sostenibilita'e diritti di cittadinanza



da fondazione di vittorio 5 - 4 - 2003

Sostenibilità e diritti di cittadinanza
Per passare dalla quantità alla qualità

a cura di Gianni Mattioli

(Sconvolgimento climatico o accesso ineguale alle risorse del pianeta
rappresentano oggi un rischio perentorio così grave quanto lontano, sin qui,
dalla consapevolezza di chi costruisce politiche economiche. Oggi, tuttavia,
sul controllo delle risorse - a partire dall'energia - il conflitto diviene
esplicito e costringe ad interrogarsi su quale futuro sia possibile senza
una riconsiderazione del modello di funzionamento delle società avanzate. Ma
questo modello è già messo in discussione, dal suo interno, dallo
sconvolgimento che l'aumento incessante di produttività indotto dalla
innovazione tecnologica apporta ai settori produttivi e, di conseguenza, all
'occupazione. L'industria della produzione di qualità della vita - a partire
dalla realizzazione piena per tutti i cittadini dei diritti di cittadinanza
(la salute, l'abitare, la città, la mobilità, l'ambiente, ecc.) - apre una
prospettiva di società sostenibile su cui si può costruire una alleanza tra
cittadini.)

Premessa
L'obiettivo di dare unità alle forze di opposizione al centro-destra deve
essere pensato alla luce, innanzi tutto, della evidente inadeguatezza delle
culture - pur storicamente importanti - delle singole forze di
centrosinistra ad interpretare questa società complessa, ma anche alla luce
delle esperienze fallimentari del recente passato, quando cioè si è
rinunciato al tentativo di partire dalla costruzione di linee programmatiche
comuni: la alleanza con Rifondazione Comunista, ad esempio, uscita dalla
"desistenza" del '96, non ha retto alla prova di governo e, successivamente,
alle elezioni politiche del 2001, non si è riusciti neppure a pervenire ad
un accordo elettorale con le forze esterne all'Ulivo. Ma anche l'attuale
incapacità della coalizione a trovare forme unitarie di rappresentanza non
va forse ricondotta al fatto che sin qui ci si è sempre e solo limitati a
prendere atto dell'eterogeneità di posizioni ideologiche e programmatiche
oggi presenti nella coalizione? Ciò suggerisce, a quattro anni dalle
prossime elezioni, di lavorare invece con convinzione e con intelligenza ad
un confronto che permetta di individuare alcuni punti di convergenza
programmatica, che possano offrire il supporto all'unità per una coalizione
di centro sinistra.
Ingenuità, utopia? Percorso obbligato, piuttosto, se non si vuole rimanere
agli appassionati, quanto velleitari proclami.
E, d'altra parte, è superfluo forse dire che sarebbe difficile oggi
rappresentare in modo non generico l'identità programmatica delle forze di
centrosinistra in Italia: quali scenari disegnano per il futuro dei
cittadini? Quali riforme - al di là del buon governo - costituiscono l'asse
portante di questi scenari? Si tratta di una domanda che si pose subito, all
'indomani del conseguimento da parte del primo governo dell'Ulivo dell'
obiettivo di portare l'Italia nell'Europa degli accordi di Maastricht: si è
conseguito il risanamento della finanza pubblica, ora le riforme. Ma questo
disegno non venne: ci furono pezzi di politiche frammentari, anche in
contrasto tra loro e perciò senza un tentativo di spiegare all'opinione
pubblica, agli elettori, la strategia generale, che non c'era. Da qui la
perdita del senso di appartenenza alla costruzione di un progetto comune in
cui fosse intelligibile la ricomposizione di bisogni ed interessi diversi
intorno ad una chiara finalità. Così matura la difficoltà - e la
disaffezione - a definirsi di destra o di sinistra e prevale l'
individualismo.
