acqua, e' crisi



da boiler.it  giornale di scienza, innovazione e ambiente                16.03.2003           
 
Acqua, è crisi
 
Al ritmo attuale, oltre la metà della popolazione mondiale non avrà accesso all'acqua potabile entro i prossimi venti anni. Ma già oggi il 30 per cento di essa vive in condizioni di scarsità idrica. Dati allarmanti, che fanno pensare a quella profezia secondo la quale, nel terzo millennio, le guerre si combatteranno per l’acqua, e non per il petrolio.
 
Il declino dell'oro blu
di IVANO BOLLITORE
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AL RITMO ATTUALE, oltre la metà della popolazione mondiale non avrà accesso all'acqua potabile entro i prossimi venti anni. Lo ha annunciato a Tokyo il vicepresidente del World Water Council delle Nazioni Unite, William Cosgrove, nel corso di una conferenza stampa.«Attualmente», ha spiegato Cosgrove, «il 30 per cento della popolazione mondiale vive in condizioni di scarsità di acqua. Se si va avanti a questo ritmo di consumi questa crisi riguarderà nel 2025 almeno la metà della popolazione umana e questo non è sostenibile». Il World Water Council ha organizzato il terzo Forum mondiale dell'acqua che si terrà a Kyoto (Giappone) dal 16 al 23 marzo e dovrà accogliere oltre diecimila delegati tra cui 150 ministri e numerosi capi di stato. Secondo Cosgrove il Forum dovrà segnare il passaggio «dalla discussione alla definizione di un piano d'azione concreto», accompagnato da misure di finanziamento. E quanto si aspettano in molti, in occasione di quello che è stato dichiarato anno internazionale dell'acqua.
 
La classifica delle risorse idriche
 
I numeri della crisi sono contenuti in un rapporto dell'Unesco, pubblicato proprio in occasione del forum mondiale e presentato da Gordon Young, direttore del World Water Assessment Programme. Secondo l'Unesco, nei prossimi 20 anni la quantità di acqua a disposizione di ogni persona si ridurrà del 33 per cento. «Ma già oggi il 20 per cento della popolazione mondiale non ha accesso all'acqua potabile, mentre per il 40 per cento non c'è acqua a sufficienza per le pratiche igieniche e le fognature», spiega Young. La quantità di risorse idriche pro capite è drammaticamente calata a partire dagli anni Settanta e sta continuando a declinare. Ogni anno 2 milioni e 200 mila persone muoiono a causa di malattie legate alla scarsa igiene dell'acqua. Nel 2050, la scarsità di acqua colpirà tra i 2 e i 7 miliardi di persone, su un totale di oltre 9 miliardi.
L'Unesco presenta anche una classifica di 122 paesi sulla base della capacità di fornire le risorse idriche. A sorpresa il peggiore risulta essere il Belgio, dove la scarsa quantità e la poca qualità delle acque di falda è combinata con forti tassi di inquinamento e con un pessimo trattamento delle acque di scarico. Al top della classifica ci sono invece paesi come la Finlandia, la Nuova Zelanda, il Canada, la Gran Bretagna e il Giappone. La ricerca evidenzia anche forti disparità nelle disponibilità idriche tra stato e stato. Un cittadino del Kuwait ha a disposizione circa 10 metri cubi di acqua per persona all'anno, mentre uno della Guyana francese oltre 821.
