computer e vuoto politico



     
    
il manifesto - 27 Ottobre 2002  
 
 
Computer e vuoto politico 
L'innovazione segna il passo in molti settori hi tech, mentre magari
galoppa in settori «tradizionalissimi» come la cultura alimentare. Colpa
anche di una sfera politica che pretende di cavalcare il consenso e la
curiosità inttorno alle nuove tecnologie, senza neppure provare a capirne
le reali implicazioni sistemiche. Il caso del «piano stanco» del ministro
Stanca
FRANCO CARLINI
Due saloni in contemporanea, in questo fine settimana: a Torino il Salone
del Gusto, a Milano lo Smau, dedicato alle tecnologie dell'informazione e
della comunicazione. Ma dove tra i due si incontra più cultura e più
innovazione? Senza dubbio a Torino. Per merito dell'associazione Slow Food,
senza dubbio, che valorizza la sostenibilità, le civiltà e le persone che
stanno dietro i manicaretti, i vini e i prodotti. Ma anche perché
informatica e telecomunicazioni in qualche modo appaiono un settore maturo:
la tecnologia continua a zampillare, per carità, specialmente nel mondo del
senza fili, e i visitatori dello Smau sono tanti e giovani come tutti gli
anni (anche i bagarini se è per questo), ma il piano del ministro
dell'innovazione Stanca è stato vistosamente ridimensionato dal ministro
Tremonti e dunque ha cambiato genere, diventando un «piano stanco», come ha
detto venerdì uno dei massimi esperti del settore, Franco Morganti. E il
sottosegretario Giancarlo Innocenzi, senza dubbio più competente del suo
superiore Gasparri, lo ha dovuto ammettere, dicendo che con Tremonti c'è
una trattativa in corso; per adesso resta un risibile incentivo di 75 euro
ai consumatori per favorire la diffusione della Banda Larga e la
sperimentazione delle tecnologie Wi-Fi in 50 scuole. Da Bruxelles è
arrivato comunque un messaggio che dice: «nonostante il momento difficile
non c'è da disperare perché chi è protagonista del futuro non può certo
spaventarsi per le nubi del presente. Cordialmente, Silvio Berlusconi».
Briciole di propaganda.

Ciò nonostante si sono letti titoli entusiasti ed esagerati che simulano
una ripresa e un entusiasmo che non ci sono nell'economia in generale e in
quella delle tecnologie elettroniche in particolare.

All'osservatore esterno tuttavia, ma anche ai protagonisti dell'industria e
ai consumatori, qualche volta farebbe piacere poter tornare a casa con dei
punti di vista realistici e ben calibrati, non viziati da un eccesso di
sentimenti (ottimistici o pessimistici che siano). Sembra tuttavia che non
sia possibile e molta della colpa è anche di noi mediatori
dell'informazione che da 20 anni a questa parte continuiamo imperterriti a
sfornare le stesse insulse pagine sulla casa tutta elettronica del futuro,
per dirne una.

Aiutiamo l'economia digitale in questa maniera? La coscienza dei
consumatori? Le imprese del ramo? Se ne può dubitare e forse bisognerebbe
dismettere questi toni, sia nei resoconti che nei supplementi redazionali
(quei contenitori fatti appositamente per raccogliere la pubblicità
settoriale). Chi l'ha detto che i lettori hanno bisogno di meraviglie e non
di argomenti razionalmente fondati?

Restiamo ad esempio sul tema della casa elettronica, dove le porte si
aprono da sole riconoscendo la voce del padrone, le tende si abbassano al
mutar del sole e il frigorifero legge le etichette del burro, segnala
quando sta per scadere e ordina la nuova confezione al supermercato online.
Qualcuno degli inventori di questi attrezzi pensa realisticamente che essi
siano (a) utili (b) vendibili in volumi significativi? Probabilmente nessuno.

Un giornale assai conservatore come il Wall Street Journal tre giorni fa
ironizzava spietatamente sull'ultimo modello di questa generazione di
mostri, un gigante coreano chiamato LG Internet Refrigerator, venduto dalla
coreana LG Electronics al prezzo di 8 mila dollari: ha un volume di 736
litri, uno monitor piatto da 15 pollici e un collegamento Internet
incorporato, oltre che il sistema operativo Windows, processori e memorie.
Grazie a tanta abbondanza può funzionare come un riproduttore musicale,
un'agenda elettronica, un calendario e altre incredibili funzioni. Potete
ammirarlo all'indirizzo Internet http://www.lgappliances.com/.

Insomma la New Economy c'è stata e ha prodotto molto di utile, mica solo
delle follie e delle truffe in borsa. Anzi quella follia già un po' ci
manca perché il suo effetto migliore è stato di costringere a cambiare
tutti quelli che si cullavano nei loro mercati protetti, che fossero banche
o agenti immobiliari. Il venire meno di quella spinta oggi fa sì che molti
(troppi) si illudano che non è successo niente e che si torna al «business
as usual» (al vecchio e caro lavoro di sempre, con i rapporti di forza di
sempre). E' per questo che il titolo in inglese di questo Smau 2002, «Back
to business» era sbagliato e ambiguo.

Del resto lo stesso presidente di Smau, Antonio Emmanueli, scrive cose
abbastanza diverse e più sensate. Per esempio che il futuro si costruisce
guardando sia «agli errori che alle cose buone del passato», ma sapendo,
per l'intanto, che «la ripresa non è proprio dietro l'angolo». E il
rapporto Eito sullo stato europeo delle tecnologie dell'informazione e
della comunicazione, presentato da Bruno Lamborghini, sempre allo Smau, ha
offerto analisi lucide, né drammatiche né esaltate.