Si tratta dunque di individuare alcuni punti di partenza semplici e chiari e
con coerenza svilupparne le implicazioni: su ciò basare poi le proposte di
programma. Può essere utile partire proprio dall'idea di riformismo: anche
il centro-destra parla di riformismo e dunque è necessario esplicitare con
chiarezza quale prospettiva di riforme caratterizza invece le forze del
centro-sinistra e la loro unità.
Innanzi tutto, queste forze hanno in comune l'aspirazione a produrre nella
società un cambiamento e precisamente il cambiamento che realizza una
società più giusta, nella quale sono resi effettivi i diritti di
cittadinanza e garantite a tutti pari opportunità. Non si tratta dunque di
confrontarsi sul fatto se la rottura del capitalismo debba costituire l'
alternativa immediata o meno, ma individuare alcune grandi riforme di alto
profilo, misurate sulla realtà della società rappresentata nella sua
complessità, e nel contesto dell'Europa e della globalizzazione. Società
complessa significa avere ben presente l'articolazione della struttura
sociale - certo non riducibile a contrapposizioni semplificate -, ma anche
il crollo demografico e l'invecchiamento della popolazione e significa avere
ben presenti, esplicitare ed affrontare le ragioni del successo della
destra: fiscalità, stabilità economica, paura dell'incertezza, immigrazione.
Ma società complessa significa anche sconvolgimento climatico, controllo
delle risorse del pianeta, in primo luogo dell'energia. Dunque questione
ambientale, sostenibilità.
In questo quadro vogliamo far vedere il ruolo centrale che possono svolgere
le tematiche dei diritti di cittadinanza e della sostenibilità, intesa non
solo come vincolo, ma anche come opportunità positiva.
Diritti di cittadinanza e sostenibilità rappresentano un binomio che unisce
una forte caratterizzazione etica e sociale con una lettura della realtà che
la cultura ambientalista ha portato a straordinaria concretezza, "vestendo"
la sostenibilità ecologica di quegli elementi inscindibili di equità
sociale, di inclusione maggiore nei diritti di cittadinanza e di
partecipazione per tutti quelli che oggi ne sono emarginati ed esclusi .
Non ci occupiamo dunque di tutto, ma di ciò su cui ci sembra di avere
qualche cosa di utile da dire.

Diritti di cittadinanza
Diritti di cittadinanza: ma nella loro interezza, secondo la concezione che
da ultimo ha ispirato, pur con lacune ed ambiguità, la scrittura della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 2000. Non basta cioè
elencare diritti politici e civili: di pari importanza sono i diritti
sociali ed economici - la salute, l'educazione, il lavoro, l'abitare - veri
e propri prerequisiti della democrazia, senza i quali democrazia e libertà
restano infingimenti. Si tratta di un insieme di diritti inscindibili e
questo va ribadito con forza in un tempo in cui la giusta enfasi con cui si
proclama il valore della libertà non sempre si accompagna ad altrettanta
attenzione alle condizioni che permettono ad essa di essere libertà per
tutti.
Quanto si è convinti dell'urgenza etica di realizzare diritti di
cittadinanza e pari opportunità? Può sembrare superfluo soffermarsi su
questo punto e tuttavia le risposte che vengono date su questo punto sono
spesso sfuggenti, come se il fatto che siano venuti meno il bipolarismo e i
blocchi contrapposti avesse superato il fatto che sono tuttora presenti
strutture sociali profondamente ingiuste: quanti ritengono, ad esempio, che
il solo fatto di nscere alla comunità dei cittadini dia, per ciò stesso,
diritto pieno a pari opportunità? Un accesso più giusto alle opportunità -
in particolare, all'istruzione - è ciò che può cambiare la struttura della
società.

La condizione della sostenibilità
La condizione della sostenibilità si presenta come il limite oggettivo con
cui si devono fare i conti, sia dal punto di vista della nostra condizione
di vita nel pianeta, sia dal punto di vista delle implicazioni stringenti
che ne derivano per l'organizzazione sociale, per l'economia, per la
politica.