Poca acqua rischia di scatenare conflitti
 I costi della crisi idrica che si profila saranno particolarmente alti, soprattutto per i paesi del Terzo Mondo. Gli stessi cambiamenti climatici dovrebbero incidere negativamente, con l'accelerazione del ciclo idrico che potrebbe comportare - in poche parole - un aumento degli episodi di inondazione da una parte e la crescita della siccità dall'altra. Previsioni già rese evidenti dalle statistiche. Dal 1971 al 1995, le inondazioni hanno colpito un miliardo e mezzo di persone, 81 milioni delle quali sono state trasformate in senzatetto e 318 mila uccise. È aumentata anche la frequenza di questi disastri. Negli anni Cinquanta erano state sei, sette negli anni Sessanta, otto negli anni Settanta, 18 negli anni Ottanta e 26 negli anni Novanta. Anche la siccità è sempre più diffusa: tra il 1992 e il 2001, circa il 45 per cento delle morti causate dai disastri naturali dipende dalla siccità e dalle conseguenti carestie.
C'è poi il capitolo delle "guerre dell'acqua". Secondo un rapporto scritto da Clare Short del British International Development Secretary e pubblicato dall'Institute for Public Policy Research, la crisi idrica potrebbe scatenare nei prossimi anni molti conflitti: «Se due terzi della popolazione mondiale vivrà nel 2025 in paesi che avranno problemi nell'approvvigionamento di acqua potabile e se non si pone sufficiente attenzione al problema dell'equo accesso all'acqua, questa situazione rischia di diventare esplosiva», ha detto la Short. Un'area che sembra essere particolarmente problematica è quella dell'Eufrate e del Tigri tra Siria e Turchia.
Bisogna cercare in profondità
Così i ricercatori stanno cercando di trovare nuove fonti per questa preziosa sostanza. In particolare l'attenzione si sta concentrando sugli acquiferi ad alta profondità, alcuni dei quali possono contenere acqua vecchia di milioni di anni. Recenti tentativi di disegnare una mappa di questa risorsa, suggeriscono che gli acquiferi potrebbero nascondere acqua sufficiente a sostenere la vita di miliardi di persone per secoli. Ci sono però alcuni problemi. Anzitutto si sa poco dell'impatto ambientale che il pompaggio di quest'acqua potrebbe avere, soprattutto perché, un po' come i giacimenti di petrolio, potrebbero essere fonti esauribili. Poi non ci sono norme internazionali che ne regolino lo sfruttamento. E molte di queste falde di profondità sono divise tra più paesi.
Però, come ricorda Sandra Postel - direttore del Global Water Policy Project - lo sfruttamento che facciamo oggi dell'acqua potabile di laghi e fiumi non è sostenibile nel lungo periodo. E uno dei modi per trovare più acqua è proprio andare nel sottosuolo dove, alla profondità di sette-ottocento metri c'è molta acqua, circa cento volte di più di quella che si trova in superficie. Acqua che, secondo Alice Aureli, a capo dell'United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization's Transboundary Aquifer Project è di qualità superiore a quella di laghi e fiumi.
 
