mobilita' flessibile, rivoluzione



     
il manifesto - 17 Ottobre 2002 
 
 
La rivoluzione della mobilità flessibile 
Il tramonto dell'auto, soffocata dal suo stesso successo, e della mobilità
privata, suggerisce nuove strade. Il trasporto pubblico flessibile, cioè a
domanda. In modo da aggiungere ai treni e ai bus urbani car sharing, car
pooling e taxibus, cioè un surplus di organizzazione e di «sistema». Ma le
amministrazioni comunali dovrebbero crederci, e investirvi denaro e
intelligenze
GUIDO VIALE
L'elettronica è una risorsa di governo dei sistemi, e il sistema da
governare non è il singolo veicolo, che l'industria automobilistica sta
imbottendo sempre più di gadget per cercare di renderlo più sicuro, più
attraente, più comodo; bensì l'insieme della mobilità. Ci troviamo ormai di
fronte a fenomeni grotteschi, come gli studi - in cui vengono dilapidati
miliardi di dollari - per introdurre nelle auto - e nelle autostrade -
sistemi elettronici di guida automatica dei veicoli: per metterli tutti in
fila, a velocità costante, lungo un tracciato predefinito, ciascuno con il
suo bel motore che consuma energia e scarica inquinanti, esautorando
completamente il ruolo dell'autista. Ma allora, non era meglio il treno? E'
forse con ricerche di questo tipo che si vorrebbe salvare la Fiat? Ed è per
fare questo tipo di ricerca che a Torino è stato aperto - il momento non
poteva essere peggiore - un corso di laurea in ingegneria dell'automobile?
Lo sviluppo della rete apre le porte, nel settore della mobilità di
passeggeri e merci, come in molti altri campi, al trapasso dall'economia
del possesso all'economia dell'accesso. La rete rende superfluo disporre di
un'auto personale per andare dove si vuole, quando si vuole e con chi si
vuole; e permette di disporre di un'auto - di qualsiasi tipo di auto: con o
senza autista, da soli o in forma condivisa, e di qualsiasi tipo e modello,
a seconda dell'uso che se ne vuol fare - o di un equivalente mezzo di
trasporto, in qualsiasi momento e in qualsiasi punto di qualsiasi città
occidentale, per tutto il tempo in cui la si usa, permettendo ad altri di
fare altrettanto. Ma senza abbandonare un veicolo inutilizzato per una
media di 22 ore al giorno a ingombrare la strada - rallentando gli
spostamenti di chi effettivamente si muove - e a incidere pesantemente sui
nostri bilanci personali, su quelli delle amministrazioni cittadine e dello
stato, e sullo stato dell'ambiente.

Questi sistemi si chiamano - in gergo - Drts (Demand responsive Transport
System, cioè trasporto a domanda), ovvero trasporto pubblico flessibile,
taxibus, taxi collettivo, car sharing, car pooling (oltreché, beninteso,
trasporto pubblico di massa su linee urbane di forza e sulle tratte
interurbane, bicicletta e un più intenso uso dei piedi) e possono costare
meno sia a noi che all'erario, sia a chi gestisce i sistemi di mobilità o
le infrastrutture di trasporto che ha chi ne subisce impatti e conseguenze
non sempre piacevoli. Qualsiasi risorsa destinata a potenziare questi
sistemi è un investimento sul futuro. Qualsiasi risorsa gettata nel
miglioramento qualitativo dei veicoli attuali o nella cosiddetta
«fluidificazione del traffico» a parità di veicoli in circolazione è una
dilapidazione irresponsabile di ricchezza.

Ma per imboccare una strada del genere bisogna crederci: cioè investire
risorse e individuare i soggetti giusti. Questi ultimi non sono e non credo
che possano essere rappresentati dall'industria automobilistica. Sostenere
che la riconversione della Fiat passi attraverso il suo impegno nella
promozione del trasporto urbano flessibile è un non-senso. Certamente il
trasporto urbano ed extraurbano continuerà ad avere bisogno di veicoli - e
quindi anche di automobili - adatti alle nuove funzioni. E questo richiede
non solo officine meccaniche e catene di montaggio, ma anche laboratori di
ricerca, uffici di progettazione, reparti di sperimentazione: cioè una
parte di quel patrimonio di risorse umane di cui si paventa giustamente la
dispersione.