Queste implicazioni stringenti confliggono oggi con la globalizzazione,
quale sinora noi la conosciamo: la parola conflitto non ha significato di
metafora! L'Europa, in forma incerta e frammentaria, esprime tuttavia la
possibilità di opporsi alla globalizzazione senza governo ed è dunque
necessario lavorare alla costruzione di proposte che possano dare
concretezza alla necessità di disegnare modelli di cittadinanza sostenibili.
Per molto tempo la questione ambientale è stata confinata in un ambito di
motivazioni etiche e culturali, permettendo all'opinione pubblica, al
decisore politico, di ignorarne l'urgenza, nonostante che già trenta anni fa
le curve dei limiti dello sviluppo disegnate dal rapporto del Mit avessero
messo in evidenza la drammatica necessità di riconsiderare il modello di
sviluppo dei paesi "avanzati".
In questo ultimo anno, tuttavia, alcuni fatti eclatanti hanno imposto il
problema della sostenibilità in modo perentorio, a partire da questioni,
certo ben note, ma delle quali non si era colta appieno la pericolosità.
L' effetto serra. Il fenomeno si manifesta oggi in tutta la sua gravità, non
come vaga previsione nel futuro di aumento della temperatura al suolo del
pianeta, ma come sconvolgimento attuale della stabilità dei cicli climatici
che dà luogo ad eventi meteorologici estremi, quanto imprevedibili. Per
recuperare la stabilità dei cicli è necessario intervenire subito, in
particolare sul sistema di produzione ed uso dell'energia.
L'11 settembre ha messo in evidenza quanto sia odiata la cittadella dei
paesi ricchi, la cui ricchezza si fonda in particolare su meccanismi di
spoliazione delle risorse fisiche del pianeta nei confronti del resto del
mondo: può essere stabile un mondo in cui, ad esempio, 600 milioni di
abitanti (noi) consumano tanta energia quanto gli altri 5 miliardi e mezzo
di abitanti? La guerra permanente appare così la condizione inevitabile.
Ma, a prescindere dalla iniquità della distribuzione, ciò che emerge ormai
in forma ineludibile in questo settore centrale dell'energia è il limite
della risorsa petrolio: le previsioni oscillano ormai tra il 2010 e ed il
2040 nel collocare il "picco" della produzione globale, al di là della quale
la crescita del prezzo del barile ed i tentativi di accaparramento della
risorsa diverranno inarrestabili.
Dunque la questione dello sviluppo sostenibile, della società sostenibile
non riguarda più soltanto l'alto profilo morale dei nostri doveri nei
confronti delle generazioni future, ma riguarda noi oggi e si riassume nell'
imperativo di confrontare i nostri modelli di sviluppo dell'economia , del
benessere, dell'occupazione con la loro compatibilità a fronte di paesi in
crescita accelerata, Cina o India per esempio: i nostri modelli sono
praticabili da un miliardo di cinesi?
Non sembra esagerato affermare che non ci sia oggi consapevolezza dell'
enormità delle sfide che sono dinanzi a noi. In particolare, non vi è oggi
classe politica o culturale che ponga con chiarezza all'ordine del giorno
dei cittadini di un paese ricco la questione dei tagli necessari a fronte di
sistemi di spreco o, comunque, di consumi insostenibili.
Stravolgimento pericoloso dell'ecosistema planetario, regole pericolose di
distribuzione delle risorse impongono dunque il cambiamento e tuttavia una
necessità di cambiamento è già presente da tempo a fronte di una vera crisi
strutturale del nostro sistema produttivo. L'analisi che Delors disegnava
nelle pagine del Libro Bianco del 1993, quando in tutti i paesi
industrializzati si profilava lo scenario della disoccupazione legata all'
aumento incessante di produttività del lavoro indotta dall'innovazione
tecnologica, già approdava alla conclusione che sarebbe stato illusorio
aspettarsi dai settori produttivi tradizionali nuovi processi di espansione,
che potevano venire invece dalla fabbrica di qualità della vita, dalla
sostenibilità appunto.
