la guerra occulta degli ogm



     
il manifesto - 27 Giugno 2002 
TERRATERRA
La guerra occulta degli ogm 
FRANCO CARLINI
 
TERRATERRA
La guerra occulta degli ogm 
FRANCO CARLINI
Ricordate la questione del mais messicano? Sembrava una disputa tra
scienziati, avente come palcoscenico la rivista Nature, e invece si va
rivelando una questione di lobbysmo e di relazioni pubbliche. Riassunto
delle puntate precedenti: il 29 novembre 2001 la rivista inglese, la più
importante al mondo, pubblica un articolo del professore californiano
Chapela e dello studente David Quist: Da esami sul campo sostenevano tre
cose: 1) che malgrado i divieti del governo messicano il masi geneticamente
modificato era presente in quel paese. 2) che sue tracce genetiche si
trovavano anche nel mais normale. 3) che il trasferimento genetico era
instabile e si applicava a parti diverse del genoma. Nel giro di pochi
giorni arrivarono alla rivista, e circolarono sull'Internet, molte lettere
critiche e di protesta. Le critiche si riferivano soprattutto alla
metodologia di analisi usata, non sufficientemente affidabile. Con una
mossa del tutto inusuale, l'11 aprile scorso la rivista Nature non solo
pubblicava le critiche (cosa normale), ma scriveva che retrospettivamente,
era pentita di avere pubblicato l'articolo originale di Chapela e Quist:
«abbiamo concluso che l'evidenza sperimentale disponibile non era
sufficiente a giustificare la pubblicazione dell'articolo originale».
Eppure i referee (ovvero i professori esperti che valutano la serietà di
una articolo scientifico) a suo tempo avevano espresso parere favorevole.
Ad alcuni mesi di distanza le cose si sono un po' chiarite, anche se non
sono incoraggianti. Intanto i punti 1 e 2 non sono in discussione, nemmeno
da parte dei critici. Il mais genetico in Messico c'è ed ha in qualche modo
contagiato quello naturale. Si discute semmai se questo sia un pericolo per
la diversità biologica, ma la cosa è avvenuta e avviene. I sostenitori
delle biotecnologie dicono che non è un problema; in ogni caso non possono
negarlo. Quanto alla terza questione, essa resta controversa e sottoposta
alle verifiche scientifiche: se, come sostengono Chapela e Quist, i geni
che saltano da un mai all'altro di distribuiscono sul mais originale in
modo frammentato e causale, allora la possibilità che ne risultino
modifiche tossiche o dannose è più elevata. Ma c'è un altro capitolo della
storia: la campagna contro i due ricercatori di Berkeley iniziò, assai
animosa, il giorno stesso della prima pubblicazione, svolgendosi
soprattutto in rete. Si distinsero in particolare due persone nella
campagna: Mary Murphy e Andura Smetacek; ma nessuna delle due esiste ,
erano dei falsi. Non solo: il giornalista scientifico George Monbiot,
esaminando l'itinerario dei messaggi di posta, si è accorto che entrambi
provenivano dai computer di una società di relazioni pubbliche di
Washington, la Bivings Group, la quale lavora per la Monsanto. Prima la
società negava, poi era costretta ad ammettere che effettivamente una posta
non controllata poteva essere partita dai suoi terminali. Monbiot sul
Guardian sostiene anche di avere identificato i due mittenti: un web
designer e il responsabile del marketing Internet di Bivings. Questo
episodio segnala un'importante svolta nel modo in cui le aziende usano la
rete: di solito si limitano a leggere i siti che le criticano e a ascoltare
quanto si dice di loro nei gruppi di discussione. Ma in questo caso c'è una
discesa diretta in campo, utilizzando il facile anonimato della rete per
costruire e potenziare le loro campagne. E non è finita qui: gli articoli
scientifici di replica a Chapela e Quist pubblicati da Nature sono firmati
tra gli altri da Matthew Metz, un microbiologo di Berkeley che a suo tempo
fu tra i più accesi sostenitore dell'accordo di collaborazione scientifica
tra quella università e il colosso chimico Novartis. Quella fu una lotta
memorabile in nome della libertà della ricerca scientifica, condotta nel
1998 da studenti e professori del campus per rifiutare un accordo in base a
cui la Novartis finanziava le ricerche per 50 milioni di dollari. La
rivista tuttavia non ha rivelato gli interessi vestiti di cui Metz era
portatore.