologie di reddito e della condizione

socio familiare. Ciò è indispensabile sia per costruire interventi di policy in

grado di tutelare le fasce di reddito più deboli, sia per intervenire sui

meccanismi di formazione dei prezzi.

* Ricercatore IRES

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1. L'euroinflazione

L'inizio del 2000 è stato caratterizzato da una accelerazione dell'inflazione,

dopo il rallentamento del 2001 ed in coincidenza con l'entrata in vigore

dell'euro.

L'Eurostat ha calcolato che, nei primi sei mesi del 2002, l'effetto changeover

ha influito per uno 0,2 in Europa e recentemente, per l'Italia, il governatore

Fazio ha parlato di un effetto pari allo 0,5%. Ma, la percezione dei

consumatori è andata ben oltre. La stessa Banca Centrale Europea ha

denunciato l'esistenza, in tutti i paesi dell'area euro, di un ampio divario tra

inflazione percepita ed inflazione rilevata e questa tesi è stata condivisa da

tanti studiosi che ritengono che i dati ufficiali sottostimano sistematicamente

il tasso di inflazione.

In realtà, non sono state fatte indagini rigorose per misurare l'inflazione

percepita. Resta però il fatto che tutte le valutazioni concordano nell'indicare

un’inflazione percepita pressoché doppia di quella rilevata e che mai in

passato si era registrato uno scarto così rilevante.

Una prima spiegazione della dimensione così clamorosa è data dal fatto che

i consumatori hanno avvertito, nel momento del passaggio all'euro,

consistenti incrementi e che, al contrario, lo scalino avvertito non ha trovato

sufficiente riscontro nei dati delle rilevazioni che man mano venivano resi

noti. In Italia, addirittura, a Gennaio, l'inflazione è cresciuta meno rispetto

alla media europea.

Il grafico che segue mostra come l'inflazione italiana sia costantemente

superiore a quella media europea. Ma, quando quest'ultima raggiunge le

Variaz. Perc.

dic 01

su

nov 01

gen 02

su

dic 01

feb 02

su

gen 01

mar 02

su

feb 01

mar 02

su

nov 01

Italia 0,1% 0,4% 0,3% 0,3% 1,1%

Francia 0,1% 0,5% 0,1% 0,5% 1,1%

Germania 0,1% 0,9% 0,3% 0,2% 1,5%

PREZZI AL CONSUMO (DATI ARMONIZZATI)

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punte massime, l'inflazione italiana sembra appiattirsi come se ci fosse un

effetto frenante, di perequazione, quando ci sono impennate. Questo

fenomeno collima con i risultati della ricerca: ci sono nella rilevazione ISTAT

criticità strutturali che ne rallentano la dinamica proprio nelle fasi di

maggiore accelerazione.

2. L'inflazione percepita

L'inflazione percepita dalle persone, proprio per la componente implicita di

"soggettività" e di "sensazione", incorpora alcune distorsioni.

Una prima riguarda l'orizzonte temporale. L’inflazione rilevata mostra

l'aumento intervenuto rispetto a 12 mesi prima, cioè l'aumento tendenziale;

il vissuto dei consumatori ha una memoria storica temporalmente più

limitata (tre o quattro mesi) ed è fortemente influenzato dalla "velocità di

corsa", cioè dall'intensità dell'accelerazione del fenomeno inflattivo.

1,5

1,7

1,9

2,1

2,3

2,5

2,7

2,9

3,1

3,3

3,5

Italia

Area euro

gen 2002

gen 2001

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Una seconda distorsione è connessa alla "linearità" della crescita. Un

aumento dei prezzi lineare, lento e progressivo, che dopo dodici mesi si

traduca in prezzi più elevati del 3% rispetto allo stesso mese dell’anno

precedente, quasi non viene percepito. Un aumento improvviso del 3%,

seguito da una stabilizzazione, anche se in un anno produce lo stesso

effetto, viene immediatamente percepito e nel vissuto soggettivo si

amplifica, anche a causa della preoccupazione che l’impennata possa

ripetersi. Lo "scalino" dell’euro ha certamente prodotto questo effetto.

