la nuova strategia di gates



     
    
il manifesto - 15 Settembre 2002 
 
L'architetto Bill e il socio Steve 
Ecco cosa si nasconde dietro la scelta del fondatore della Microsoft di
lasciare il timone a Ballmer. La nuova divisione dei compiti al vertice di
una delle maggiori potenze economiche mondiali. I contrasti interni tra
manager, gli effetti dei prestiti generosi per le stock option e la stretta
del controllo dopo il terremoto degli scandali finanziari. E in silenzio
Gates progetta il suo futuro
FRANCO CARLINI
Da due anni e mezzo William Gates III detto Bill non controlla più la
gestione operativa dell'azienda che fondò 27 anni fa e che da allora ha
raccolto profitti per 50 miliardi di dollari. La sua carica è «soltanto» di
presidente e di Architetto Capo (Chief software architect). Il giorno per
giorno invece è affidato al nuovo Chief Executive Officer (Ceo), Steve
Ballmer. Mai caratteri furono più diversi: freddo e persino scostante Bill,
quanto invece è irruente e sanguigno Steve. In rete è tuttora possibile
vedere e scaricare un filmato in cui Ballmer sale sul palco come un
invasato per gasare l'auditorio come un vero show men. Ma la differenza di
carattere non significa che tra i due ci sia contrasto, ma semmai una nuova
divisione dei compiti. Gates si è messo in una posizione più defilata per
due motivi: per sganciare la Microsoft dalla sua immagine, che non è poi
così accattivante e soprattutto per dedicarsi a riprogettare un futuro che,
dopo più di un quarto di secolo di successi monopolistici non può più
essere lo stesso. Se Ballmer deve presidiare il mercato attuale, a Gates
tocca invece il compito di disegnare nuovi prodotti e servizi per un mondo
dove il personal computer non ha più la centralità assoluta che aveva in
passato e dove le reti di comunicazione svolgono un ruolo decisivo, al
punto che un Pc non connesso è ormai un oggetto pressoché inutile.

Ovviamente i due ruoli sono complementari e così chi voglia capire dove sta
puntando il monopolista del software farà bene a leggersi il memo interno
che il 6 giugno scorso Steve Ballmer ha spedito per posta elettronica a
tutti i dipendenti. Si intitola «Realizzare il potenziale» e poco dopo
venne riproposto pubblicamente durante un incontro con gli analisti
finanziari; lo si può leggere all'indirizzo
www.eweek.com/article2/0,3959,98631,00.asp.

Un analogo messaggio al popolo dei dipendenti Microsoft venne emesso da
Gates nel 1995; quello di intitolava «L'ondata Internet» («The Internet
tidal wave») e sia pure con ritardo prendeva atto che la rete Internet era
una cosa importantissima che già aveva cambiato il mondo dell'informatica e
che tutta la Microsoft doveva riallinearsi al nuovo contesto. In quella
occasione Gates esibiva il meglio delle sue capacità che non sono mai state
quelle di un inventore, ma di un innovatore che sa cogliere il vento e
mettere la sua barca secondo la nuova direzione, inseguendo con abilità e
alla fine sorpassando le barchette che si erano mosse per prima. La
barchetta che correva felice era la Netscape con il suo programma di
navigazione in rete, la quale venne raggiunta e schiacciata dall'Internet
Explorer di Microsoft che oggi, secondo le rilevazioni appena emesse dal
sito WebSideStory detiene ormai il 96 per cento del mercato, mentre
Netscape si è ridotta a un misero 2,4 per cento.

Ma oggi appunto? Il memo di Ballmer spiega che l'enfasi ormai non deve
esser più posta sulla sola tecnologia, ma sulla capacità di Microsoft di
essere al servizio di clienti sempre più esigenti, i quali appunto vogliono
pienamente realizzare il loro potenziale: «questa non è una generica
dichiarazione di principio, ma una vera e propria chiamata all'azione»,
scriveva Ballmer. Si tratta in sostanza di ripensare tutti gli aspetti del
modo di lavorare di Microsoft, a tutti i livelli, formulando un nuovo
codice di condotta ispirato ai valori di «onestà, integrità e rispetto».