Ma il compito di riorganizzare la mobilità urbana è di chi ha la
responsabilità della gestione del territorio; e non può essere delegato. Un
secolo fa, in presenza di sviluppi tecnologici che rendevano possibile
raggiungere la totalità dei cittadini - e soprattutto le classi più povere
- con servizi fino ad allora appannaggio dei ricchi, alcune municipalità si
assunsero la responsabilità di produrre e fornire gas, luce, acqua,
trasporti, rifiuti, comunicazioni, ecc. Ne nacquero diverse società
municipalizzate che per quasi un secolo hanno caratterizzato il panorama
industriale dell'Italia e che oggi vengono dimesse. Ma non dovrebbe venir
dimesso il governo di queste funzioni, anche perché, dove i privati sono
subentrati alle società pubbliche, non sempre i risultati sono stati
brillanti.

Oggi, di fronte a sviluppi tecnologici che rendono possibile rivoluzionare
i sistemi della mobilità urbana, azzerando la causa principale dell'impasse
in cui è incappata la nostra vita quotidiana, occorre uno sforzo analogo
per restituirne il governo ai rappresentanti della cittadinanza; ed anche
per riassorbire, nella nuova filiera del trasporto pubblico al servizio di
tutti, una parte almeno di quella manodopera che l'industria
automobilistica sta liquidando.

E' sbagliato spingere i lavoratori ad aggrapparsi ad un relitto che
affonda: la salvezza sta in un sistema di garanzie e nei progetti che
guardano al futuro. Non è detto che lo sforzo delle amministrazioni locali
debba assumere nuovamente la forma di una società municipalizzata: può
essere un consorzio di soggetti pubblici e privati, in modo da realizzare
al meglio quella sacrosanta distribuzione delle responsabilità che è il
volto positivo del principio di sussidiarietà. Certamente non è facile per
un'amministrazione locale cambiare il segno di un modo di agire che si
radica nell'ostinazione senza sbocchi dei nostri comportamenti. Ma è
importante trovare un accordo sulla direzione da imboccare.

Un sistema di mobilità flessibile impone soglie di ingresso al di sotto
delle quali le funzionalità della rete sono precluse. Per questo vanno
studiate attentamente ex-ante. Il car sharing non può essere organizzato,
come ora, con 10 vetture: ce ne vogliono, solo per partire, 10.000 per ogni
grande città, con la certezza, per di più, di un rientro degli investimenti
solo a lungo termine. Per fare il taxi collettivo non si può partire con
meno di 1000-2000 vetture - e occorre fare i conti, senza demonizzarli ma
senza nascondere i problemi - con la forza contrattuale e soprattutto
elettorale del mondo dei taxisti.

Per fare il taxibus, o altre forme di Drts, con cui sostituire il trasporto
di massa nelle ore e sui tracciati in cui è maggiormente sottoutilizzato,
occorre investire in mezzi adatti e soprattutto in campagne serie di
comunicazione (da questo punto di vista Milano rappresenta forse l'esempio
peggiore che si possa immaginare). Per ottimizzare la distribuzione delle
merci - ai negozi e a domicilio - occorre mettere a disposizione dei
piccoli trasportatori le risorse necessarie per «fare sistema»
associandosi. E soprattutto, per fare tutto ciò, bisogna avere la forza
politica di imporre e di far rispettare i divieti: ma solo una volta che si
siano garantite alternative praticabili e convenienti.

Non è vero che oggi non ci sono risorse per intraprendere uno sforzo del
genere. Se il denaro che oggi viene gettato nel pozzo senza fondo delle
metropolitane - che non sono altro che un gigantesco pedaggio che la città
paga per far sì che alcune linee di forza del trasporto urbano di massa non
interferiscano con il traffico di superficie (cioè per permettere alle auto
private di occupare gratis tutto il suolo pubblico) - o in quello dei
sottopassi, dei sovrappassi, dei sistemi di semafori «intelligenti» e
quant'altro la moderna ingegneria civile mette a disposizione della
perpetuazione dello stato di cose presente, se quel denaro venisse
utilizzato per finanziare in misura adeguata progetti di car pooling, car
sharing, taxi collettivo, taxibus e linee tranviarie di superficie comode e
veloci, in cinque anni il volto di una città italiana cambierebbe
radicalmente.

E ai turisti convocati da tutto il mondo, per esempio per assistere a una
manifestazione sportiva su cui si sono investiti miliardi destinati a
lasciare le cose come prima, non si farebbe trovare una città intasata dal
traffico e magari sconvolta da cantieri che non si è riusciti a chiudere in
tempo, ma un sistema di mobilità veramente innovativo, in grado di
promuovere in tutto il mondo i risultati raggiunti a livello locale
dall'industria del trasporto urbano; e, al suo seguito, anche quel che
resta dell'industria automobilistica locale.