Una terza distorsione nella percezione è data dalla frequenza d’acquisto

dei prodotti, quasi a prescindere dal loro valore. Se il prezzo dei beni di uso

quotidiano, spesso di scarso valore, non aumenta e cresce, invece, quello dei

beni di uso meno frequente (auto, mobili, alberghi..), la percezione

dell’inflazione è "debole". Se, invece, avviene il contrario la percezione è

"forte". Ad inizio 2002 sono aumentati i prezzi di frutta, ortaggi, caffè,

giornali ed il consumatore è stato ed è ancora sottoposto ad una dose

quotidiana di aumenti ed alla giornaliera constatazione che i beni che

compra abitualmente costano di più rispetto all’ultima volta che lo ha fatto.

Questo "stress da inflazione" si è intrecciato con lo "stress da euro", facendo

diventare azioni quotidiane, piacevoli e rilassanti come prendere un caffè ed

un giornale, "stressanti". Questi prodotti a basso valore unitario ma ad

acquisto ricorrente, hanno subito forti aumenti Poiché si tratta di prodotti di

uso quotidiano è chiaro che questi aumenti hanno una forte valenza

psicologica e tendono ad amplificare la sensazione di aumenti generalizzati

nei prezzi.

Per questi motivi, è chiaro che l'inflazione percepita non può essere

assunta a riferimento rigoroso per decidere se l'inflazione rilevata è errata o

fortemente sottovalutata. Ma questo non ci esime dal cogliere il messaggio

che ne scaturisce: è evidente, infatti, che le informazioni che vengono fornite

non rispondono all'esigenza dei consumatori di trovare nei dati ufficiali il

riscontro di quanto percepito e vissuto.

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3. L’inflazione rilevata

I consumatori - cittadini, come è noto, si trovano di fronte informazioni

diverse sullo stesso fenomeno: da un lato perché, oltre all'indice generale

dei prezzi al consumo, ci sono altri due indicatori ufficiali come l'indice dei

prezzi delle famiglie di impiegati ed operai (sempre fornito dall'ISTAT) e

l'indice armonizzato con i prezzi europei, elaborato dall'Unione Europea con

gli stessi dati elementari rilevati dall'ISTAT; dall'altro lato, perché, a fine

anno, quando vengono completati i conti economici, viene fornito un altro

indice che è quello dei prezzi impliciti nei consumi nazionali. Quest'ultimo

indice, come si vede nella tavola seguente, è sempre anche di poco

superiore agli altri tre. Rispecchiando i consumi effettivi delle persone e

tenendo conto dei cambiamenti dei prodotti sul mercato, anche questo

scarto è fonte di convinzione che l'inflazione rilevata sia più bassa di quella

reale.

I diversi indicatori dell'inflazione

Il 2002 non è stato inserito perché non si conoscono ancora i dati del

deflatore dei consumi

L'esistenza di ben quattro indicatori per uno stesso fenomeno dimostra, già

di per sé come, nel caso della misurazione dell'inflazione, siamo di fronte ad

un indicatore complesso che può essere costruito con criteri e metodologie

1996 1997 1998 1999 2000 2001

INDICE PREZZI AL CONSUMO 4,0 2,0 2,0 1,7 2,5 2,7

INDICE FAMIFLIE IMPIEGATI ED OPERAI 3,9 1,7 1,8 1,6 2,6 2,7

INDICE ARMONIZZATO EURO 4,0 1,9 2,0 1,7 2,6 2,7

DEFLATORE CONSUMI FAMIGLIE 4,4 2,2 2,1 2,1 2,8 2,9

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diverse secondo l'obiettivo che si vuole raggiungere ed il punto di vista che

si vuole rappresentare.

Ma, paradossalmente, questa grande varietà da un lato sembra eccessiva e

può generare solo confusione o strumentalizzazione. Basti pensare in quanti

casi in questi mesi la maggior crescita dell'indice armonizzato è stata usata

per dire che quello dell'ISTAT era sottostimato, mentre, in realtà, i due indici

sono calcolati con gli stessi dati di base rilevati dall'ISTAT, ma sono solo

aggregati diversamente.

Dall'altro lato, colmo del paradosso, questa molteplicità non soddisfa tutti

perché non riesce a rappresentare la ricca articolazione delle situazioni reali

che producono la percezione, o meglio le diverse percezioni.