Un sano atteggiamento realistico dovrebbe prendere atto comunque del fatto
che l'Internet e l'economia digitale sono ormai quotidianamente in mezzo a
noi - e per restarci - ma che, al tempo stesso, alcune di queste attività,
servizi e prodotti sono già divenuti «banali» e perciò hanno un valore
aggiunto inevitabilmente basso. E' il «solito» ciclo di creazione e
distruzione, tipico dell'innovazione e già studiato dal vecchio Schumpeter.

Il che non significa affatto che non cambi nulla: basta avere un po' di
memoria episodica e guardarsi attorno nella vita di tutti i giorni, per
accorgersi che l'applicazione meno multimediale di tutte, ovvero la posta
elettronica, è quella che ha maggiormente cambiato le relazioni tra le
persone, il modo di lavorare e un mucchio di altre cose. Così come fecero a
suo tempo le macchinette da facsimile oggi divenute oggetto da antiquariato
che solo pochi sciagurati retrogradi ancora acquistano. In altre parole le
applicazioni vincenti (in inglese trucido le «killer applications») si
confermano essere solo quelle utili e insieme gradevoli. Nel caso
dell'Internet la gradevolezza consiste nel principale piacere che gli umani
sperimentano, quello di essere in relazione (anche frivola) con i propri
simili.

La seconda avvertenza per è questa: la nostra giornata è fatta di 24 ore di
cui 8 sarebbe bene dedicarle al sonno. Altrettante andranno in lavoro (più
o meno piacevole o disgustoso) e le restanti otto restano per la vita di
relazione e per l'alimentazione. Dunque alla sera una persona normale deve
scegliere se andare al biliardo, andare al cinema o a teatro, giocare con i
figli, fare altri figli o attività collegate, leggere un libro, navigare in
rete, stare in silenzio e pensare ai fatti propri, costruire modellini di
velieri eccetera. Perciò tutti quelli che, a Milano come a Las Vegas, ci
vogliono vendere nuovi gadget multimediali per l'intrattenimento si
scontrano con l'unica risorsa limitata che sembra impossibile modificare,
il tempo appunto. E chi sogna di piazzare al teleabbonato medio più di un
film scaricato dalla rete a pagamento alla settimana, sbaglia tutti i conti
e i famosi business plan. Su errori del genere si è gonfiata la bolla, fino
a esplodere per interna inconsistenza.

Terza considerazione, di ritorno dallo Smau 2002: dentro tutto questo c'è
spazio e luogo per la politica e le politiche. Ma anche per molti
inquinamenti. Se oggi tante aziende di consulenza, di software e di web
inneggiano ai meravigliosi servizi ai cittadini che sarà possibile fornire
grazie all'e-government (abbreviato in «e-gov») è soprattutto perché non
riescono più a vendere ai consumatori né alle aziende. E il vecchio stato
appare loro come la mamma che potrà risanare i loro bilanci acquistando
altri computer e software. Tutto lecito, per carità, tanto più che di una
pubblica amministrazione più efficiente si sente un grande bisogno. Ci sono
dei «ma» tuttavia, che non andranno dimenticati: il primo è che serve un
progetto sociale per il rapporto tra cittadini e amministrazioni e che la
tecnologia semmai seguirà, come l'intendenza segue gli eserciti. Questo
progetto latita e le ovvietà che si leggono negli studi delle grandi case
di consulenza denotano un livello di approssimazione preoccupante.

L'altra grande (e illusoria) speranza si chiama e-learning, apprendimento
per via elettronica, che si tratti di Cd Rom o di Internet. Fra tutte
questa già si delinea come la più illusoria e sprecona. Corsi online ben
organizzati e meglio gestiti hanno un costo enorme, che non ripaga le
spese. Perciò sono pochissimi e per il resto si tratta di dispense
distribuite via rete, con la posta elettronica che sostituisce il dialogo
faccia a faccia tra docente e discente. Può funzionare al massimo per
distribuire informazioni aggiornate agli agenti di vendita, ma non certo
per formare i leggendari lavoratori della conoscenza. Quanto tempo dovrà
passare prima che si comincino a trarre doverosi bilanci di questa
proposta, vecchia ormai di trent'anni e periodicamente riproposta con la
stessa tenacia con cui ogni anno qualcuno annuncia di avere finalmente
creato un rivoluzionario robot intelligente?

Sono domande senza risposta soddisfacente, ma tutto fuorché sconsolate.
Anzi assai fiduciose dato che senza la gentile collaborazione
dell'Internet, gli incontri di Rio, Seattle, Genova e domani di Firenze,
non avrebbero messo in circolazione tante idee e non avrebbero cambiato -
come invece hanno fatto - la famosa Agenda dei G8, del Fondo Monetario
Internazionale e della Banca Mondiale.

Non c'entra con i Saloni? E invece sì, dato che negli anni `80 il personal
computer, ieri l'Internet, e oggi le connessioni P2P e il Wi-Fi sono stati
immaginati e realizzati da ingenui «utopisti» antipolitici, come li
chiamerebbero D'Alema e Rutelli, ormai evidentemente troppo vecchi per
capire il nuovo, altro che riformisti. Eppure Massimo D'Alema aveva
chiamato un grande esperto a Palazzo Chigi perché gli spiegasse tutto
dell'Internet; la qual cosa avvenne, con tanti bei grafici colorati, ma
evidentemente senza troppa utilità se il premier di allora alla fine si
fece l'idea che Colaninno era un bravo capitano coraggioso anziché il
solito finanziere da scatole cinesi.