quale mercato?



da fondazionedivittorio.it

6 maggio 2003

MARIO AMENDOLA*

QUALE MERCATO

1. La convinzione che il mercato rappresenti la via maestra alla crescita e

al benessere ha raggiunto in questi ultimi anni un tale grado di accettazione da

apparire oggi quasi come una verità incontrovertibile. Il supporto ad una simile

convinzione e’ offerto non solo dalla considerazione del progresso spettacolare

realizzato nel secolo passato - pur se in modo più o meno pronunciato - dalle

economie capitaliste più avanzate, ma anche da un apparato analitico che,

partendo dal modello di equilibrio economico generale, e’ andato eliminando in

modo inesorabile ogni visione alternativa a quella di un mercato inteso come

concorrenza nella sua forma estrema. Così l’idea che alla fortissima crescita, al

suo diffondersi ed agli eccezionali miglioramenti nella qualità della vita

realizzati dal mondo occidentale possano aver concorso quel complesso di

istituzioni e di politiche pubbliche che hanno operato in prevalenza in tale

mondo, sbiadisce del tutto a fronte della rivendicazione delle virtù della

concorrenza nella sua forma ritenuta più pura. Quasi che quelle istituzioni e

quelle politiche, pur se impiantate solidamente in un’economia di mercato,

invece che fattore positivo siano state in realtà ostacolo ad un ben più

formidabile sviluppo.

Questa visione ormai imperante, con il messaggio semplificato che da

essa viene fatto discendere e le forti implicazioni di politica economica

connesse, richiede un’adesione senza tentennamenti. Richiede in particolare

che teorie e politiche elaborate nel tempo e fino ad ieri ritenute importanti

passi avanti della conoscenza economica siano invece da cancellare come

motivi di confusione e quindi ingombranti ostacoli al dispiegarsi delle virtù

dell’unico e vero modello conoscitivo. I dettami fatti scaturire da tale modello,

d’altro canto, sembrano ormai vivere una vita propria, distaccati dal corpo

teorico e dal contesto analitico dal quale sono stati partoriti.

* Università di Roma "La Sapienza"

2 A chi non accetti l’idea che in economia esista un unico modello-verita’

affermatosi come superiore, e pensi invece che diversi approcci analitici siano

richiesti da problemi di diversa natura, rivalutando in tal modo la pluralità degli

sviluppi del pensiero economico, si pone in primo luogo un problema di

metodo. Il problema cioè – preliminare alla possibilità di enucleare un

messaggio e quindi di trarre conclusioni operative da qualsivoglia schema

teorico - della relazione fra le conclusioni stesse e le caratteristiche del modello

da cui queste traggono, o pretendono di trarre, legittimazione. Questo al fine

di comprendere l’ambito di validità del messaggio in parola e l’adeguatezza

delle misure invocate.

2. Il messaggio trasmesso dalla visione del mercato imperante muove

dalla considerazione degli impressionanti sviluppi recenti della tecnologia e

dalla convinzione che tali sviluppi siano in grado di assicurare crescita e

benessere all’umanità. Condizione perché ciò avvenga e’ l’esistenza di

un’economia di mercato intesa come contesto che permetta il pieno operare

della concorrenza, canale privilegiato di realizzazione degli sviluppi dalla

tecnologia. Privatizzazioni, deregolamentazione di tutti mercati ed estrema

flessibilità e’ quanto richiesto per dare forma all’economia invocata.

Mantenimento di bilanci pubblici in equilibrio e lotta senza quartiere al minimo

segno d’inflazione, con il fuoco su una politica monetaria centrata sul ruolo

svolto dal saggio dell’interesse, sono i comportamenti virtuosi richiesti per

accompagnare e permettere l’operare dell’economia così caratterizzata.

Riforme strutturali ritenute necessarie al manifestarsi della flessibilità richiesta

e smantellamento delle istituzioni e delle regole ritenute intralcio al gioco della

concorrenza sono le misure prioritarie cui fare ricorso.