Oggi sappiamo che, nella prospettiva del futuro, questa problematica -
innovazione tecnologica/sostituzione del lavoro - è destinata a
caratterizzare qualsiasi campo delle produzioni cosiddette "mature", tanto
da rendere necessario comunque rifondare alcuni concetti, ruoli,
definizioni, che molti sembrano ritenere invece "invarianti": non è così e
bisogna attrezzarsi al cambiamento.

Quale proposta, allora?
Si tratta di mettere a confronto strategie con elementi di fatto.
Da una parte vi sono gli indirizzi - ovviamente diversi tra forze di
centro-destra e di centro-sinistra - che comunque puntano al rilancio dei
settori produttivi esistenti: questi indirizzi incontrano difficoltà, sia
che si tratti di rilancio delle opere pubbliche che dei consumi individuali.
Difficile infatti riproporre cementificazioni in un paese che ha già oltre
400.000 Km di strade extraurbane e 5 milioni di alloggi sfitti. Lo sviluppo
in questi settori non potrà essere quantitativo, ma richiede piuttosto
interventi di razionalizzazione intelligente. Difficile anche aspettarsi
risposte risolutive dall'espansione dei consumi individuali, delle famiglie,
per i motivi prima ricordati.
E' qui che si profila la prospettiva del soddisfacimento dei diritti di
cittadinanza e della salvaguardia ambientale nella valenza, non solo di
scelta etica e politica, ma di straordinaria opportunità economica, verso la
quale promuovere lo spostamento di parte significativa del sistema
produttivo.
Ingenuità? Utopia? In realtà questo spostamento è già in atto se è vero che
parte consistente della occupazione creata negli ultimi anni è venuta
proprio dai servizi di cura alla persona, dalla riqualificazione edilizia ed
urbana, dalla salvaguardia ambientale. Si tratta dunque di assumere questo
indirizzo di politica economica, non certo come onnicomprensivo, ma come
indirizzo importante, non più come elemento di nicchia legato a motivazioni
puramente etico-politiche, ma come settore decisivo dell'economia,
opportunamente attrezzato, ma non protetto.
In questo modo, inoltre, che accompagna l'enunciazione dei diritti di
cittadinanza al piano della loro realizzazione e alla concretezza anche
economica della procedura per realizzarli, essi assumono il significato
pieno di principi da realizzare attraverso un processo piuttosto che di
proclamazioni massimalistiche e tutti sono chiamati alla responsabilità di
una prospettiva comune.

Gli strumenti per l'intervento
Quali strutture? quali risorse economiche? quali alleanze?
Il campo di interventi indicato riguarda la sanità, l'istruzione, la casa,
la riqualificazione delle città e del territorio, la mobilità, la
salvaguardia ambientale (aree protette, risorse idriche, difesa del suolo,
rifiuti), l'energia, lo sviluppo e la produzione di tecnologie volte all'
aumento della produttività delle risorse, la valorizzazione delle risorse
locali.
Come si vede, il campo che può essere preso in considerazione è molto ampio
e si passa da veri e propri diritti di cittadinanza, costituzionalmente
protetti, a servizi alla collettività, ad attività di sostegno per un'
economia della sostenibilità.
Lo spostamento di risorse finanziarie e di lavoro verso settori di "ben
vivere" - salute, ambiente, città - non è certo una idea nuova, anzi da
tempo si è articolata in proposte, disegni di legge, contributi alla legge
finanziaria. Lo schema generalmente seguito è stato quello dell'impiego di
risorse pubbliche, con la conseguenza di configurare settori protetti, fuori
dalla dinamica dell'economia e perciò del tutto marginali. Come si è detto,
non stiamo parlando di questo.
