economia e guerra supertecnologica



dal corriere.it

 
  
 
  
 Venerdì 6 Dicembre 2002 
 
 
 
Un patto italo-inglese?

 
Lo strano affare della guerra super-tecnologica


La notizia è ghiotta: in uno dei pochi settori industriali d’avanguardia in
cui l’Italia ha ancora una presenza industriale significativa -
l’elettronica per la difesa - la Finmeccanica sta per siglare un accordo
paritetico con gli inglesi della British Aerospace (Bae). Le anticipazioni
comparse ieri sul Foglio e su MF delineano uno scenario interessante - la
nascita di Eurosystems, un grande polo italo-britannico, leader in Europa e
interlocutore privilegiato degli americani nel settore della cosiddetta
guerra elettronica, che utilizza tutte le tecnologie più avanzate oggi
disponibili - ma fanno anche sorgere alcuni dubbi. Il principale riguarda
l’effettiva pariteticità della joint venture con la Bae che non è affatto
garantita dai documenti preparatori fin qui siglati. Un altro dubbio
concerne la reale capacità degli europei di accostarsi alle tecnologie
della network war : è evidente che aerei tradizionali, carri armati e
cannoni hanno fatto il loro tempo e che il futuro sarà delle tecnologie di
controllo informatico del campo di battaglia, degli aerei «invisibili» e
senza pilota, delle contromisure elettroniche. Ma siccome in questi campi
le imprese Usa sono avanti anni luce rispetto a quelle europee, l’effettiva
possibilità per queste ultime di progredire in fretta passa per la
disponibilità americana a rendere la sua tecnologia accessibile agli
alleati. E su questo i segnali sono stati fin qui tutti negativi. Il terzo
dubbio riguarda i livelli decisionali di una scelta che tocca vari
interessi: quelli degli azionisti privati di Finmeccanica, quello dello
Stato-Tesoro in quanto azionista di maggioranza relativa della società (e
detentore della golden share ) e quelli del governo in quanto tale, visto
che un accordo italo-britannico «benedetto» da Washington che taglia fuori
francesi e tedeschi avrebbe il suo peso sulla politica estera e sulla
strategia di difesa del nostro Paese. Orientarsi in un «business» gestito
in un clima di grande riserbo, giustificato dalle implicazioni relative
alla sicurezza nazionale, non è facile. Ma forse vale la pena di partire
proprio da questa «segretezza» che è comprensibile ma solo in parte. Non
fino al punto di tenere l’azionista di maggioranza, il Tesoro, all’oscuro
della definizione di un’ipotesi di accordo. A quanto pare, infatti, la
«pratica» è arrivata sul tavolo di Tremonti solo dopo che Finmeccanica e
Bae hanno firmato - dieci giorni fa - una lettera d’intenti contenente le
grandi linee dell’accordo. 
Ma allora il «nulla osta» politico all’accordo da dove è venuto? Visto che
anche le gerarchie militari si dicono all’oscuro dell’intesa, c’è da
ritenere che nella vicenda siano stati coinvolti direttamente il ministro
Antonio Martino e la Farnesina. Data l’importanza della posta in gioco, un
po’ di chiarezza su questo punto non guasterebbe. 
Ma veniamo al nodo principale: è Bae il partner ideale di Finmeccanica? E
quello di una collaborazione industriale realmente paritetica è uno
scenario credibile? 
Negli anni scorsi Finmeccanica ha avviato alcune collaborazioni con gli
inglesi in segmenti limitati dell’industria per la difesa, dai vecchi
accordi con la Gec alla joint venture Agusta-Westland per gli elicotteri.
Industrialmente Bae è un partner valido. Le alternative non sono molte: i
tedeschi sono più indietro, i francesi sono molto più grossi di
Finmeccanica e in passato trattare con manager che si sentono immersi in un
alone di grandeur non si è mai rivelato facile. 
La scelta dell’interlocutore , dunque, appare condivisibile. Ma l’impegno
dei manager a promuovere un accordo davvero paritetico probabilmente
resterà sulla carta: se si sommano le attività dei due partner nei settori
indicati dall’accordo (dall’avionica agli equipaggiamenti degli aerei fino
all’elettronica per i mezzi terrestri) si arriva a costruire un gruppo nel
quale il contributo industriale di Finmeccanica si colloca attorno al 40
per cento. E’ possibile giungere ad un riequilibrio? L’accordo di massima
già stipulato non considera la parità tra i due partner come una scelta
inderogabile: si limita a parlare di «obiettivo desiderabile». Come lo si
può raggiungere? Con un conferimento di risorse finanziarie, come avviene
spesso in questi casi? L’accordo lo esclude: lascia la porta aperta solo ad
ulteriori conferimenti di aziende che oggi Finmeccanica non ha. Dovrebbe
comprarne altre in giro per il mondo e conferirle entro dodici mesi al
nuovo gruppo previo «gradimento» della Bae: un’operazione quantomai
incerta, se solo si pensa che i negoziati per l’acquisizione dell’Aermacchi
- un’azienda italiana e nella quale la Finmeccanica ha già un’importante
partecipazione - vanno avanti da due anni. 
Insomma, il rischio è che, in luogo di un accordo paritetico, si assista
alla nascita di un gruppo industriale controllato da Londra al quale
Finmeccanica conferirebbe le sue attività in cambio di una rilevante quota
azionaria. Può anche darsi che questa sia l’unica soluzione praticabile, ma
allora sarebbe il caso di chiamare le cose col proprio nome. Anche perché a
quel punto non si capirebbe perché la Finmeccanica abbia comprato in estate
dagli inglesi la Marconi ad un prezzo elevato (ma giustificato dalla
conquista del controllo della società) per poi di fatto cederla di nuovo.
Così come non si capisce perché - se l’intesa è paritetica - per la carica
di amministratore delegato non è prevista la rotazione tra manager italiani
e britannici. Perché alla Bae l’amministratore e alla Finmeccanica il
presidente con pochi poteri? Domande che certamente si pone anche il
governo e che si spera possano trovare risposta nel «memorandum» d’intesa
che viene discusso in questi giorni e che dovrebbe essere firmato il 20
dicembre, se il consiglio d’amministrazione della Finmeccanica approverà
l’affare. 
 
di MASSIMO GAGGI