Quanta acqua c'è sulla Terra?
da LANCI
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 LA SUPERFICIE DEL NOSTRO PIANETA è coperta per il 71 per cento di acqua (su 510 milioni di chilometri quadrati di superficie, ben 364 sono occupati dall'acqua, per un volume di 1400 milioni di chilometri cubi). Certo, lo chiamiamo Terra, ma ad uno sguardo "dall'alto" apparirebbe talmente blu che potremmo definirlo il "Pianeta Acqua". E a maggior ragione se pensiamo che la vita, vegetale, animale e umana, è possibile proprio grazie alla presenza di questo elemento. Riusciremmo a sopravvivere alla mancanza di cibo per settimane, ma a quella di acqua solo per pochi giorni.
La quantità
Con una tale abbondanza d'acqua, c'è forse da preoccuparsi?
Bisogna sapere che piú del 97 per cento dell'acqua sul nostro globo (97,2 secondo alcune stime, 97,5 secondo altre) è quella salata contenuta nei mari e negli oceani. Non solo. Piú del due per cento dell'acqua totale è trattenuta nei ghiacciai. Resta quindi disponibile l'un per cento circa: - lo 0,023 per cento nell'atmosfera; - lo 0,748 per cento nelle falde acquifere; - lo 0,008 per cento nelle acque di superficie.
La presenza di acqua dolce
Queste sono le cifre riferite all'acqua presente globalmente sul pianeta. Se ci riferiamo invece alla sola acqua dolce (ossia il 2-2,5 per cento del totale, pari a circa 35 milioni di chilometri cubi) abbiamo la seguente suddivisione: - 68,9 per cento in ghiacciai e nevi perenni; - 29,9 per cento nelle falde sotterranee; - 0,9 per cento dell'umidità suolo/aria; - 0,3 per cento in superficie, di cui la stragrande maggioranza si trova nei laghi. Tale quantità corrisponde allo 0,008 per cento dell'acqua totale del pianeta. Si tratta di un quantitativo irrisorio, distribuito in modo ineguale sulla superficie terrestre. La maggior parte di essa, infatti, (circa l'80 per cento) è concentrata in pochi bacini (il Baikal in Siberia, quelli dei Grandi Laghi nell'America settentrionale, i laghi Tanganika, Vittoria e Malawi in Africa) e nei cinque maggiori sistemi fluviali: il Rio delle Amazzoni, il Gange con il Bramaputra, il Congo, lo Yangtze e l'Orizono.
Dobbiamo allora dedurne che l'acqua dolce presente sul pianeta è troppo esigua?
Per farci un'idea piú precisa della questione, prendiamo in esame lo stato delle risorse idriche a livello mondiale espresse in chilometri cubi (1 chilometri cubi = 1000 miliardi di litri). Ogni anno circa 575.000 chilometri cubi d'acqua scendono sul pianeta sotto forma di pioggia. Di questi, solo 110.000 cadono sulle superfici emerse (il resto "piove sul bagnato"), ma 70.000 evaporano prima di raggiungere il mare. I 40.000 chilometri cubi rimanenti sono potenzialmente disponibili per l'utilizzazione umana. Il consumo mondiale delle risorse idriche si aggira attualmente intorno ai 4.000 Chilometri cubi, cioè il 10 per cento delle disponibilità rinnovabili annuali. Queste cifre possono far credere che l'acqua sia ampiamente disponibile per l'utilizzazione umana (e in effetti l'acqua dolce c'è), ma a uno sguardo più attento risulta evidente che la situazione è di gran lunga più complessa.
La distribuzione
I 40 mila chilometri cubi d'acqua disponibili sono, infatti, ripartiti in modo molto differenziato. Per due terzi quest'acqua si trova sotto forma di flussi violenti (pioggia, corsi d'acqua, ecc.). Restano, in tal modo, disponibili solo 14 mila chilometri cubi d'acqua in forma stabile. Una parte rilevante di questa quantità deve essere lasciata al suo corso, per salvaguardare terre umide, delta fluviali, laghi e corsi d'acqua, oltre che per trasportare e diluire le acque reflue prodotte dalle attività umane (a quest'ultimo scopo ogni hanno vengono impiegati nel mondo seimila chilometri cubi).
Inoltre le acque "stabili", sia superficiali che sotterranee, non sono equamente ripartite sul pianeta; da un'analisi dei volumi d'acqua disponibili ogni anno risulta che l'Asia possiede circa 14.000 chilometri cubi seguita dal Sud America con 13 mila, il Nord America con novemila, l'Africa con quattromila, l'Europa con 3500 e l'Oceania con 2500. Eric Tilman, ingegnere idrologico e esperto di gestione delle risorse in acqua presso la Banca Mondiale afferma: «Globalmente, le risorse rinnovabili di acqua sono ben sufficienti. Il problema è la cattiva ripartizione e la questione della penuria di acqua varia secondo le zone geografiche. Da un lato c'è il Canada che dispone di risorse quasi illimitate di acqua di buona qualità: cento volte superiore per abitante a quelle dell'Egitto. Poi ci sono Yemen e Israele che hanno bassissime risorse. Per migliorare il loro accesso sono necessari dispositivi costosi per la perforazione nel terreno e il pompaggio».
Problemi di accesso
Va anche osservato che fra "disponibilità" e "accesso" all'acqua non esiste necessariamente una relazione diretta. Per esempio, in Brasile e Zaire dove c'è una gran quantità d'acqua, molta parte della popolazione non ha accesso all'acqua potabile. Il caso contrario si verifica in California dove, nonostante la penuria d'acqua, si registra un utilizzo pro capite di circa quattromila litri al giorno.
Insomma, la disuniforme ripartizione dell'acqua sul pianeta, per tipo, zone geografiche di presenza, possibilità di accesso e consumo effettivo, determina una situazione idrica particolarmente complessa e decisamente sempre più grave. Basti pensare che dal 1950 al 1995 la quantità d'acqua dolce disponibile pro capite è diminuita da 17 mila a 7500 metri cubi. Si può vedere quanto sia diminuita la disponibilità idrica per abitante dal 1950 al 1980. Si noti, in particolare, la diminuzione delle disponibilità in Africa e in America latina.
 
