in arrivo una nanorivoluzione



dal sole24ore   

   
 
                                  
 
Martedì 18 Febbraio 2003 
 
 È in arrivo una grande nanorivoluzione
  
   DAL NOSTRO INVIATO PALO ALTO - Allacciatevi le cinture, si parte. Il
viaggio verso i confini più remoti della natura, non nelle insondabili
infinità dello spazio, ma nelle più prossime e invisibili dimensioni della
materia, è cominciato. Le parole del premio Nobel Richard Feynman - «C'è un
sacco di spazio verso il basso», titolo letterale di un suo celebre
discorso tenuto al Caltech nel 1959 - non risuonano più come le bizzarre
profezie di un genio della fisica moderna. Si stima che l'anno scorso siano
stati investiti nel mondo, nella sola ricerca nanotecnologica, 2,5 miliardi
di dollari, con una crescita prevista per quest'anno nell'ordine del 20%.
All'ufficio brevetti americano ci vogliono ormai 18 mesi (il triplo del
normale ) per ottenere risposta a una domanda di registrazione: le
richieste sono troppe e gli esaminatori specializzati scarseggiano.
Rivoluzione «nano». Nelle Borse Usa ci sono già nove aziende quotate con il
suffisso "nano" nel nome, anche se il sito Nanoinvestornews.com elenca
oltre 500 società di tutto il mondo - celebri come Motorola e Siemens,
oppure emerite sconosciute - che stanno riversando risorse e attenzioni
nella ricerca, giù per i confini del nanomondo. Un mondo che comincia,
secondo una convenzione largamente accettata, sotto i 100 nanometri. Ovvero
sotto i 100 miliardesimi di metro, a una distanza dove la frequenza della
luce visibile - al contrario di quanto avviene con le stelle - non arriva a
illuminare il cammino degli esseri umani: coi microscopi si può vedere il
micromondo, non il nanomondo. «Non mi aspetto che la nanotecnologia si
evolva in un'industria a se stante - commenta Ed Niehaus, della società di
consulenza Niehaus Ryan Wong - ma in nuovo ingrediente, un nuovo approccio
destinato a rivoluzionare l'elettronica, la medicina e, gradualmente, un
po' tutti i settori industriali». Molto gradualmente, però. Le migliori
promesse del nanomondo gravitano attorno a delle idee, come quelle della
manifattura molecolate preconizzata da Feynman e teorizzata più avanti dal
collega Eric Drexler, che non richiedono una sola scoperta scientifica, ma
decine. Forse centinaia. «Le aziende del settore - osserva ancora Niehaus -
possono essere divise in tre categorie: quelle che hanno già i primi
prodotti sul mercato, quelle che sperano di avere un fatturato nel giro di
qualche anno e infine quelle che perseguono sentieri scientifici totalmente
inesplorati e che potrebbero non incassare mai un solo dollaro». Moda
recente. Che la nanotecnologia sia (o stia per diventare) una moda, è
testimoniato dall'ultimo libro di Michael Crichton, Preda, dove - secondo
il collaudato schema di Jurassic Park - si narra di un nanorobot volante
fuggito da un laboratorio di ricerca e poi moltiplicatosi in uno sciame di
invisibili insetti meccanici che semina il terrore dove passa. «È vero -
ammette Bo Varga, presidente di Nanosig, un istituto per la promozione
della nuova scienza ospitato presso i laboratori della Nasa nella Silicon
Valley - che il nanotech sta diventando una moda, tutti ne parlano. Ma non
è neppure fantascienza: un gran numero di prodotti fabbricati su nanoscala
è già arrivato o sta per arrivare». Gli esempi. Varga snocciola un po' di
esempi. Forse è un po' troppo peculiare quello della Estée Lauder, il
colosso della cosmetica che già da tempo ha sviluppato una tecnologia a
colpi di laser e scosse elettriche per creare delle cavità nanometriche in
alcuni prodotti, al fine di aumentarne le proprietà. Ma più concretamente
la Nanotex sta fabbricando tessuti che, con un particolare trattamento,
sviluppano delle "nanomolle" che respingono le molecole di qualsiasi
liquido: in poche parole, quei tessuti (attualmente adottati nelle sale
operatorie) non si sporcano mai. E intanto General Motors ha già montato su