Si tratta di costruire una proposta, certo orientata politicamente, ma che
possa rappresentare il punto di convergenza reale di interessi diversi,
pubblici e privati, e possa attrarre progressivamente quote sempre più
consistenti di lavoro e di risorse.
Questa impostazione è decisiva e non se ne sottovaluta certo la valenza
politica. E' una risposta alla ipotesi: per governare nella società reale,
con la sua complessità sociale, bisogna trovare punti di convergenza di
interessi diversi. Si tratta di verificare se il punto di convergenza
individuato sposta il baricentro secondo la prospettiva che abbiamo scelto:
la realizzazione dei diritti di cittadinanza in condizioni di sostenibilità.
Scelto questo contesto, si va a cercare lo schema organizzativo,
istituzionale, finanziario più appropriato ai diversi settori di intervento.
In questa prospettiva, uno degli schemi su cui è utile soffermare l'
attenzione è quello rappresentato dalla legge 36 del 1994, relativa alle
risorse idriche: esso può essere migliorato e da esso si può partire per
applicarlo ad altri settori, con tutte le variazioni dettate dalle
specifiche diversità. Ne richiamiamo le linee essenziali.
Garantire l'acqua in termini efficienti e dignitosi, riorganizzando anche
radicalmente i meccanismi sociali della sua utilizzazione, è una condizione
essenziale sia per una migliore qualità della vita, sia per uno sviluppo
industriale, agricolo, turistico più moderno.
Come è noto, l'idea di fondo della legge 36 è quella di separare l'indirizzo
politico dalla gestione, attraverso i passaggi seguenti.
L'acqua è bene pubblico.
Spetta all'autorità politica, all'amministrazione locale (di area vasta: è l
'Ambito Territoriale Ottimale) redigere il piano di utilizzazione della
risorsa idrica, nel suo ciclo integrato: captazione, distribuzione, uso,
smaltimento, recupero, depurazione, riciclo. Il piano conterrà l'
individuazione di massima degli investimenti necessari e delle tariffe e
soprattutto indicherà le fasce sociali deboli, alle quali riservare tariffe
privilegiate.
La gestione di questo piano viene messo a gara tra imprese (private o,
eventualmente, anche pubbliche o semipubbliche).
Comitati di utenti, istituzionalmente riconosciuti, esercitano il controllo
affinché servizio reso e tariffa esatta siano in accordo con quelli per cui
fu vinta la gara.
Siamo dunque di fronte ad uno schema in cui il bene è pubblico, ma il
servizio pubblico può essere affidato, a seguito di gara, anche al privato.
Si tratta di un punto cruciale, se la strategia è quella di stabilire punti
di convergenza con interessi diversi, ma è anche un punto tutt'altro che
pacifico nella cultura della sinistra. E tuttavia, proviamo a separare gli
obiettivi che vogliamo affermare, dalla questione pubblico/privato. La
scelta è quella di sostenere i ceti sociali più deboli, favorire l'
innovazione e l'occupazione, salvaguardare l'ambiente: questa scelta
coincide con la difesa, ovunque e comunque, della responsabilità, della
gestione pubblica del servizio pubblico? L'esperienza non va in questa
direzione.
La gestione pubblica dell'acqua, ad esempio, con le 13000 aziende pubbliche
a cui era pervenuta, non ha impedito che in gran parte d'Italia, ed in
particolare per le fasce sociali inferiori, ben poco sia stato fatto per
assicurare la disponibilità dell'acqua. E, quanto all'Enel, decenni di
proprietà e di gestione pubblica non hanno impedito lo sfacelo dell'
industria elettromeccanica italiana, né l'assenza di una politica delle
fonti energetiche rinnovabili almeno lontanamente confrontabile con quella
seguita ad esempio in Germania.