Che cosa c'è sotto? Che cosa vuol dire tutto ciò? Da un lato ci sono le
scottature della causa antitrust non ancora conclusa che però nelle
testimonianze e nelle sentenze già emesse hanno messo in luce una
disinvoltura eccessiva dei funzionari Microsoft nel condurre
aggressivamente gli affari (contratti capestro, con abuso di posizione
dominante). Dall'altro c'è la netta consapevolezza che i prodotti della
casa di Redmond non sono all'altezza delle aspettative dei clienti: il
monopolio genera inevitabilmente questi fenomeni; da un lato ci si siede
sui clienti conquistati e dall'altro si lanciano nuovi software anche
quando non sono sufficientemente collaudati e robusti.

Proprio nei giorni scorsi la Microsoft ha rilasciato un insieme di
aggiornamenti alla suo più recente sistema operativo, Windows XP, che
contengono le pezze e i rimedi ai numerosi difetti che i clienti hanno
riscontrato sulla loro pelle.

Cruciale, soprattutto dopo l'11 settembre, è la questione della sicurezza,
dove la Microsoft ha dimostrato le sue maggiori carenze: mese dopo mese i
siti della rete Internet hanno segnalato buchi e bachi nei suoi software,
eventualmente usati dai pirati per penetrare in computer indifesi e ogni
volta, malvolentieri, gli ingegneri di Microsoft dovevano ammettere e
correre ai ripari, tappando i buchi. E' evidente che tutto ciò non accresce
la fama né l'appetibilità di questi prodotti.

Naturalmente queste cose sono più facili a dirsi che a farsi: la Microsoft
aveva appena aderito alla richieste della commissione di controllo sulla
borsa (SEC), adottando sistemi di contabilità più rigorosi che un altro
piccolo scandalo emergeva. E' la storia di Rick Belluzzo, che fino allo
scorso aprile era Chief Operative Officer di Microsoft e che venne
costretto alle dimissioni a seguito di seri contrasti con Ballmer. Ora in
una comunicazione tardiva alla Sec la Microsoft rivela di aver dimenticato
di farsi restituire da Belluzzo un prestito di 15 milioni di dollari che
aveva fatto allo stesso Belluzzo come anticipo delle stock option che egli
avrebbe potuto riscuotere.

Quella dei prestiti generosi ai manager è una pratica che molte aziende
dell'informatica adottarono nell'epoca della New Economy e delle
disinvolture contabili, ma ora la Sec chiede comportamenti molto più
rigorosi e trasparenti.

Un'altra storia, lecita, ma non simpatica, riguarda la fondazione
intitolata a Gates e a sua moglie. La Bill & Melinda Gates Foundation
(www.gatesfoundation.org) svolge effettivamente un ruolo benemerito,
investendo miliardi in progetti di lotta alle malattie, specialmente in
Africa; sono molti soldi e per di più spesi bene, nel senso che non vengono
spediti a governi poco democratici e magari anche corrotti, ma vanno a
iniziative specifiche, la cui gestione viene controllata e verificata. Il
capitale è di 24,2 miliardi di dollari e nel solo anno 2000 sono stati
spesi 555 milioni di dollari in progetti globali per la salute dei più
poveri al mondo.

Fin qui tutto bene, se non fosse che, nella sua autonomia, la Fondazione
nel maggio scorso ha anche deciso alcuni investimenti profittevoli,
comprando azioni delle industrie farmaceutiche come Merck e Pfizer per 205
milioni di dollari: la cosa è del tutto lecita, ovviamente, ma solleva un
qualche conflitto di interessi, nel senso che da un lato si finanzia la
lotta alle malattie ma dall'altro ci si attrezza per riscuoterne i
benefici, sotto forma di profitti della case farmaceutiche che alla fine
venderanno i medicinali contro l'Aids e la malaria.