Quale quadro teorico sta dietro a un simile ricettario? Per comprenderlo

possiamo fare riferimento – in modo certamente schematico ma senza tradire

l’essenza del discorso – ad un modello di equilibrio intertemporale che

incorpora le caratteristiche essenziali delle versioni più recenti e più autorevoli

del pensiero teorico dominante

3 Il riferimento fondamentale di tale modello e’ l’evoluzione delle variabili

reali dell’economia quale determinata dalla risposta ottima data da agenti

economici perfettamente razionali agli impulsi impressi dalla tecnologia. In

particolare viene definito come ‘naturale’ il profilo temporale del prodotto che

e’ possibile ottenere, a seguito di tali comportamenti, in presenza di perfetta

flessibilità dei prezzi, inclusi naturalmente i salari. Le fluttuazioni del prodotto

naturale, imputabili alla natura stocastica degli impulsi tecnologici, sono viste

anch’ esse come manifestazioni caratteristiche della dinamica di equilibrio

dell’economia. Così come un certo grado di inflazione, determinato dalla

quantità di moneta in circolazione, è ritenuto compatibile con prezzi

perfettamente flessibili. Ove tuttavia non esista da parte delle imprese la

possibilità di adeguare continuamente i prezzi ed i salari in risposta agli shocks

tecnologici, per la presenza di costi di aggiustamento o di imperfezioni di

mercato e simili, si avrà una differenza fra prezzi correnti e prezzi ‘naturali’

(differenza definita come rigidità dei prezzi), una variabilità del tasso di

inflazione ritenuta pregiudizievole ad un’efficiente allocazione delle risorse e, in

conseguenza, la realizzazione di un prodotto effettivo minore del prodotto

‘naturale’.

Ciò legittima l’uso di una politica monetaria volta a correggere sia la

distorsione dei prezzi sia la distorsione di prodotto risultante da quest’ultima, e

cioè volta a permettere la realizzazione del valore ‘naturale’ delle variabili reali.

Tale politica consiste per la banca centrale nel seguire una regola in base alla

quale il saggio dell’interesse risponde in modo stabilizzante all’apparire di

disturbi di tipo inflazionistico, identificati appunto con il discostarsi dell’indice

dei prezzi corrente da quello dei prezzi ‘naturali’ in presenza di rigidità. In

particolare, la previsione di aumenti di produttività risultanti da shocks

tecnologici positivi richiede un aumento del saggio dell’interesse oggi per

rendere possibile – con la riallocazione temporale che questo implica – una

maggiore domanda di beni di consumo domani, così da permettere a quella

data di assorbire la maggiore capacità produttiva prevista e quindi la

realizzazione dei livelli ‘naturali’ del prodotto. E ciò per surrogare il ruolo che le

variazioni dei prezzi avrebbero svolto in assenza di rigidità. L’ottima politica

4 economica consiste quindi in un aumento (diminuzione) del saggio

dell’interesse in relazione ad un aumento (diminuzione) della dinamica della

produttività determinata dalla tecnologia.

Ritroviamo in questo quadro tutti gli ingredienti della visione

dell’economia di mercato dominante. La flessibilità da perseguire, l’inflazione

da combattere in via prioritaria, il ruolo essenziale della politica monetaria ed il

suo identificarsi con la leva del saggio dell’interesse. Il trasferimento dal

modello al dettame concreto pone tuttavia dei problemi. Innanzi tutto un

riferimento per lo meno improprio al concetto di flessibilità. La flessibilità

definita nel contesto dei modelli di equilibrio e’ flessibilità dei prezzi in relazione

al ruolo di segnale che questi svolgono nei modelli stessi. In questa ottica

perfetta flessibilità vuol dire esistenza in qualunque momento di prezzi tali da

generare una configurazione ottima dell’equilibrio (cui sono associati i valori

‘naturali’ delle variabili reali) e cioè prezzi che rispecchino i ‘fondamentali’

(tecnologia, preferenze) dell’economia. Questa definizione di perfetta

flessibilità, per la quale i prezzi si trovano ad ogni istante al loro livello di

equilibrio, ha un carattere tautologico, come sempre e’ il caso quando si

configurano aggiustamenti istantanei. Un aggiustamento istantaneo non ha la

caratteristica di un vero aggiustamento, che si attua attraverso un processo

effettivo. Ma in un contesto di equilibrio la flessibilità dei prezzi rileva

unicamente come uno degli elementi che permettono di definire un particolare

stato di equilibrio: le forze che fanno sì che i prezzi siano quelli che sono non

interessano.

