il rombo dell'idrogeno



da lanuovaecologia.it

     
 
Lunedì 10 Febbraio 2003  
Il rombo dell'idrogeno 
 

Auto a idrogeno al distributore Torna in voga il più leggero dei gas.
Un'alternativa ai combustibili fossili trascurata per decenni. Ora però si
moltiplicano i prototipi. E i malintesi

L'Europa rinnovabile
 
 
 
di Emanuele Scoppola

Respira idrogeno il futuro della mobilità pulita e sostenibile. Continuano
a moltiplicarsi i prototipi di automobili alimentate dal più leggero dei
gas. Con linee avveniristiche, come per la Fine-S Toyota, la Hy-wire
General Motors e la Peugeot H2o, oppure su modelli già diffusi, come la
Opel Zafira o la Mercedes classe  
 
Autobus ad idrogeno 
A. Intanto prosegue, anche in Italia, la sperimentazione per l'utilizzo
delle celle a combustibile sugli autobus per il trasporto pubblico e sempre
più spesso, nei motorshow o sulle riviste del settore, l'idrogeno viene
presentato come la soluzione ottimale per risolvere il problema smog ed
effetto serra.

Eppure l'utilizzo in autotrazione della tecnologia"fuel cell", che rende
possibile la conversione dell'idrogeno in energia elettrica, non è una
novità. Già nel 1961 lo scienziato austriaco Karl Kordesch, trasferitosi in
una cittadina dell'Ohio, negli Stati Uniti, montò un motore elettrico
alimentato da celle a combustibile su una vecchia Austin A-40 che aveva
fuso il motore. Con sei bombole da sub montate sul tetto la macchina di
Kordesch poteva percorrere 300 chilometri a 80 chilometri all'ora con un
rifornimento di idrogeno effettuato in circa due minuti. E soprattutto, non
inquinava.

Negli anni successivi gli studi sulle celle a combustibile continuarono in
diversi paesi. L'ingegnere inglese Francis Bacon (discendente del più noto
e omonimo scienziato e filosofo del Seicento) progettò e brevettò celle
pressurizzate tanto efficienti che  
 
Hy-wire, il futuro è l'idrogeno 
furono utilizzate per la produzione di elettricità nelle spedizioni Nasa
dell'Apollo e, più tardi, dello Space Shuttle. Anche per i trasporti su
ruote furono realizzati eccellenti veicoli a idrogeno, dal primo pulmino
della Daimler Benz del 1975 fino alla nuova ondata dei modelli più recenti
aperta dalla Necar 2, ancora Daimler-Benz, presentata a Berlino nel maggio
1996, la Fcev della Toyota, presentata a Osaka nell'ottobre dello stesso
anno. Mentre la Bmw, con la sua berlina 750hl, ha puntato sulla soluzione
poco innovativa di bruciare idrogeno in un normale e meno efficiente motore
a scoppio.

Se dunque l'utilizzo dell'idrogeno si è dimostrato sicuro, efficiente e
pulito, perché si continuano a utilizzare gli idrocarburi che inquinano e
surriscaldano l'atmosfera? Il giornalista scientifico americano Peter
Hoffmann, che ha lavorato per anni in tutto il mondo sull'argomento e di
recente ha pubblicato uno studio approfondito (L'era dell'idrogeno. Energia
per un pianeta più pulito, edito dalla Franco Muzzio) nota che restano da
risolvere alcuni problemi tecnologici per rendere meno costoso produrre in
modo pulito, gestire e immagazzinare l'idrogeno. «Ma vanno compresi una
serie di fattori complessi  
 
Hy-wire, il prototipo di GM 
e interdipendenti – aggiunge Hoffmann – Uno di questi è che finché vi erano
ancora ampie risorse petrolifere e di gas naturale e fintanto che le
preoccupazioni ambientali erano espresse soltanto da una piccola minoranza,
non vi è stato un significativo impiego dell'idrogeno».

Un problema doppiamente grave se si considera che le soluzioni basate
sull'uso dell'idrogeno non riguardano solo il sistema dei trasporti. Oltre
al carburante che brucia nei cilindri degli autoveicoli, i combustibili di
origine fossile sono utilizzati anche per la produzione di calore e di
elettricità. Nel suo ultimo lavoro Economia all'idrogeno (Mondadori),
l'economista Jeremy Rifkin sostiene che l'utilizzo delle celle a
combustibile possa essere l'elemento chiave per la transizione al nuovo
modello della generazione distribuita, in cui l'energia elettrica non viene
prodotta dalle megacentrali bensì capillarmente, in molti piccoli impianti
interconnessi da una rete informatica che permetteranno di sfruttare il
calore refluo prodotto inevitabilmente nella generazione termoelettrica per
riscaldare la struttura o generare ulteriore energia. «Un passaggio
generalizzato dalla generazione centralizzata alimentata  
 
Interni dell'Hy-wire 
a combustibili fossili – spiega Rifkin – a una rete di generazione
distribuita alimentata da celle a combustibile a idrogeno – soprattutto nel
caso in cui l'idrogeno venisse prodotto utilizzando energia solare, eolica,
idroelettrica o geotermica – potrebbe drasticamente ridurre le emissioni di
CO2».

Il richiamo alle fonti rinnovabili è particolarmente importante: sebbene
sia abbondantemente presente in natura, l'idrogeno non si trova sulla Terra
in forma libera. Va dunque prodotto e non è una "fonte" energetica.
Il metodo attualmente più economico per isolare l'idrogeno, destinato
principalmente all'industria chimica, per la raffinazione del petrolio e
per sintetizzare fertilizzanti, è quello di estrarlo dal gas naturale con
un processo detto "steam reforming". Questo libera però, come
sottoprodotto, l'anidride carbonica e dunque non risolve la questione delle
alterazioni climatiche. Alcuni scienziati hanno ipotizzato di poter ovviare
all'inconveniente isolando la C02 prodotta dallo steam reforming e
"sotterrandola", per iniettarla ad esempio nei giacimenti petroliferi
esauriti. Ma un processo del genere comporta al momento troppe incognite di
carattere ambientale e tecnico, oltre che  
 
Interni dell'Hy-wire 
economico.

Un altro sistema per produrre idrogeno è a partire dall'acqua, separandolo
dall'ossigeno con l'elettrolisi, consumando energia elettrica. Si tratta
del processo inverso a quello che avviene nella cella a combustibile ed è
indubbiamente il sistema più pulito, a patto però che l'elettricità in
questione sia stata prodotta da fonti rinnovabili. 
«Le rinnovabili, come l'eolico o il solare fotovoltaico, le biomasse o
idroelettrico, sono effettivamente "fonti" pulite – spiega l'ingegner
Alexei Sorokin, consulente energetico internazionale e membro del comitato
scientifico di Legambiente – in quanto generate, più o meno direttamente,
dal sole. Ma proprio per questo possono soffrire di discontinuità: il
solare, ad esempio, di notte non funziona, mentre l'eolico dipende dalla
presenza del vento. L'utilizzo di un vettore come l'idrogeno – continua
Sorokin – che permette di immagazzinare l'energia pulita delle rinnovabili
e di utilizzarla poi, quando serve, senza produrre emissioni nocive
all'ambiente e al clima, è il loro complemento ideale. Ma è necessario che
insieme alla ricerca sull'idrogeno continuino anche gli investimenti sulle
fonte rinnovabili».