reddito minimo cancellato in finanziaria



     
 
il manifesto - 09 Febbraio 2003 
 
 
Reddito minimo cancellato dalla finanziaria 
La finanziaria cancella anche la via sperimentale all'inserimento. Le
regioni più povere restano completamente a secco, quelle ricche potrebbero
trovare qualche palliativo. Ma non è detto
FRANCESCO PAOLINI
Neanche le briciole ci saranno per coloro che, il prossimo anno, si
troveranno con redditi al di sotto di 269 euro. Dopo la beffa delle
pensioni minime ad un milione, la Finanziaria cancella anche il Reddito
minimo di inserimento (Rmi). Nulla da fare per le 165 mila persone che
attualmente percepiscono la misura. Il sottosegretario al welfare Pasquale
Viespoli ha dichiarato: «Il Rmi ha esaurito la sua funzione. Si tratta di
vedere come traghettare i comuni dal vecchio al nuovo». In realtà, l'ultima
novità è che il Rmi sopravviverà per altri sei mesi, ma il nodo è sui
fondi: per il ministero bisogna fare a metà. Lo stato dovrebbe sborsare 35
milioni di euro ed altrettanto i comuni attraverso un fondo sociale ad hoc
presso le regioni. Sarebbe una soluzione ponte per traghettare i comuni
verso un nuovo strumento: quel reddito di ultima istanza disegnato dalla
delega di riforma degli ammortizzatori sociali e non ancora decollato nè
definito. Intanto la povertà dei minori aumenta, mentre aumentano anche i
lavoratori poveri. Per il 2002 l'Istat stima 2.707.000 famiglie in
condizione di povertà relativa, che nel Mezzogiorno riguarda il 25% della
popolazione, e 954 mila nuclei familiari in condizioni di povertà assoluta
(rispettivamente il 12,3% del totale ed il 4,3%).

A livello nazionale esistono misure di garanzia solo per gli anziani e i
disabili. A queste si aggiungono, poi, l'assegno al nucleo familiare per le
famiglie di lavoratori dipendenti poveri e l'assegno per i nuclei poveri
con almeno tre figli minori. Per tutti gli altri casi, l'esistenza di
misure di sostegno è lasciata alle decisioni locali, con esiti di
frammentazione e disomogeneità.

Attraverso l'Rmi l'Italia aveva applicato, sia pure a titolo sperimentale,
una misura di sostegno ai redditi bassi, già presente in tutti i paesi
dell'Unione europea (mano la Grecia). Si era riconosciuto il ruolo delle
misure di garanzia del reddito nell'ottica di un generale ripensamento del
welfare, partendo dal presupposto che per risolvere il problema del lavoro
possa essere necessario risolvere prima i problemi della povertà economica
con adeguati sostegni di reddito e quelli dell'emarginazione sociale con
incisive azioni di inserimento. L'Rmi non è stato concepito come un
sostituto dell'indennità di disoccupazione. E non basta essere disoccupati
per avervi diritto. Bisogna essere poveri. Di più, la soglia è bassa: una
persona che vive sola e ha un reddito di 269 euro mensili ne è esclusa.

Il governo Berlusconi, tuttavia, ha preso un'altra strada da tempo. Già la
scorsa estate il «Patto per l'Italia» spiegava che data l'impossibilità di
individuare i soggetti aventi diritto, l'Rmi potrà sopravvivere solo come
programma regionale, co-finanziato in misura minore dal Fondo nazionale per
le politiche sociali. Tradotto: solo le regioni più ricche potranno
introdurre un loro Rmi. Quelle del Sud, dove risiedono due poveri su tre,
dovranno stare a guardare, date le loro basse capacità impositive. La
delega al livello locale di uno strumento come l'Rmi, senza definire
criteri, standard, diritti e doveri minimi a livello nazionale, produce una
forte discrezionalità, e quindi anche l'indebolimento di condizioni di
cittadinanza comuni. E' da questa discrezionalità e categorialità dei
trattamenti, e non da una peraltro inesistente generosità dei sostegni, che
deriva l'assistenzialismo spesso imputato allo stato sociale italiano.



La sperimentazione del Rmi:

elementi emersi dalla valutazione

Il cofinanziamento stato-regioni prospettato dal governo può risolvere le
criticità emerse?