Ciò che interessa dunque è la politica delle tariffe o dell'innovazione
tecnologica o della salvaguardia ambientale, non se la struttura che la
realizza sia pubblica o privata. Di più: lo scontro "pubblico/privato" è
fuorviante, rischia di essere uno schermo che evita la messa a fuoco delle
vere questioni e del vero scontro: bisogna andare al centro del problema,
che deve essere affrontato in modo chiaro, poiché allora è possibile
costruire il consenso.
Lo schema qui presentato della legge 36 è, come detto, soltanto un punto di
partenza, da generalizzare - a quei settori per i quali la generalizzazione
sia utile e possibile - in forme appropriate, che dovrebbero essere
delineate sempre meglio attraverso il confronto aperto e democratico con
tutti i soggetti portatori di competenze e di interessi, pervenendo così ad
una scrittura concertata del piano. E, del resto, assetti organizzativi che
vanno in questa direzione - come ad esempio le società ad economia mista -
sono già stati proposti, in particolare nell'ambito della riqualificazione
urbana.
Qualora poi, per investimenti di carattere straordinario o per rafforzare la
tutela delle fasce sociali più deboli attraverso sgravi nella tariffa, fosse
necessario fornire un contributo finanziario al gestore, l'amministrazione
locale potrà ricorrere alla fiscalità attraverso una specifica tassa di
scopo, introdotta in virtù dell'autonomia impositiva.
Ma, al di là dello schema rappresentato dalla legge 36, la disponibilità di
risorse pubbliche provenienti dalla fiscalità, a sostegno di alcune finalità
sociali del servizio o di efficienza e vantaggio complessivo per la
collettività, rappresenta uno degli aspetti più importanti di questa
strategia. La tassa di scopo è uno strumento essenziale per assicurare
trasparenza e responsabilità alla amministrazione pubblica e diviene così
possibile il controllo democratico della spesa.
Questo è un punto essenziale per una proposta di politica economica che non
prevede, tra i suoi punti caratterizzanti, la riduzione delle tasse. Qui lo
stato, la regione, il comune prelevano per restituire sotto forma di servizi
ed attività efficienti e socialmente eque. Questo ovviamente non renderà più
appetibile la fiscalità per i cittadini, ma può fare una differenza notevole
confrontare un prelievo genericamente finalizzato ad attività per le quali
la pubblica amministrazione è unica responsabile, con lo stesso prelievo, ma
indirizzato a voci precise e quantificate, la cui responsabilità associa
privati ben individuati e sotto il controllo degli utenti.
Particolarmente impegnativa ovviamente è la trasposizione di questa linea di
intervento dal caso dei settori dei servizi al caso dei veri e propri
diritti di cittadinanza, istruzione e sanità in particolare, in cui il ruolo
del privato pone i problemi che è superfluo qui ricordare. Si dovrà
ricorrere a schemi diversificati, ma va ricordato che proprio la condizione
politica preliminare di questa strategia - attuare diritti di cittadinanza -
ha evidentemente precise implicazioni sulla redazione del piano da parte
dell'autorità politica. Ed è lo stesso schema della legge 36 a prevedere,
per rispondere a necessità e situazioni che il legislatore intende
garantire, la possibilità di ricorrere ad "una pluralità di soggetti e di
forme". Per esempio nel caso della sanità, quando si voglia salvaguardare
"le forme e le capacità gestionali di organismi esistenti che rispondano a
criteri di efficienza, di efficacia e di economicità" e soprattutto il
carattere di diritto di cittadinanza rappresentato dalla salute.
E ancora: assai interessante potrebbe risultare affrontare secondo questo
schema anche il caso del diritto all'informazione: le vicende presenti
mostrano infatti in modo clamoroso quanto possa essere illusorio accoppiare
il diritto all'informazione al carattere pubblico, ad esempio, di reti
televisive e quanto potrebbe risultare più produttivo fissare regole di
comportamento limpidamente condivisibili per chi voglia utilizzare la
concessione di frequenze.