Questa constatazione induce a pensare a due tipi di intervento.

a) uno interno alla attuale struttura di indicatori e volto a migliorarne la

qualità e sintetizzato nella parte finale di questo paper con 8 precise

proposte.

b) un altro, più radicale, mirato ad una vera e propria riscrittura degli

indicatori dell' inflazione. E' quello che proverò a mettere al centro di questo

paper.

Penso, infatti che proprio l'ampiezza ed anche l'asprezza del dibattito che si

è dispiegato sull'inflazione in questi mesi, impongono un qualcosa di più dei

semplici aggiustamenti, forse, una riorganizzazione strutturale e più

profonda degli strumenti statistici che misurano l'inflazione, per fornire

indicazioni utili alla politica economica e sociale e per rispondere alle

variegate esigenze dei consumatori.

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4. Una nuova struttura di indicatori

Per riconfigurare un nuovo set di indicatori capace di rispondere a questo

insieme variegato di esigenze è necessario definire quali sono gli obiettivi,

per perseguire i quali, la statistica deve fornire gli strumenti conoscitivi

adeguati.

Una prima schematizzazione può essere la seguente:

1. poter prendere misure di politica economica per intervenire sia sui

prezzi che sulla produzione (monitoraggi, misure per calmierare…)

2. disporre di un indicatore da utilizzare come dato ufficiale - con valore

legale per operazioni quali adeguamento automatico degli affitti,

rivalutazioni legali.

3. poter prendere misure di carattere sociale a sostegno di fasce di

reddito deboli e particolarmente colpite dagli aumenti dei prezzi .

Per rispondere al 1° ed al 2° obiettivo sono sufficienti due indicatori: quello

armonizzato mensile e quello implicito annuale;

Per rispondere al 3° non sono sufficienti, né l'attuale indice dei prezzi al

consumo, né quello per famiglie di operai ed impiegati.

Ci si potrebbe, quindi, orientare per consolidare sia l'indice armonizzato

europeo - assumendolo anche per la rivalutazione monetaria e gli affitti e,

per tutto quanto richieda un indice "ufficiale con valore legale"-, sia quello

implicito nei consumi - che riflette il vero incremento dei prezzi incorporato e

prodotto dall'effetto congiunto delle variazioni quantitative e di quelle di

qualità dei prodotti consumati. Essi rispondono bene rispettivamente al 1°

ed al 2° obiettivo.

Per il 3° obiettivo, invece, bisogna pensare a costruire nuovi indicatori anche

come strumento di supporto per più efficaci misure di politica economica .

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Si potrebbe, qui, pensare ad un set articolato che incorpori più pienamente

le tante informazioni implicite nella rilevazione dei consumi delle famiglie.

Il primo problema che si pone è, quindi, sempre dando per acquisiti i due

indici - armonizzato ed implicito - che hanno valore generale, di discutere

dell'opportunità che, in questo set di indicatori specifici di impatto. si

applichi un concetto di consumi più vicino alla percezione delle persone e più

in grado di spiegare i comportamenti dei consumatori.

L'inclusione, oggi, nell'indice dei consumi di beni come auto ed

elettrodomestici che gran parte delle persone acquista ogni cinque-dieci

anni, o di mobili che molti acquistano una o due volte nella vita, risponde sì

al concetto di consumo da un punto di vista macro-economico (quadratura

del conto economico tra produzione-consumi-investimenti), ma non al

concetto di consumo delle famiglie.

Per esse, infatti, l'acquisto dell'auto o di mobili od elettrodomestici, è

acquisto di un bene durevole, pluriennale, vissuto più come un investimento

che come un consumo.

Non solo, ma nel vissuto quotidiano, il fatto che il prezzo di quei beni in un

dato periodo aumenti o diminuisca, è percepito solo da chi, in quello stesso

periodo, acquista quei beni.

In sostanza, ci sono spese consistenti (casa, trasporti con auto ed

assicurazione) che fanno differenza secondo se la famiglia le sostiene; ci

sono, poi, spese pluriennali, di investimento, che poco hanno a che fare con

la percezione dell'inflazione e col concetto di consumo dal punto di vista del

consumatore.

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Pertanto, occorrerebbe costruire indicatori di impatto dell'inflazione che

distinguano le spese quotidiane, le spese per l'affitto, quelle per mettere su

casa, quelle per comprare un'auto ed usarla.

