inflazione costi e soluzioni



       

Da l'Unità del 04.01.2003 
   
  Inflazione, Berlusconi quanto ci costi
di Ferdinando Targetti

Molto si discute sul valore reale dell’inflazione in Italia: due e mezzo
per l’Istat e un valore molto più alto per altri rilevatori indipendenti
del costo della vita come l’Eurispes. Non vorrei soffermarmi sulle modalità
di calcolo dell’inflazione, ma sulle cause della stessa e in particolare
sulla relazione euro-inflazione. Le cause dell’inflazione sono molteplici:
vi sono ragioni interne e ragioni esterne.
Le principali cause esterne sono date dall’aumento dei prezzi in dollari
delle materie prime, tra cui il petrolio, e dell’aumento del prezzo del
dollaro rispetto alla moneta in cui si misura l’inflazione. Negli ultimi
mesi su questo terreno si sono verificati due fenomeni di segno opposto: in
un anno il prezzo del petrolio in dollari, a motivo della crisi irachena, è
aumento del 57%; di segno contrario l’andamento del dollaro, che si è
svalutato rispetto all’euro. L’euro comincia ad entrare infatti nei
portafogli dei risparmatori internazionali e delle banche centrali come
valuta di riserva e come valuta detenuta per scopi precauzionali in momenti
di incertezza o quando spirano venti di guerra, caratteristica che prima
aveva solo il dollaro e in minor misura il franco svizzero. Quindi la prima
considerazione da fare è che, grazie all’euro, abbiamo importato meno
inflazione di quella che avremmo importato se si fosse rimasti con la lira.
Circa le cause interne conviene suddividere le componenti del prezzo in più
fattori e poi cercare di dar conto del motivo per cui uno o più di questi
fattori crescono nel tempo. Il costo di produzione di una merce è dato dal
costo delle materie prime più il costo del lavoro. Delle materie prime
estere abbiamo già detto. Circa i salari, essi sono cresciuti nell’ultimo
anno all’incirca quanto la crescita della produttività del lavoro, mentre i
prezzi dei prodotti finiti sono aumentati: quindi non sono i salari a
causare l’aumento del costo della vita. Oltre al costo di produzione va
considerato il costo della distribuzione che per i servizi significa la
gran parte del costo complessivo. Sia il costo di produzione, sia quello di
distribuzione sono maggiorati da un margine di profitto, che è tanto
maggiore quanto maggiore è il grado di monopolio del produttore e del
distributore e quanto minore la pressione della concorrenza. Una gran parte
delle merci è prodotta in condizioni di concorrenza, soprattutto grazie
all’apertura dei mercati e all’esistenza dell’euro, non così dicasi per i
servizi, molti dei quali sono offerti da settori che non subiscono la
concorrenza internazionale.
La ragione principale dell’inflazione italiana risiede nella bassa
concorrenza e quindi nell’elevato grado di monopolio del settore dei
servizi e della distribuzione. Il cambio della lira in euro non è stato la
causa, ma l’occasione per poter sfruttare l’elevato grado di monopolio da
parte dei settori non esposti alla concorrenza. In effetti se si prendono
le voci che hanno subito un maggiore incremento dall’introduzione dell’euro
ad oggi sono quelle alimentari, alberghi e ristoranti e alcune tariffe tra
cui quelle assicurative in particolare, mentre tra queste non si ritrovano
certo le automobili o i personal computer merci prodotti in settori nel
quale vige la concorrenza internazionale. Ora se la causa dell’inflazione
fosse l’euro l’aumento dei prezzi si sarebbe verificato in tutti i settori,
così come quando l’inflazione italiana degli anni Settanta era causata
dalla svalutazione della lira: ma così non è. Un pasto al ristorante che
costava 40mila lire spesso oggi costa circa 40 euro. Un automobile che
costava 40 milioni oggi costa circa 20mila euro. 
Un’altra semplice dimostrazione del fatto che l’inflazione ha cause interne
si può dedurre dalla considerazione che essa è differente nei vari paesi
europei che hanno adottato la moneta unica, mentre se la causa
dell’inflazione fosse l’euro l’inflazione sarebbe uguale in tutti i paesi
che l’hanno adottato.
Far chiarezza sulle cause porta al liberare il campo da recriminazioni
assurde e infondate sulle responsabilità dell’euro nell’attuale inflazione
italiana: è vero esattamente il contrario. Se non ci fosse avremo una
preoccupante e stabile inflazione importata. L’aumento dei prezzi che si è
invece verificato è destinato a non perpetuarsi nel tempo perché i settori
a bassa concorrenza hanno sfruttato il cambio della moneta che è un
fenomeno una tantum. Questo aumento, anche se limitato nel tempo, ha
comunque prodotto un trasferimento di reddito dalle famiglie e soprattutto
da quelle dei lavoratori dipendenti a favore dei produttori di settore non
esposti alla concorrenza.
Il rimedio principale sarebbe dovuto consistere (uso il condizionale
passato perché, come dicevo, ormai la maggior parte del danno è stato
compiuto) nel monitorare i settori distributivi con un apparato di
controllo che il governo di centrosinistra si era apprezzato ad allestire e
che il governo di centrodestra non ha reso funzionante. 
Il problema più rilevante che si pone ora riguarda il rinnovo dei
contratti. L’inflazione ha eroso i salari reali e adeguare l’inflazione
programmata a quella effettiva significa far recuperare potere d’acquisto a
salari che l’hanno perso. La perdita è stata poi aggravata
dall’eliminazione che il governo ha compiuto nella compensazione per la
perdita fiscale dell’inflazione (fiscal drag). Il costo dell’adeguamento
graverebbe però in gran parte sulle spalle dei settori concorrenziali in
termini di riduzione dei profitti. Questo onere nel breve periodo potrebbe
essere sopportato, mentre nel lungo periodo la strada da battere non può
che essere quella di dare vita ad un ventaglio di misure, anche
legislative, per rafforzare la concorrenza nei settori in cui essa è debole.