Considerazioni finali
Si disegna così uno scenario di attività produttive legate al "ben vivere",
che potrà convivere con le produzioni tradizionali finalizzate ai consumi,
con qualche chance di assumere dimensione e solidità crescente, anche dal
punto di vista dell'innovazione tecnologica e dell'esportazione. Qualcuno
osserverà avventatamente che dalla fabbrica di qualità della vita è
difficile che venga innovazione tecnologica e tantomeno merci da esportare.
Osservazione superficiale, giacché i comparti elencati - energia, mobilità,
tecnologie di intervento sanitario e ambientale, ecc. - sono già tra i
settori di punta per l'innovazione scientifica e tecnologica e, per rimanere
all'esempio dell'acqua, la qualificazione raggiunta nella gestione stessa
della risorsa proietta le imprese - francesi, in particolare - nell'agone
della concorrenza in campo internazionale, ove vendono i loro servizi. Le
tecnologie di intervento ambientale necessitano di conoscenze avanzate, sia
delle scienze biologiche, di assetto del territorio, di conoscenza dei cicli
vitali, di conoscenza della terra, sia di soluzioni avanzate che utilizzino
e combinino, in termini originali, tutte le potenzialità che le nuove
tecnologie dell'informatica, delle telecomunicazioni, dell'ingegneria del
territorio, offrono allo scienziato, al geologo, all'ingegnere, al biologo,
all'agronomo. Scienze e tecnologie di intervento ambientale sono in pieno
sviluppo, e la domanda potenziale non potrà che aumentare in modo
esponenziale nei prossimi decenni, a fronte di un aumento della sensibilità
e dei bisogni ecologico-ambientali.
Ma, più in generale, tra le attività previste in questo schema c'è, come si
è detto, proprio la ricerca, lo sviluppo, la produzione di tecnologie volte
all'aumento della produttività di risorse fisiche: non solo l'energia, ma l'
acqua, il riciclo dei rifiuti, i materiali e cosi via.
Specializzarsi e sviluppare ricerca scientifica e tecnologica, applicazioni
produttive, modelli di intervento e di gestione, capacità di impresa in
questi settori, significa orientarsi verso una prospettiva con potenzialità
di espansione, anche internazionale, a differenza dei settori di tecnologie
avanzate già "occupati", in termini difficilmente raggiungibili, da altri
sistemi-paese, oppure dei settori manifatturieri finalizzati ai consumi
individuali, che conoscono ormai ben noti fenomeni di saturazione.
Ma, soprattutto, l'elemento sostanziale di questa strategia si basa sul
fatto che, per i motivi che abbiamo ripetutamente ricordato, è necessario
cambiare la cultura della produzione e dello sviluppo dalla quantità alla
qualità: intelligenza, ricerca scientifica e tecnologica, organizzazione
produttiva vanno indirizzati alla razionalità dell'uso equo ed efficiente di
risorse limitate e alla compatibilità di questo uso con la qualità della
vita. Si può aprire, insomma, una nuova fase riformatrice che mette al
centro, appunto, il passaggio dalla quantità alla qualità: qualità della
società - più giusta -, qualità della vita - ma per tutti -, uso della
innovazione tecnologica - per preservare la stabilità del pianeta, non per
sconvolgerla.
Alla base di questa svolta ci dovrà essere, in definitiva, nelle nostre
società, un cambiamento profondo, di cultura, di stili di vita, di
valorizzazione del tempo: si tratterà, infatti sempre più di scegliere tra
un 'identità basata su quanto si consuma e si possiede, ad un'identità
maggiormente costruita sui rapporti con gli altri e con se stessi. Diritti
di cittadinanza e sostenibilità implicano in definitiva una società più
coesa: questo rende certamente difficile questa prospettiva e, insieme, ne
fa un grande ideale, capace di dare un'identità alla politica della
sinistra.
