la scommessa dei centri urbani



     
    
 
il manifesto - 01 Settembre 2002 ARTICOLO pagina 18 
indice articolo 

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La scommessa della città 
FRANCESCO INDOVINA
 
 
 
La scommessa della città 
Sulla qualità della vita nei centri urbani si gioca un'importante partita
politica: quella di una città amica che riaffermi la sua essenza di nicchia
ecologica della specie in termini di socialità, solidarietà, azione comune
e libertà
FRANCESCO INDOVINA
Se fosse vero che l'opposizione per vincere le elezioni necessita di una
modifica «culturale» dell'opinione pubblica, allora sarebbe necessario
affrontare, sviluppare e riflettere anche sui temi relativi alla città. La
vittoria del Polo, prima che politica, è stata culturale (ideologica) e
sociale. Essa si è fondata sulla diffusione sul corpo complessivo della
società di una concezione fortemente individualistica: non esistono i
problemi di tutti ma solo «i miei personali»; non esistono soluzioni
collettive (insieme agli altri) ai miei problemi ma «mi devo arrangiare da
solo»; le regole costituiscono vincoli posti alla piena realizzazione delle
«mie capacità»; la modernizzazione del paese vista come «liberazione» da
ogni controllo, da ogni norma; lo Stato, in tutte le sue forme, un nemico
(dovendo operare per tutti non opera per me). Che tale individualismo si
accompagnasse con il massimo di conformismo non è una contraddizione, ma il
pieno dispiegarsi di una ideologia che ci vorrebbe tutti «uguali», ma tutti
«solitari». Bisogna scongiurare che la moltitudine diventi persona
(dall'individualismo alla individualità), che gli interessi si coagulino,
che ciascuno riconosca nel proprio vicino la propria condizione. Tutti
vorremmo vivere in una città amica: una città funzionante, con adeguati
servizi collettivi e privati, ricca di occasioni culturali, in grado di
rispondere positivamente ai bisogni dei diversi soggetti che vi vivono,
gradevole, non inquinata, esteticamente «bella», pulita, sicura, con un
forte rinnovamento economico, fortemente innovativa, capace di saper
sfruttare le nuove tecnologie, ecc. Che le nostre città, in generale, non
presentino un volto amico è sicuro: congestione, inquinamento, sporcizia,
povertà, discriminazione, degrado edilizio, mancanze di infrastrutture,
carenza di servizi, ecc. pesano sui cittadini, pesano sulle attività
economiche, pesano sulle attività culturali. Il cittadino è, come si dice,
stressato, se può si trasferisce in un piccolo centro o anche in
«campagna», ma dopo un po' scopre che la sua situazione non è poi tanto
migliorata (più mobilità, meno servizi, meno occasioni, ecc.). Anche se il
degrado urbano pesa diversamente a secondo della collocazione economica e
sociale di ciascuno, esso non può essere accettato; anche gli enclave di
sicurezza e qualità, per i pochi dotati di molte risorse economiche, durano
poco.

La città è stata (ed è) la «nicchia ecologica» della specie umana, è li che
la specie ha sviluppato il massimo delle sue potenzialità, ma la nicchia si
sta degradando, è sempre più avvelenata. Da una parte non sembra possibile
ipotizzare, immaginare o progettare la città «perfetta», qualsiasi cosa
questo possa significare; una società piena di contraddizioni, di
squilibri, di ingiustizie, proietta questi suoi aspetti negativi sulla
città. Non è per caso che la città è insieme il massimo di concentrazioni
delle potenzialità e delle contraddizioni.

Dall'altra parte, tuttavia, non possiamo non porci il problema di una città
amichevole (ancorché non perfetta). Una città dalla forte tensione, che,
pur nelle contraddizioni proiettate dalla società, tenda a essere sempre
più funzionale, sempre meno congestionata, sempre meno inquinata, sempre
più ricca di iniziative, sempre più pulita, sempre più dotata di servizi,
che offra sempre maggiori occasioni culturali, economiche e, sociali,
sempre più accogliente, sempre più di qualità, sempre più sicura, ecc. Una
città che costituisca anche il luogo di un «risarcimento» dei meno
fortunati dei membri della società, che sia sempre più solidale e giusta,
che accetti la diversità come ricchezza (senza faciloneria buonista, ma
anche con molta apertura, pazienza e accortezza), che sia in grado di
garantire il massimo di libertà nella realizzazione della propria
individualità.

Un città frutto di un progetto politico e sociale. Sono necessari piani,
politiche specifiche e settoriali, progetti, investimenti, realizzazioni,
ma anche e soprattutto un grande impegno collettivo. Questo è il punto
politico importante; la città amica non può essere un progetto
tecnocratico, né tutto istituzionale, la sua realizzazione non può non
coinvolgere la grande maggioranza dei cittadini. Scienza, tecnica,
tecnologia, capacità amministrativa, iniziativa istituzionale, risorse,
ecc. devono essere messi al servizio di un progetto collettivo.

La città è un prodotto sociale, il suo degradare è il frutto del processo
sociale, la sua rinascita non può che essere il risultato di un impegno
collettivo. Un impegno dal grande contenuto euristico.

È sicuramente ipotizzabile che la maggioranza dei cittadini non possa
rigettare il progetto per una città amica, ma è altrettanto chiaro che la
sua realizzazione presuppone la cooperazione di tutti; chiama alla
responsabilità di ciascuno insieme agli altri. La città amica non si
coniuga con l'individualismo, essa garantisce l'individualità, ma vuole
collaborazione, rispetto delle norme e delle regole, impegno comune,
partecipazione alle scelte, la necessità di riconoscere i propri problemi
insieme a quelli degli altri; essa crea l'opportunità di trovare una
soluzione comune, cioè insieme. Si tratta di ricollocare norme, regole,
comportamenti, non nella loro singolarità o nell'astrazione giuridica,
amministrativa, sociale del loro rispetto, ma per i loro esiti, come
contributi individuali alla realizzazione di un progetto comune.

Affrontare la città da questo punto di vista costituisce una necessità
strutturale, economica e sociale, ma costituisce, si crede, una rilevante
opportunità politica per contribuire a modificare quell'atteggiamento
individualistico che è il brodo di coltura del successo del Polo.

Non è un macchiavellismo, fa aggio su una condizione di fatto che si tocca
con mano, che è un evidente richiamo alla cooperazione e all'azione comune.
In questo quadro la «città dei cittadini», la «città di tutti», ecc. che
costituiscono formulazioni ideologiche, vanno assunte come programma
politico, di pieno coinvolgimento, di piena responsabilizzazione dei
singoli nel loro insieme. La città amica non è realizzabile senza questo
coinvolgimento, senza un mutamento di atteggiamento; molti dei suoi
contenuti, infatti, necessitano di comportamenti collettivi, di coesione,
di cooperazione.

Si tratta di un lavoro politico pesante e pressante, che riscopra vecchi
strumenti e metodi di mobilizzazione, che sappia parlare il linguaggio
della concretezza, che sveli gli «arcani» del degrado urbano, che faccia
intendere la condizione comune, che metta in chiaro l'interesse della
maggioranza per una città amica, non perfetta ma con una forte tendenza e
tensione al suo miglioramento. Una città che riaffermi, pur nelle sue
contraddizioni, la sua essenza di nicchia ecologica della specie per quello
che esso significa in termini di socialità, solidarietà, e azione comune,
di sviluppo e crescita, di innovazione e di traguardi di qualità e di libertà.