Quei conflitti "nascosti"
di IVANO BOLLITORE
 
«NEL 1995 ISMAIL SERAGELDIN, vicepresidente della Banca mondiale, fece una previsione sulle guerre del futuro che ha avuto grande risonanza: «Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l'acqua». Molti segnali fanno pensare che Serageldin abbia ragione. Le prime pagine di quotidiani, riviste e pubblicazioni accademiche parlano di insufficienza idrica in Israele, India, Cina, Bolivia, Canada, Messico, Ghana e Stati Uniti. Il 16 aprile 2001 il New York Times apriva con un articolo sulla scarsità idrica in Texas. Come Serageldin, il quotidiano annunciava: «Per il Texas, oggi, l'oro liquido è l'acqua, non il petrolio». Se è vero che il New York Times e Serageldin hanno ragione sull'importanza dell'acqua nei conflitti di domani, è anche vero che le guerre dell'acqua non sono un'eventualità futura. Ne siamo già circondati, anche se non sempre sono immediatamente riconoscibili come tali».
Questa citazione dal nuovo libro di Vandana Shiva, una nota scienziata e ambientalista indiana, introduce una delle realtà più misconosciute del pianeta. Abituati a pensare che la crisi idrica, e i conflitti che quasi inevitabilmente ne deriveranno, siano una eventualità futura, non siamo in grado di riconoscere quanto il problema dell'accesso all'acqua - la vera risorsa "vitale", visto che senza di essa non sarebbe stata possibile la vita su questo pianeta - sia attuale. E con esso i conflitti armati. Sono al tempo stesso guerre di paradigmi - conflitti su come percepiamo e viviamo l'esperienza dell'acqua - e guerre tradizionali combattute con armi da fuoco e granate, sostiene la Shiva. Secondo la quale questi scontri fra culture dell'acqua si stanno verificando in ogni società.
«Guerre paradigmatiche sull'acqua», scrive la scienziata indiana, «sono in corso in ogni società, in Oriente come in Occidente, a Nord come a Sud. In questo senso quelle dell'acqua sono guerre globali, in cui culture ed ecosistemi diversi, accomunati dall'etica universale dell'acqua come necessità ecologica, sono contrapposti a una cultura imprenditoriale fatta di privatizzazione, avidità e appropriazione di quel bene comune. Su un fronte di queste contese ecologiche, di queste guerre paradigmatiche, si trovano milioni di specie e miliardi di persone che chiedono quel minimo di acqua necessaria al sostentamento. Sul fronte opposto c'è una manciata di imprese globali, dominate da Suez Lyonnaise des Eaux, Vivendi Environment e Bechtel, e sostenute da istituzioni globali quali la Banca mondiale, la World Trade Organization (Wto), il Fondo monetario internazionale (Fmi) e i governi del G7».
Accanto a queste guerre di paradigma ci sono le guerre vere e proprie, conflitti per l'acqua che si combattono a livello regionale, o all'interno dello stesso paese o della stessa comunità: «Che si tratti del Punjab o della Palestina, spesso la violenza politica nasce dalla contesa sulle scarse ma vitali risorse idriche. In alcuni conflitti il ruolo dell'acqua è esplicito, come nel caso della Siria e della Turchia, dell'Egitto e dell'Etiopia. Ma molti conflitti politici sulle risorse sono celati o repressi. Chi controlla il potere preferisce far passare le guerre dell'acqua per conflitti etnici e religiosi». Si tratta di coperture facili perché le regioni lungo i fiumi sono abitate da società pluralistiche che presentano una grande diversificazione di etnie, lingue e usanze. Per esempio, nel Punjab una delle ragioni del conflitto che negli anni Ottanta ha provocato oltre quindicimila morti è stata il continuo disaccordo sulla spartizione delle acque del fiume. Poi gli eccidi e gli scontri sono stati attribuiti alla rivolta sikh. «Queste rappresentazioni fuorvianti delle guerre», sostiene la Shiva, «svuotano di energia politica la ricerca di soluzioni eque e sostenibili ....