E' su questa idea che, penso, sarebbe utile nel sito della Fondazione avere

un confronto dal quale possa scaturire una proposta di riordino da sottoporre

al vaglio di esperti, economisti, politici.

5. Sintesi della ricerca

L'analisi dettagliata della attuale rilevazione ha mostrato diverse criticità.

Esse sono raggruppabili in due aree:

1. Qualità della rilevazione comunale

2. Scelte di rilevazione e metodologiche compiute dall'ISTAT

1. Qualità della rilevazione comunale

1.1) Mancata rilevazione strutturale.

La rilevazione dovrebbe riguardare tutti i capoluoghi di provincia, ma, in

realtà un numero significativo di comuni non effettua per niente la

rilevazione.

Si tratta di 30 comuni capoluogo nelle cui province risiedono quasi 11 milioni

di abitanti.

L’influenza di questa grave carenza sull’andamento dell’inflazione non può

essere stimata a-priori.

Rappresentando, l’indice dell’inflazione, un andamento nel tempo è chiaro

che l’assenza di una parte di comuni di per sé non significa che la

misurazione è sistematicamente falsata in una unica direzione. Se, infatti,

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l’andamento reale dell’inflazione nei comuni mancanti fosse identico a quello

dei comuni rispondenti, il risultato complessivo non cambierebbe. Ma è

anche vero che, non essendo questa rilevazione di carattere campionario,

l’assenza di un numero così significativo di comuni certamente influisce sulla

rappresentatività e sulla rispondenza dei risultati alla realtà nel suo

complesso soprattutto perchè quasi tutti i comuni mancanti sono collocati nel

Sud e la popolazione non rappresentata raggiunge il 33% della popolazione

meridionale.

Recentemente l'ISTAT ha annunciato che altri quattro comuni faranno la

rilevazione a partire dal 2003, ma nessuno di essi è collocato al sud.

Una mancata rilevazione, così consistente e così concentrata, pone, quindi,

un serio problema rispetto all’organizzazione di questa importante

rilevazione.

Tanto più che, come si vedrà di seguito, nel Sud, non solo è tanto

consistente il numero dei capoluoghi che non effettuano per niente la

rilevazione, ma è anche più diffuso il sospetto che nei comuni in cui

l'indagine viene svolta, sono rilevanti i casi di dati ripetuti e, quindi, il

sospetto che alcuni rilevatori non la effettuano periodicamente.

Una rivisitazione del meccanismo,perciò, si impone: o si trova un modo per

convincere/incentivare tutti i capoluoghi a farla o l'ISTAT si impegna

direttamente con propri rilevatori, oppure si riducono, con criteri

metodologici adeguati, i comuni su cui si basa la rilevazione.

1.2) Mancata rilevazione periodica.

Tra i comuni che non effettuano per niente la rilevazione, ed alcune

situazioni di eccellenza, costituite da comuni, come ad esempio Milano, che

rendono disponibili sul sito Internet addirittura le singole quotazioni mensili

dei singoli prodotti rilevati, si colloca una fascia di comuni sulla quale è lecito

nutrire dubbi sul fatto che le rilevazioni siano fatte con la dovuta

accuratezza.

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Si tratta di alcuni comuni nei quali è evidente che molti prezzi vengano

ripetuti per più mesi, alimentando il sospetto che la rilevazione non sia

compiuta diligentemente tutti i mesi.

Con ciò non si vuol dire che in tutti i casi di prezzi che si ripetono, la

rilevazione non viene fatta, ma, se ordinando i comuni per numero di

ripetizioni, si scopre che ci sono comuni nei quali i dati ripetuti sono

sistematicamente di tre-quattro volte superiori a quelli dei comuni con

minori ripetizioni, il sospetto non appare infondato.

L’importanza di questo fenomeno è indiscutibile. Ripetere per due, tre,

quattro mesi il prezzo di un prodotto che , invece, ha subìto aumenti,

significa produrre una sottostima della crescita dell’inflazione. E' vero, infatti,

che un prezzo non rilevato per alcuni mesi, quando poi viene rilevato riporta

il livello dell’indice all’altezza giusta, ma è anche vero che:

1) per i mesi ripetuti l’inflazione misurata è stata inferiore a quella reale e

questo incide, a fine anno, sul tasso medio di inflazione dell’anno;

2) se si alternano nei diversi mesi i casi di ripetizione dei prezzi, l’indice

risulta permanentemente sottovalutato.

