ecomafie,un fronte europeo



da lanuovaecologia.it

    
 
Venerdì 8 Novembre 2002  
 
 
FIRENZE|Le proposte di Libera e Legambiente 
 
Un fronte comune europeo
contro le ecomafie 
 

Don Ciotti al Forum Le associazioni chiedono una "radiografia" dei traffici
e delle organizzazioni coinvolte e l'inserimento dei reati ai danni delle
risorse naturali nella Convenzione sul crimine organizzato transnazionale.
Al Social Forum il Vecchio continente contro i nuovi "ecopirati" 
 
 
C'è un dato globale: con le archeomafie soprattutto, ma anche con il
traffico della fauna protetta e con quello di rifiuti l'ecomafia conquista
la scena internazionale.
Anche il 2001, insomma, conferma gli scenari di ecocriminalità "globale"
denunciati dal Rapporto Ecomafia di Legambiente: traffici di rifiuti, di
specie protette e loro derivati, di opere d'arte e beni archeologici sono
innetta espansione in tutto il mondo.

Se ne è parlato oggi al Social Forum in un incontro che ha visto la
partecipazione di don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera e
Francesco Ferrante, direttore generale di Legambiente e Nunzio Cirino
Groccia, coordinatore nazionale dell'Osservatorio ambiente e legalità di
Legambiente.

«Una caratteristica comune a queste attività illecite è l'assoluto rilievo
del giro d'affari che garantiscono - commenta Nunzio Cirino Groccia,
citando le stime elaborate dal National Intelligence Council americano -
Circa 5 miliardi di euro l'anno sono il bottino garantito dal commercio di
specie protette; altri 5-6 miliardi di euro arrivano dal mercato illecito
di opere d'arte e reperti archeologici. E i traffici di rifiuti pericolosi
fruttano agli ecocriminali tra i 12 e i 15 miliardi di euro».

«Il business dell'ecomafia - incalza Ferrante - è la conferma
dell'interesse delle organizzazioni criminali verso cemento, rifiuti e
racket degli animali. E della loro capacità di sfruttare nuove opportunità,
dall'archeomafia al caviale clandestino, all'incredibile giro di affari dei
rifuti».

LE NUOVE FRONTIERE
Anche le rotte del malaffare ambientale sono in continua evoluzione. Quelle
tradizionali vanno da Nord a Sud in entrambe le direzioni, con i rifiuti
che viaggiano dai Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo,
soprattutto quelli africani, e specie protette e reperti archeologici che
seguono, spesso, l'itinerario inverso.

La nuova "via dell'ecomafia" invece è quella Est-Ovest. L'apertura dei
mercati europei, infatti, ha innescato una sorta di "integrazione" criminale.
«Sia per quanto riguarda i traffici illegali di specie protette, sia per
quanto riguarda le opere d'arte - spiega Cirino Goccia - è ormai evidente
l'esistenza di vere e proprie organizzazioni dedicate al saccheggio delle
risorse naturali, storiche e artistiche dei paesi dell'Est. E si conferma
l'esistenza di organizzazioni criminali specializzate in traffici
internazionali di reperti archeologici che, trafugati in Italia,
raggiungono attraverso la Svizzera Inghilterra, Giappone e Usa». 

I numeri sono impressionanti: soltanto il contrabbando di specie protette
frutta tra gli 8 e i 12 miliardi di euro, la pesca illegale rappresenta il
30% del mercato; buona parte dei 500 milioni di tonnellate di rifiuti
pericolosi prodotte nel mondo viene smaltito illegalmente, in particolare
nei paesi più poveri; in 10 anni, soltanto negli Stati Uniti sarebbero
state importate dalle 10.000 alle 20.000 tonnellate di clorofluorocarburi,
messi al bando dal protocollo di Montreal; il 65% del legname venduto nel
mondo proviene da tagli illegali di alberi. 

L'ultima frontiera dei traffici illeciti di rifiuti, poi, mascherati sotto
improbabili attività di riciclaggio, riguarda, come già accennato il
mercato dei computer. Tra il 50% e l'80% del materiale elettronico di
scarto raccolto negli Stati Uniti (contenente sostanze pericolose, come il
mercurio, il cromo e il cadmio) verrebbe imbarcato e spedito, via mare, in
Pakistan, India e Cina. Qui, nella provincia del Guangdong, a Nord-est di
Honk Kong, in una miriade di piccolo villaggi sarebbe stata allestita una
sorta di "industria" diffusa di riciclaggio.

Che la Cina sia diventata una nuova "frontiera" di queste attività emerge
anche da un'altra indagine, questa volta condotta in Italia: oltre 2.500
tonnellate di residui plastici, come è stato accertato dopo circa un anno
d'inchiesta, ammassate a valle di un processo di selezione di rifiuti
urbani, sono state spedite da alcuni porti italiani verso quello di Hong Kong.

I RIFIUTI
Rifiuti che vanno e rifiuti che tornano, e che a volte vengono
fortunatamente respinti alle frontiere. 
I rottami metallici (ferro, acciaio, alluminio, rame e ottone) contaminanti
radioattivamente che sono stati individuati al valico stradale di
Sant'Andrea e a quello ferroviario di Gorizia: si tratta, nel 2001, di ben
1.802 tonnellate di rottami (erano 2.696 nel 2000 e ben 3.688 nel 1999). Un
numero che resta rilevante anche se, rispetto al 1999 si è assistito a un
dimezzamento dei quantitativi intercettati a fronte, vale la pena
sottolinearlo, di circa un raddoppio dei flussi di rottami importati (dalle
567mila tonnellate del 1999 alle oltre 900mila del 2001). Un ulteriore dato
che vale la pena sottolineare, anche con una qualche preoccupazione, è il
deciso incremento del trasporto su gomma: si passa, infatti, dalle circa
50mila tonnellate in ingresso del 1999 alle oltre 234mila del 2001. Nessuna
novità di rilievo, invece, è emersa per quanto riguarda le preoccupanti e
circostanziate segnalazioni (già al centro del precedente Rapporto Ecomafia
di Legambiente) relative ai traffici di rifiuti pericolosi che avrebbero
investito diversi Paesi africani. Rifiuti prodotti anche nel nostro Paese e
finiti, si supponeva, in Somalia, Malawi, Zaire, Sudan, Eritrea. 

LE PROPOSTE
«L'orientamento assunto in Europa – conclude Francesco Ferrante, direttore
generale di Legambiente – ci invita a formulare delle proposte all'Unione
europea».
Libera e Legambiente chiedono alle istituzioni dell'Unione l'ampliamento
delle competenze dell'Europol, attualmente limitate ai soli materiali
radioattivi, e quelle di Eurojust, la magistratura europea, a tutta la
filiera dei crimini ambientali.

Ce n'è anche per l'attività delle Nazioni Unite. «Bisogna introdurre -
conclude Cirino Groccia - all'interno della Convenzione sul crimine
organizzato transnazionale un riferimento esplicito ai fenomeni più gravi
di criminalità ambientale. E va istituita una task-force che coinvolga
personale dell'Unep, dell'Unesco e delle agenzie impegnate nella lotta al
crimine organizzato per la realizzazione di una vera e propria
"radiografia" dei traffici illeciti e delle organizzazioni criminali
coinvolte».