Come si vede si tratta di cosa diversa dalla flessibilità intesa come

libertà di variazione dei prezzi in risposta agli squilibri esistenti ed al fine di

attivare un processo di riassorbimento degli stessi squilibri invocata quale

motivo delle riforme strutturali dei mercati richieste. Le proprietà di un

processo di aggiustamento non possono essere semplicemente dedotte dal

confronto fra due sentieri di equilibrio intertemporale, come avviene nel

modello.

Lo stesso riferimento improprio del messaggio al modello lo si ritrova per

quanto riguarda l’inflazione e la politica monetaria. Nel modello, infatti, in

5 un’economia afflitta da rigidità dei prezzi l’inflazione - definita come divergenza

fra prezzi correnti e prezzi naturali – è l’ostacolo principale alla realizzazione

dei valori ‘naturali’ delle variabili reali. L’unica fonte di una simile inflazione è

una politica monetaria non corretta, quale rappresentata da valori del saggio

dell’interesse che rendano possibile il manifestarsi, o non permettano il

riassorbimento, della divergenza menzionata. Qualora però si tenga presente

che in un processo di aggiustamento ciò che effettivamente interessa è la

comprensione della natura degli squilibri da correggere ci si può rendere conto

che, pur mantenendo il fuoco sul saggio dell’interesse, l’interpretazione del

ruolo di quest’ultimo può cambiare profondamente. In particolare, come si

vedrà, ci si può rendere conto che nei processi di trasformazione dell’apparato

produttivo richiesti dagli sviluppi della tecnologia le variazioni del saggio

dell’interesse piu’ che a compensare eventuali rigidità dei prezzi, debbano

essere viste in relazione ad altri obiettivi, quale ad esempio il problema dei

vincoli di liquidità esistenti.

3. Quanto detto dovrebbe già rendere guardinghi riguardo alle virtù

salvifiche di riforme e politiche proposte in base ad un simile quadro analitico.

Il vero problema per quanto concerne l’interpretazione della natura e del ruolo

del mercato, tuttavia, sta nella relazione fra tecnologia e crescita, da cui tale

ruolo in ultima analisi dipende. Un problema dalla cui considerazione i modelli

analitici dominanti essenzialmente prescindono basati come sono sull’idea,

tipica degli schemi di equilibrio, che sia sufficiente soddisfare certe condizioni

per avere automaticamente certi risultati. In particolare che, dati gli sviluppi

della tecnologia, la semplice adozione delle tecniche produttive più avanzate

permetta di ottenere gli aumenti di produttività a queste associati per

definizione, e che la concorrenza, con il sistema di incentivi che essa comporta,

rappresenti il contesto più favorevole a tale adozione.

Ora, non può certo essere messo in dubbio che i progressi della

tecnologia rappresentino un fattore essenziale di crescita, ma non e’ la

tecnologia in se stessa, vale a dire il semplice fatto di scegliere di adottare

certe tecniche produttive, ciò che determina la crescita. Non sono pochi gli

6 esempi di invenzioni ed innovazioni che avrebbero in teoria permesso

sostanziali aumenti di produttività e che si sono invece risolte in perdite di

risorse ed impulsi negativi al funzionamento dell’economia. Il caso delle

tecnologie dell’informazione ed in particolare degli investimenti nei settori

collegati ad internet negli anni più recenti sono sotto gli occhi di tutti.

La verità e’ che non esistono, né sono mai esistiti, risultati economici

automatici di innovazioni scientifiche o tecniche. Perché dalla tecnologia si

passi a rendimenti economici effettivi, e quindi alla crescita, occorre un

processo di carattere economico, che e’ essenzialmente un processo di

coordinamento. Il progresso economico consiste, infatti, nella comparsa di

nuovi beni e servizi a seguito di qualche forma di innovazione (di tipo tecnico,

organizzativo, di mercato….) Nuovi beni richiedono nuovi processi produttivi,

quindi nuove attività che a loro volta richiedono nuovi tipi di interazione fra gli

attori e le istituzioni esistenti o anche la comparsa di nuovi attori ed istituzioni.