E’ poi vero che se l’indice è costantemente sottovalutato la dinamica tra un

anno ed il successivo non risulta falsata, ma è anche vero che risulta

rallentata la dinamica complessiva e si altera il profilo mensile dell'indice.

Il fenomeno, perciò, richiede un attento monitoraggio e, se necessario,

l'esclusione dei dati che si sospetta siano trascinati dal mese precedente a

quello successivo.

1.3) Sistema di selezione dei rilevatori

Il fenomeno prima rilevato deriva dal fatto che pochi comuni dispongono

della qualità e delle risorse necessarie per realizzare una rilevazione così

complessa e che spesso essi vivono la rilevazione come un incombenza

burocratica. E' necessario, perciò, che si crei una rete di rilevatori ISTAT,

cosa già sperimentata per altre rilevazioni, sia per effettuare, dove

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necessario, la rilevazione, sia per coordinare e controllare le rilevazioni dei

comuni.

2. Metodologie adottate

2.1) Rilevazioni trimestrali

Molti prodotti (il 22% del paniere) vengono rilevati trimestralmente. L'effetto

di questa scelta può soltanto produrre l' effetto di attenuare il tasso di

inflazione calcolato rispetto a quello reale, perché produce l'effetto scalino

(due mesi uguale il terzo salita) invece dell'effetto salita lineare e continua.

E’ vero che essa non influenza il tasso tendenziale perché quando al terzo

mese si fa l'aggiornamento l'indice si ricolloca al livello giusto, ma,, nei mesi

di mancato aggiornamento, si ha una sottovalutazione del livello dell'indice.

2.2) Stagionalità.

Quello della stagionalità è uno degli aspetti critici più rilevanti dell'indice dei

prezzi: si tratta del fenomeno della mancata stagionalità nel senso che il

sistema di ponderazione, che pure in Italia viene rivisitato ogni anno, è un

sistema annuale, cioè attribuisce ai prodotti lo stesso peso in tutti i mesi

dell'anno.

Si tratta come è evidente di un limite e di una causa non irrilevante dello

scarto tra inflazione percepita e rilevata.

Estremizzando il concetto si può ipotizzare che ad inizio anno aumentino

molto i prodotti invernali e rimangano stazionari (anche perché non rilevati) i

prodotti estivi.

Poiché i prodotti invernali pesano ad inizio anno meno del reale (perché il

loro peso è spalmato nell'anno) ed i prodotti estivi pesano più del reale (per

lo stesso motivo) ne risulterà che l'indice generale sarà sottovalutato

rispetto a quello reale e percepito. Lo stesso fenomeno si ripeterà in estate.

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L'introduzione di un sistema di ponderazione differenziato per mese o per

trimestre, pertanto, si impone. Essa richiede elementi di conoscenza dei

consumi mensili o trimestrali delle famiglie che l'Istat non dovrebbe avere

difficoltà a costruire utilizzando l'apposita indagine.

Anche in questo caso viene avanzata l'obiezione che poiché la stagionalità

c'è sempre, ciò non incide sul tasso tendenziale; ma anche in questo caso si

può replicare, osservando che, intanto, viene alterato il profilo dell'indice, in

secondo luogo quando il tasso di inflazione è crescente, la mancata

stagionalizzazione produce attenuazione.

2.3) Ripetizione dati precedenti.

Il fenomeno della ripetizione dei dati precedenti prima esaminato come

effetto di scarsa diligenza di comuni e rilevatori ha una dimensione più

ampia. E' l'Istat stesso a dichiarare che tra le metodologie di elaborazione

dei dati adottate rientra quella di provvedere, nei casi di assenza di dati per

mancata comunicazione-rilevazione da parte del comune, imputando i dati

registrati nel mese precedente. Anche in questo caso va sottolineato che le

scelte operate producono un effetto distorcente in una unica direzione:

attenuare la dinamica dell'inflazione. Sarebbe opportuno, perciò, introdurre

algoritmi che scelgano, quantomeno, i tassi medi di crescita di prodotti

analoghi o di province vicine, o escludere temporaneamente dall'indice il

prezzo ed il peso dei prodotti mancanti.