Non si tratta di semplificare, in nome di questo modello, la complessa
realtà delle società industriali avanzate e la complessità dello stesso
processo di graduale trasformazione: si tratta di affiancare ai settori
produttivi esistenti - marcati da un processo inarrestabile di riduzione
degli occupati e di trsferimento in aree in cui il costo del lavoro è
minore - un nuovo settore, operando quelle scelte che ne possano favorire il
decollo, non l'assistenza. In definitiva, per rimanere all'esempio dell'
acqua, nessuno ha visto nella legge 36 un atto di beneficenza! Ma questa
cultura della revisione della qualità dei consumi e delle tecnologie dei
processi produttivi influenzerà - se ben governata - tutti i settori
produttivi e progressivamente inciderà sulla dimensione e sulle
caratteristiche della stessa industria manifatturiera, in particolare sul
suo impatto ambientale.
E' superfluo osservare che non è il mercato che si è dimostrato lo strumento
principale appropriato per guidare questa trasformazione, necessaria, va
ripetuto, non solo per lo sconvolgimento ambientale o "geopolitico", ma
anche per la condizione problematica innescata dal meccanismo
destabilizzante indotto dalla innovazione tecnologica finalizzata alla
riduzione della forza lavoro.
Quanto al nostro paese, questa proposta di "economia della sostenibilità e
dei diritti di cittadinanza" non elimina certo i problemi fondamentali della
sua struttura industriale: la perdita di competitività, l'abbandono
progressivo dei settori di tecnologia avanzata, la scarsa propensione a
sostenere il ruolo della ricerca scientifica. Anzi, discutere i possibili
indirizzi del sistema produttivo può essere molto utile in questo momento in
cui c'è maggiore attenzione al suo rapporto con l'assetto della ricerca
pubblica e privata. E, inoltre, potrà essere interessante valutare uno
scenario - davvero non scontato, anche questo - in cui la piccola impresa
possa giocare un ruolo in un quadro di sviluppo locale orientato alla
sostenibilità. Il nostro paese, infine, appare sede d'elezione perché questa
svolta verso la qualità dia un forte impulso alla valorizzazione delle
risorse locali: dai beni storico-culturali alle produzioni celebrate dell'
artigianato o dell'agricoltura.
Certo, si è ben consapevoli che sarà sempre meno possibile (e neppure
fruttuoso) fare scelte politiche di fondo, di politica economica e sociale,
ed anche di politica ambientale, senza un riferimento molto più stretto e
fecondo con la dimensione europea. E d'altra parte, la problematica di
riorientare investimenti e occupazione dalle attività produttive
tradizionali alla produzione di sostenibilità non nasce certo ora e in
Italia, ma, come abbiamo ricordato con il riferimento al "libro bianco" di
Delors, nasce in Europa e, inoltre, il tema dello sviluppo sostenibile si è
approfondito sino ad occupare spazio crescente negli indirizzi programmatici
dei governi europei e ad essere recepito come elemento caratterizzante dello
sviluppo, come sancito nel preambolo della stessa Carta dei Diritti
fondamentali dell'UE. Per di più è ampio, in Europa, il fronte di quanti
ritengono decisivo, se si vuol procedere alla costruzione dell'Unione,
intrecciare i parametri quantitativi del Patto di stabilità con parametri
qualitativi che caratterizzino l'Europa dei diritti sociali.
Certo, non si può sottovalutare il carattere conflittuale tra questa
impostazione programmatica e posizioni fortemente ispirate al liberismo: è
dunque necessario collegarsi, per portare avanti questi indirizzi, a tutte
quelle forze culturali, sindacali e politiche europee che si muovono all'
insegna della caratterizzazione di un'Europa "sociale e sostenibile".
Ma questo collegamento è oggi necessario innanzi tutto "per pensare", per
confrontarsi con le idee di altri, per aprire gli orizzonti, in una
situazione in cui, se è chiara la necessità del cambiamento, molto meno lo
sono le vie in cui avviarsi.