Tutto ciò avviene attraverso un processo che consiste in primo luogo nella

costruzione/creazione di una nuova capacita’ produttiva e poi nel rendere

questa operativa. Un tale processo può avere successo o meno e, in caso

positivo, può avere sviluppi diversi in relazione all’operare di diversi

meccanismi di coordinamento.

Il ruolo del mercato, in una simile prospettiva consiste appunto nello

svolgere l’attività di coordinamento richiesta per assicurare la fattibilità di un

processo complesso e di natura sistemica, e non nel semplice fornire gli

incentivi che dovrebbero assicurare l’adozione di date innovazioni tecnologiche,

come avviene negli schemi analitici che da tale processo prescindono

spostando l’attenzione sui risultati scontati di quest’ultimo. La prima

conseguenza di questo cambio di prospettiva è che il coordinamento

menzionato non è affatto privilegio di una forma specifica di mercato, in

particolare la concorrenza indicata quale forma ideale. Accordi collusivi,

oligopoli, concentrazioni di mercato, politiche discriminatorie di prezzi ed altre

forme usualmente considerate come imperfezioni di mercato possono invece

rappresentare meccanismi di coordinamento più efficaci ai fini della fattibilità di

processi innovativi e dell’ottenimento di quei rendimenti che permettono un

7 effettivo accrescimento del benessere generale.

Tutto dipende dall’avere chiaramente in mente quale e’ il vero problema

che si ha di fronte. Cosi’ il ruolo svolto dai prezzi, e di conseguenza i regimi di

prezzi consigliati, possono essere diversi qualora i prezzi stessi non siano più

visti come segnali per effettuare una scelta cui e’ automaticamente associato

un determinato stato dell’economia ma piuttosto come ingredienti di un

meccanismo volto ad assicurare la fattibilità di un processo di costruzione di

nuove opzioni produttive.

4. Vediamo pertanto quali sono i tratti essenziali del processo attraverso

cui si genera crescita, ed in particolare, come si vedrà, occupazione.

L’innovazione, pilastro essenziale della crescita, si realizza attraverso la

creazione di nuova e diversa capacità produttiva ed implica quindi in primo

luogo una modifica dell’operare dell’apparato produttivo da cui il

funzionamento dell’economia essenzialmente dipende. Un cambiamento che

riguardi tale operare implica pertanto rotture, distorsioni e quindi squilibri in

ogni comparto dell’economia, ed in particolare sul mercato del lavoro. Il

tentativo di eliminare tali squilibri, originanti dal lato della produzione, da’

luogo ad una serie di azioni e reazioni che hanno piuttosto l’effetto di nutrire e

spesso amplificare squilibri successivi, determinando fluttuazioni erratiche di

tutte le grandezze economiche rilevanti. Il problema essenziale consiste allora

nel mantenere gli squilibri inevitabilmente associati ad un processo

d’innovazione entro limiti tali da non porre in dubbio la fattibilità del processo

stesso.

La creazione di nuova capacità produttiva richiede investimenti, impiego

di risorse produttive: essenzialmente risorse umane e risorse finanziarie che

debbono soddisfare una certa relazione di complementarità. Accanto

all’impiego ed alla gestione delle risorse, e complementare a questi, i regimi

d’allocazione delle stesse risorse rappresentati dai sistemi di determinazione di

prezzi e salari concorrono a determinare il funzionamento dei meccanismi di

coordinamento richiesti. In particolare a questi regimi è demandato di evitare

scosse troppo violente, spostamenti di reddito e di domanda troppo marcati a

8 seguito degli squilibri originariamente indotti dalle distorsioni della capacità

produttiva conseguenti ad uno shock tecnologico. In quest’ottica una certa

vischiosità di prezzi e salari è un modo per frenare processi cumulativi che

potrebbero dar luogo a forti instabilità piuttosto che motivo essa stessa di

distorsioni, come nell’analisi dominante. La flessibilità non è un dogma; le

rigidità cui viene attribuito un intrinseco carattere negativo possono invece

svolgere un ruolo positivo qualora si abbia chiaro in mente qual è il problema

da affrontare.