2.4) Scelte relative al peso dei prodotti ed al paniere

Il modo in cui sono calcolati i pesi ed i prezzi di alcuni prodotti e la

definizione di un unico indice nel quale nessuno riesce a riconoscersi sono la

causa principale delle critiche che piovono sull'ISTAT.

Basti ricordare alcuni esempi: l' assicurazione auto è calcolata al netto dei

rimborsi e pesa così per lo 0,4% mentre nei bilanci di famiglia pesa per

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2,5%; l'affitto ha un peso ridotto del 3% per tener conto dei tanti che hanno

casa di proprietà e ciò rende l'indice poco significativo sia per chi ha casa che

per chi non ce l'ha; le medicine sono calcolate a prezzo pieno invece che al

prezzo effettivamente pagato come si fa per l'indice armonizzato.

L'importanza del problema pesi è aumentata per due motivi:

- perché, nel 2002, si sono registrate variazioni nei prezzi fortemente

differenziate che vanno dal +14% dei giornali e dal +13% di ortaggi e

legumi freschi al -10,7% dei materiali per il trattamento delle informazioni;

- perché, in alcuni casi, si è verificato un intreccio perverso di effetto peso ed

effetto prezzo: così è stato per i medicinali per i quali i prezzi risultano

diminuiti del -2,2%, cioè meno del prezzo reale a carico dei malati, ma che

pesano più del reale (2,8% il doppio di quanto dicono i bilanci di famiglia) e

per le assicurazioni auto che sono aumentate del 9,4%, ma che pesano

molto meno del reale.

E ' chiaro che, in presenza di fenomeni così clamorosi, si possono avere

variazioni profondamente diverse secondo il modello di consumi che

caratterizza una famiglia. Una semplice simulazione effettuata operando sui

dati ISTAT, aumentando o diminuendo il peso di alcuni prodotti per adattarli

ad alcune tipologie di famiglie, mostra come l'inflazione possa variare da un

+2% per una famiglia con reddito più elevato e consumi più sofisticati ad

oltre il 4% per una famiglia con reddito basso.Ciò significa che questa

inflazione ha prodotto una forte redistribuzione del reddito a danno delle

fasce medio basse e questo è un dato che è obbligatorio conoscere, bene e

periodicamente, anche per attivare le necessarie misure sociali. Questa

situazione rende improcrastinabile l'esigenza di costruire indicatori

differenziati per tipologie di famiglie da aggiungere-affiancare all'indice

generale incrociando fasce di reddito e tipologie di famiglie con differenti

strutture dei consumi.

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2.5) Criteri di aggregazione e presentazione dei dati

L’ISTAT presenta i dati con diversi livelli di aggregazione, associando i singoli

prodotti a gruppi di voci di spesa (alimentari, abbigliamento..). Come si è

detto, nella percezione delle persone, non conta tanto se crescono gli

alimentari o le spese ricreative, ma se crescono o no le spese quotidiane

(frutta e verdura, pane e pasta, caffè e giornali..) o quelle stagionali ( libri

scolastici, vacanze..) o quelle straordinarie pluriennali ( auto, mobili..). E

nella percezione, al di là dei valori di spesa, le prime influiscono più delle

seconde, e le seconde più delle terze.

Sarebbe, perciò, il caso di elaborare indicatori che rispecchino queste

tipologie di spesa.

Se, ad esempio, si dicesse che le spese quotidiane sono aumentate del 4,7%

(cosa che si ottiene aggregando voci di capitoli diversi come ortaggi, frutta,

caffè, giornali, cinema..),mentre le spese a frequenza settimanale sono

aumentate del 3,1% e quelle a più lunga frequenza del 2,3% la distanza tra

inflazione percepita ed inflazione registrata si accorcerebbe ed i consumatori

sentirebbero una maggiore sintonia tra la loro percezione e la misurazione

statistica.

La proposta che si avanza, quindi, è di aggiungere alla tradizionale

classificazione dei prodotti nuove aggregazione delle voci di spesa che

meglio corrispondano alla percezione delle persone. Aggregare le voci

relative alle spese quotidiane e ricorrenti, alle spese stagionali invernali ed

estive, a quelle straordinarie pluriennali sarebbe certamente un primo utile

passo nella direzione di rendere i dati rilevati più leggibili e più vicini al modo

in cui i consumatori li percepiscono.