in quale stato e' il mondo



     
    
 
il manifesto - 29 Novembre 2002 
 
In quale Stato è il mondo 
La crisi dello Stato rischia di mortificare l'essenza stessa della
democrazia e dei suoi principi fondamentali, la rappresentanza politica e
la tutela dei diritti. Ma gli scenari della mondializzazione invitano a
ripensare il ruolo dello Stato piuttosto che negarlo. Per Città Aperta
Edizioni, l'ultimo lavoro di Umberto Allegretti
CLAUDIO DE FIORES
All'indomani delle giornate fiorentine, il dibattito sulla dimensione dei
diritti nella globalizzazione è più che mai aperto. A ricordarcelo è il
recente contributo di Umberto Allegretti, Diritti e Stato nella
globalizzazione (Città Aperta Edizioni). L'inserimento del termine «Stato»
- già nel titolo del libro - non è casuale. La vicenda storica e giuridica
degli Stati costituisce, infatti, per l'Autore la lente di comprensione
della mondializzazione, il paradigma di riferimento in base al quale
interpretare le tendenze globali in atto.

Due sono gli assi che percorrono il libro. Nel primo Allegretti descrive la
natura dei processi di mondializzazione, ne individua le origini (il
passaggio dalla contrapposizione dei blocchi al mondo unipolare), le tappe
storiche, i suoi connotati essenziali, descrivendo - in un incalzante
succedersi di riflessioni, pensieri, teorie - il diabolico intreccio
venutosi in questi anni consolidando tra i processi di globalizzazione
militare e la globalizzazione dei mercati. La prima drammaticamente
scandita dall'ininterrotto ricorso alla guerra nel «dopo `89» e imperniata
sull'egemonia militare degli Usa. La seconda protesa, invece, ad affermare
il «primato del profitto sull'interesse sociale e sui suoi equilibri
distributivi».

Un impianto argomentativo, questo, dal quale trae spunto e forza il secondo
asse di riflessione del libro. Esso si sviluppa attorno ad un interrogativo
di fondo: in che misura la mondializzazione oggi significa declino dello
Stato?

A tale interrogativo sono state date molte risposte. Spesso anguste, altre
volte contraddittorie. Quasi sempre, comunque, insoddisfacenti. Secondo una
certa vulgata, divenuta in questi anni prevalente, il soggetto Stato
sarebbe destinato ad essere definitivamente travolto dalla globalizzazione
e dagli attuali processi di dislocazione del potere politico (in senso
sovranazionale e in senso locale).

Si tratta, tuttavia, di una lettura parziale, «distratta», che elude non
pochi nodi della questione: quale sarà, venuto meno lo Stato, la sorte dei
diritti costituzionali? È possibile trasporre a livello sovranazionale la
tutela dei diritti? Il dibattito, attorno a questi punti, si è rivelato
fino a oggi assolutamente carente. Eppure il nodo dei rapporti tra crisi
dello Stato e garanzia dei diritti è - più che mai - centrale e nevralgico.

Vi è un dato che, collocato in questo contesto, mi sembra inconfutabile: lo
Stato-nazione (pur con tutte le contraddizioni connesse al sistema di
produzione) ha, fino ad oggi, costituito l'alveo naturale nel quale le
libertà democratiche e l'eguaglianza hanno potuto inverarsi. Non è un caso
che oggi la sua crisi rischia di ritorcersi e di mortificare l'essenza
stessa della democrazia costituzionale e di alcuni dei suoi principi
fondamentali, come la rappresentanza politica e la tutela dei diritti.

A questo punto sorge spontanea una domanda: esiste oggi, rebus sic
stantibus, un altro spazio in grado di coniugare sul terreno democratico
rappresentanza e diritti, che non sia lo Stato?

Il libro di Allegretti ha il pregio di intervenire con forza proprio su
questo punto, ribaltando - attraverso un diffuso e coerente utilizzo di
materiali e di dati (non solo giuridici) - le tradizionali ricostruzioni
sulla globalizzazione e il declino dello Stato.