Per rispondere a queste domande costituisce un'utile base il Rapporto di
valutazione (Cles, Irs, Zancan, 2001), che riguarda i 39 comuni della prima
fase, e mai reso pubblico dal governo. Il ministro per la solidarietà
sociale avrebbe dovuto presentarlo al Parlamento entro il 31 giugno dello
scorso anno. Ad oggi non si è ancora svolto il dibattito parlamentare. La
nota dolente riguarda la gestione dei programmi di inserimento. Il punto è
che per decreto il finanziamento e la gestione stessa sono affidati ai
comuni. Considerando che gli enti locali sono stati selezionati seguendo il
principio della forte concentrazione di bisogni, e non di risorse
finanziarie e professionali, il risultato appare prevedibile.

Alcuni aspetti salienti che emergono dall'analisi.

Primo: il contesto locale ha influenzato notevolmente l'andamento della
sperimentazione, anche perchè i comuni hanno dovuto accollarsi il
finanziamento dei programmi. In particolare, appare rilevante la
collocazione della sperimentazione nel centro-nord. Resta il fatto che in
34 casi su 38 l'Rmi ha prodotto cambiamenti nell'organizzazione locale e in
altri 23 ha promosso il settore socio-assistenziale.

Secondo: la qualità dei progetti di inserimento non sembra aver influenzato
la possibilità di uscire dal bisogno di ricevere l'Rmi. In effetti, il
numero di dimessi supera quello degli inseriti in ben dodici comuni ed in
altrettanti non è stata finanziata la gestione dei programmi. In questo
senso, le amministrazioni, soprattutto nel Mezzogiorno, sono state per lo
più incapaci di fornire e di monitorare efficacemente questi servizi di
«attivazione».

Terzo: tanto più numerosi risultano i soggetti beneficiari dell'Rmi sul
totale della popolazione residente, tanto più difficile è stato uscire dal
bisogno di ricevere l'Rmi stesso. Il che denota la difficoltà da parte
degli enti locali di proporre efficaci programmi a fronte di una domanda
sociale elevata.

Implicazioni nel rapporto fra amministrazioni centrali e periferiche

Secondo questa analisi i due aspetti più innovativi, in pratica l'idea
dell'inserimento come integrazione al versamento di un'indennità minima e
la ricerca di un'articolazione fra intervento dello Stato e quello delle
collettività locali, hanno fornito risultati contraddittori. I comuni hanno
spesso proposto programmi modesti sia in termini quantitativi, sia
qualitativi. Per questo essi sono scarsamente correlati al tasso di uscita
dal bisogno di ricevere l'Rmi. Diversamente, nelle realtà locali dove i
progetti sono stati finanziati adeguatamente ed organizzati efficacemente
hanno mostrato un'influenza diretta sulla possibilità di uscire dalla
condizione di bisogno. Per questi motivi appare indispensabile finanziare
centralmente uno strumento come l'Rmi. Innanzi tutto per la sua complessità
e per garantire l'accesso ai diritti fondamentali, come quelli al reddito
ed all'inserimento. Viceversa, trasferire la gestione dei programmi dai
comuni alle regioni, come proposto dal governo, è un palliativo, che sposta
il nodo senza risolverlo. Che sia un ulteriore esempio di pericolosa
devolution? 

 
 
CHE COSA È L'RMI 
Il Reddito Minimo di Inserimento nasce nel `98 in 39 comuni (24 del Sud) e
poi è esteso nel 2000 ad altri 267. La prima fase ha coinvolto 34mila
famiglie e 85mila individui, il 6,5% della popolazione residente nei comuni
selezionati. L'Rmi è una misura di contrasto della povertà e
dell'esclusione sociale, che agisce sostenendo le condizioni economiche e
sociali delle persone esposte al rischio della marginalità sociale ed
impossibilitate a provvedere per cause psichiche, fisiche e sociali al
mantenimento proprio e dei figli. L'Rmi consiste in un duplice intervento:
fornisce trasferimenti monetari integrativi e programmi di reinserimento
personalizzati, destinati a favorire l'integrazione sociale dei soggetti
destinatari. In particolare, nel caso di un adulto solo, senza figli, il
Rmi copre la differenza fra 269 euro ed il reddito individuale (laddove il
25% del reddito da lavoro è però escluso dal computo). I programmi di
reinserimento sono progetti che spaziano dall'intervento di tipo
occupazionale a quello di cura e sostegno familiare, da quello
formativo/scolastico a quello di integrazione socio/relazionale.