alcuni modelli sportivi dei componenti costruiti con nanomateriali che
risultano più duraturi e più resistenti. «A conti fatti - osserva Steve
Crosby, direttore di «Small Times», una pubblicazione dedicata al mondo del
piccolissimo - le applicazioni sul mercato riguardano tutte la scienza dei
nuovi materiali». Il che è vero, anche se il futuro prossimo dei
nanomateriali è già abbastanza interessante. «La Nanosys - racconta Varga -
si è alleata con la giapponese Matsushita per sviluppare una sorta di
nanovernice che, spalmata sui tetti, sarebbe in grado di convertire
l'energia solare in elettricità, con straordinaria efficienza». Pare che ci
vorranno almeno altri cinque anni per concretizzare il progetto, ma le due
aziende devono fare presto: al Mit e a Berkeley stanno già sperimentando
nanotecnologie capaci di ottenere alti livelli di conversione energetica.
«Più vicina alla commercializzazione è invece la Optiva - racconta ancora
Varga - che ha trovato un nuovo nanosistema per produrre gli strati
polarizzati degli schermi a cristalli liquidi con costi ridicoli: se si
pensa che gli attuali strumenti di polarizzazione rappresentano il 40% del
costo di un computer portatile, si può capire il potenziale successo di
questa tecnologia». «Le occasione di investimento abbondano - ammette
Pierluigi Zappacosta, l'italiano che ha fondato la Logitech e che è rimasto
in California a fare il business angel in privato - i rischi sono elevati,
ma le potenzialità di queste future tecnologie sono inimmaginabili». Anche
i prefissi "nano" abbondano. Ed è assai facile che si moltiplichino come i
nanorobot immaginati da Crichton (che entro un paio di anni saranno
protagonisti, manco a dirlo, di un nuovo film). Ci sono i nanoswitch della
Niophotonics (destinati ad aumentare la capacità di trasmissione dati), i
nanocircuiti elettronici (che il Parc di Palo Alto spera di poter spalmare
sulla carta o sui tessuti), o le nanomacchine basate su proteine progettate
dall'università del New Jersey per applicazioni spaziali. Per non parlare
dei nanotubi di carbonio, caratterizzati da grande resistenza e da
peculiari capacità elettriche, ormai prodotti da almeno una trentina di
società di tutto il mondo. «Talmente tante - osserva Niehaus - che i prezzi
di produzione precipiteranno e molte saranno costrette a chiudere». La
concorrenza incalza. Se gli Stati Uniti (anche grazie ai fondi stanziati
dal Congresso ai tempi di Clinton) restano in prima linea, l'Unione Europea
non sta a guardare. Ma soprattutto non stanno a guardare giapponesi e
cinesi. Al punto che la comunità della Silicon Valley, sempre orgogliosa
del primato tecnologico che ha goduto negli ultimi vent'anni, comincia a
temere per la propria reputazione. Non basta che la Intel sia pronta a
commercializzare quest'anno il primo chip da 90 nanometri, o che la Hp
abbia annunciato lo sviluppo delle prime nanomemorie di massa. «I soldi e
le iniziative non mancano - dice Varga - ma questa nuova corsa all'oro su
scala globale rischia di creare un difficile clima di concorrenza: per
assoldare un chimico da queste parti ci vogliono 120mila dollari all'anno.
In Cina (dove vengono già investiti in ricerca 250 milioni di dollari in
ricerca) ne bastano 6mila». Per parlare di nanotecnologia non bisogna
soltanto misurare il mondo in miliardesimi di metro, ma - secondo una
definizione recentemente coniata dalla Ibm - c'è bisogno anche di
innovazioni che rompano radicalmente con le visioni e le concezioni del
passato. «Sulla definizione c'è un dibattito in corso - ammette Varga - ma
tutte le tecnologie a cui ho accennato hanno una caratteristica in comune:
una volta spesati gli alti costi di ricerca, il costo unitario di
produzione è basso, anche quando la produzione è su volumi ridotti. Sotto
quest'ottica, il mondo fisico si avvicina fatalmente a quello digitale,
dove la replica di un file ha costi marginali vicini allo zero». Il futuro
deve ancora arrivare. Ma forse forse, è già cominciato. MARCO MAGRINI