Quanto ora detto dovrebbe aiutarci a porre in una luce adeguata le

ricorrenti affermazioni della necessità di procedere a riforme strutturali del

mercato del lavoro per eliminare le rigidità esistenti ed in tal modo favorire

l’occupazione. Se infatti l’occupazione è, come certamente è, una componente

della capacità produttiva, il problema che essa comporta non può essere di

ricondurre in equilibrio la domanda e l’offerta sul mercato del lavoro esistente

facendo ricorso ad incentivi rappresentati da particolari normative (quale, ad

esempio, la piena liberta’ di assumere e licenziare) o regimi salariali.

L’implicazione di una simile visione è che i posti di lavoro ci siano, ma non sono

bene allocati. Il problema in economie sottoposte a continui cambiamenti di

modo di operare è invece quello di creare posti di lavoro (al posto di quelli

scomparsi insieme ad apparati produttivi obsoleti) costruendo nuova capacità

produttiva di cui l’occupazione è un aspetto al pari di macchine, attrezzature,

organizzazione, quadro di relazioni e così via. Si crea occupazione rendendo

fattibili processi di ristrutturazione produttiva che richiedono sì in primo luogo

investimenti ma anche meccanismi di coordinamento adeguati. I processi in

questione sono attività complesse, di tipo sistemico, che coinvolgono imprese,

organizzazioni, istituzioni, politiche, ed in cui i singoli mercati non possono

essere isolati l’uno dall’altro. Quanto avviene sul mercato del lavoro – forme

istituzionali e regimi salariali – è solo uno degli elementi determinanti

l’occupazione, risultato in realtà del modo di evolvere dell’intero processo in

atto. Ed in questa luce, come si è appena visto, le rigidità invece di essere un

ostacolo alla creazione di occupazione possono rappresentare un fattore di

stabilità e quindi aiutare la fattibilità di un processo di cui l’occupazione è la

9 risultante.

Un’ultima breve considerazione infine per quanto riguarda la politica

monetaria, da porre sempre in relazione alla natura del problema da

affrontare. Nell’analisi di un processo caratterizzato da problemi di

aggiustamento dell’apparato produttivo, l’investimento, e le risorse finanziarie

che ne sono alla fonte, sono al centro dell’attenzione. Il compito essenziale

della politica monetaria consiste quindi nel rimuovere i vincoli finanziari che

possano rappresentare un ostacolo all’effettuazione degli investimenti

necessari, contribuendo cosi’ ad evitare distorsioni della capacità produttiva tali

da risultare in eccessivi squilibri di mercato. Un problema complesso, questo,

che certamente richiede un capitolo a parte.

E’ il caso tuttavia di soffermarsi ancora un momento, in tono con il tema

fin qui svolto, sul ruolo attribuito al saggio dell’interesse visto come strumento

essenziale della politica monetaria. Tale ruolo, quando il problema è la

fattibilità di un processo di aggiustamento piuttosto che il confronto fra due

sentieri di equilibrio intertemporale associati a diversi regimi di prezzi, non

consiste più nel compensare eventuali rigidità di tali prezzi per potersi

posizionare sul sentiero’naturale’, bensì, come si e’ appena sottolineato,

nell’allentare i vincoli finanziari che possano intralciare il processo menzionato.

In tale ottica si può dimostrare, ma è intuitivamente ovvio, che una politica

monetaria accomodante rappresentata da una diminuzione del saggio

dell’interesse, ancorché accompagnata temporaneamente da un certo grado di

inflazione, e’ la più adatta alla realizzazione degli aumenti di produttività resi

possibili dagli sviluppi della tecnologia ed al conseguente riassorbimento della

disoccupazione indotta da tali sviluppi. Una conclusione opposta quindi a

quella formulata nel diverso contesto analitico prospettato dal modello teorico

dominante, dove si indica invece in un aumento del saggio dell’interesse la

politica monetaria ottima volta ad eliminare le pressioni inflazionistiche ed in

tal modo realizzare il livello ‘naturale’ del prodotto.

Se il mercato è indubbiamente un essenziale meccanismo di

coordinamento dell’attività economica e quindi fattore fondamentale di

sviluppo, i compiti che gli sono attribuiti e le vie per realizzarli non possono

10 essere definiti una volta per tutte in base ad una visione data dell’economia e

dei suoi problemi, ma individuati volta a volta in base alla natura dei fenomeni

economici da affrontare e risolvere.