La convinzione che se ne ricava è che, in assenza di valide soluzioni
alternative, lo Stato oggi non vada negato, ma piuttosto ripensato:
«certamente le sue funzioni e le sue strutture - scrive Allegretti -
cambiano e il suo ruolo stesso non è più quello di prima. Ma il suo peso
resta imponente».

D'altra parte, in questi anni, le sole istituzioni della globalizzazione
che hanno rivelato una efficiente capacità di funzionamento sono state solo
quelle aventi natura non democratica: le organizzazioni militari (come la
Nato) e le grandi istituzioni economiche (come il Wto e il Fondo monetario
internazionale).

Di converso, tutti gli altri tentativi miranti a definire più forti ed
elevate istituzioni, nel rispetto dei principi democratici, hanno
evidenziato percorsi ed esiti alquanto contraddittori. A cominciare
dall'Unione europea, sulla quale il libro si sofferma più volte al fine di
sottolineare le conseguenze perverse del cosiddetto deficit democratico. Il
processo di costruzione dell'Unione europea è avvenuto - evidenzia in
particolare Allegretti - sulla base di una «logica di puro economicismo»
ostile per sua natura ad ogni forma di «riconoscimento e, men che meno, a
una accettata supremazia dei diritti fondamentali sulle convenienze
produttive e finanziarie». Né un'inversione di tendenza sembrerebbe
rinvenibile nella Carta europea dei diritti, sottoscritta a Nizza nel 2000,
relativamente alla quale l'autore - pur non disconoscendo «l'importanza
simbolica» - evidenzia soprattutto la sua valenza «ricognitiva e non
costitutiva» delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.

I problemi che in questa fase si pongono sono, quindi, quelli derivanti non
dalla fine dello Stato, ma dalle sue trasformazioni, prevalentemente
indotte dalle latenti tensioni che in questi anni si sono abbattute sulla
dimensione statuale dei diritti.

Come dire, lo Stato costituisce ancora oggi l'ambito privilegiato di
garanzia dei diritti, ma gli strumenti di cui attualmente dispone rischiano
di rivelarsi, talvolta, un'arma spuntata. La questione dei diritti sociali
è, da questo punto di vista, emblematica: il rispetto dei penetranti
vincoli posti a livello sovranazionale è oggi alla base della debolezza
economica degli Stati e, in modo particolare, del declino delle
«tradizionali» politiche di intervento sociale a tutela dei diritti.

Ma il libro di Umberto Allegretti, pur evidenziando i drammatici costi
(umani e sociali) prodotti dalla globalizzazione neoliberista, vuole
essere, innanzitutto - in un mondo umiliato dal dominio del capitale - un
appassionato contributo al cambiamento e alla «speranza». Ciò presuppone
però - secondo l'autore - una irreprensibile «onestà e lucidità
intellettuale» nello studio dei processi di globalizzazione e la
conseguente attivazione di veri e propri fronti di resistenza. Sia a
livello interno (a difesa delle costituzioni democratiche degli Stati). Sia
a livello globale (il libro si sofferma in particolare sul ritiro del
progetto AMI e sul successivo fallimento del Millennium round avvenuto a
Seattle). Sia, infine, individuando (e soprattutto praticando) momenti di
raccordo tra i due precedenti livelli, al fine di imbrigliare - attraverso
concrete proposte politiche - alcune tipiche manifestazioni della
globalizzazione neoliberista (si pensi alla proposta di Attac di introdurre
la Tobin Tax).

Di qui l'esigenza di costruire un nuovo terreno di elaborazione e di
ricerca incardinato sulla «difesa delle conquiste decisive del passato,
sulla resistenza alle innovazioni inumane, sulla dissidenza dalle tendenze
di potere oppressivo dell'economia e della società». L'impressione che se
ne ricava è che ... «un altro mondo è possibile».

(Il volume di Umberto Allegretti verrà presentato oggi, alle ore 9.30,
presso la sala conferenze del Senato in via di Santa Chiara, 5 all'interno
di un convegno organizzato dal Crs. Parteciperanno Mario Agostinelli,
Flavia Lattanzi e Massimo Luciani)