l'economia sociale alternativa



da liberazione 5 - 6 - 2002

  
Il "rosso" e il "verde"  
L'economia sociale alternativa  
 
 
Prendo in considerazione due crisi sociali, che sono insieme produttive e
ambientali: quella dell'auto e dell'acqua con riferimenti spaziali precisi
- Torino e il Mezzogiorno. 
Della crisi produttiva strisciante della Fiat si era a conoscenza fin
dall'accordo con Gm, tanto che si parlò di vendita a tappe del core
business degli Agnelli. I dati occupazionali e produttivi mostrano una
radicale deindustrializzazione di Torino, i cui segni sono la
trasformazione del Lingotto in luogo di servizi (sale cinematografiche,
centro commerciale, ristoranti, spazi per mostre ecc.), e delle ferriere in
strutture per le Olimpiadi del 2006, poi la nascita di migliaia di
microimprese nel commercio e nei servizi alla persona e gli investimenti in
infrastrutture. 

Quali reazioni suscita questa crisi a sinistra? Sulla stessa Liberazione
(16 maggio) si è letto che occorre trovare un "competitor" nel campo
automobilistico, per salvare saperi, competenze e tradizioni operai; oppure
che «Agnelli ha rinunciato ad investire per fare della Fiat auto uno dei
gruppi in campo della competizione mondiale»; che in «Europa aziende
automobilistiche a partecipazione e direzione pubblica (Renault e
Volkswagen) hanno saputo difendere l'occupazione e crescere e competere
come aziende molto meglio dei nostri campioni del privato». Posizioni
analoghe sono rintracciabili facilmente anche in casa sindacale, dove è
generalizzata la valutazione di Sergio Cofferati che l'industria italiana,
nel suo complesso e dunque anche la Fiat, non punta sull'innovazione di
qualità ma sull'abbattimento del costo del lavoro. 

Una prima questione che sollevo riguarda proprio il lavoro. Prendiamo la
Volkswagen: il Land della Bassa Sassonia, con il 22% delle partecipazioni è
l'azionista di riferimento, e ha condiviso le politiche di Piech, ex
amministratore delegato, che ha introdotto - con il consenso sindacale -
modelli di flessibilità estrema dato che si prevedono al contempo settimane
lavorative di quattro giorni e settimane di 48 ore, la riduzione dei
salari, la produzione per piattaforme comuni ecc. Perché invocare aziende
automobilistiche che hanno innovato usando raffinati modi di flessibilità e
manomettendo le condizioni del lavoro? Perché ricadere nella vecchia
ideologia di Amendola secondo cui la classe operaia dovrebbe dimostrare di
saper fare meglio lo stesso mestiere della borghesia? Non basta difendere
gli interessi - in termini di occupazione e reddito - della classe operaia
per sottrarsi al modello produttivo capitalistico: la sfida è fuoriuscire
dal quel paradigma. Emerge qui la necessità della connessione inestricabile
del "rosso" e del "verde", cioé di una teoria del capitalismo che coniughi
critica dello sfruttamento operaio e critica della materialità delle merci,
dell'alienazione e dell'uso dissipativo delle risorse dovuto alla ricerca
del profitto e dell'illimitatezza delle produzioni per realizzarla. In
concreto, oggi, significa avere la capacità di una sperimentazione di altre
produzioni di beni, di un'altra economia guidata dai bisogni reali
individuali e collettivi. Il trasporto privato ha fatto bancarotta:
l'automobile non garantisce più la mobilità - l'auto non rende liberi - è
fra le cause maggiori dell'inquinamento dell'aria, ha bisogno di cemento e
asfalto che hanno consumato il territorio. La mobilità è un bene primario -
direi un vero è proprio diritto (come rileva un altro articolo di
Liberazione del 26 maggio) - ma essa oggi passa per la riconversione dei
mezzi di trasporto che pongano al centro la mobilità collettiva, il
trasporto su ferro e il cabotaggio, elementi necessari per ridisegnare
anche l'assetto del territorio e delle città, in modo da esaltare la
"pedonalità", servizi e produzioni locali contro il modello produttivo del
just in time, una delle più recenti cause dell'esplosione della domanda di
trasporto su gomma. 

Il "rosso-verde" è il linguaggio in cui si può articolare il discorso
dell'economia sociale alternativa, che erge a parametro al contempo
l'equità e la preservazione, che fa del rapporto società-natura la base per
una produzione guidata dai bisogni di tutti e dai limiti naturali entro cui
soddisfarli. 

Vengo alle risorse, si pensi all'acqua. Siamo tutti colpiti dalle cifre
relative al pianeta: un miliardo e quattrocento milioni di persone non
hanno accesso diretto all'acqua, ogni giorno diecimila persone muoiono a
causa della mancanza d'acqua e il 70% delle malattie è dovuta alla siccità
o alla pessima qualità dell'acqua - sono dati dell'Onu. Questo che è un
bene comune per eccellenza, base della vita, è oggetto di privatizzazione
in tutto il mondo, perché è un business assicurato: chi non usa l'acqua?
Grandi imprese multinazionali, del tipo Vivendi, o le imprese dei servizi a
rete di qualunque tipo (elettriche, del gas ecc.) si lanciano nel business
dell'acqua, sostenuti dalle politiche neoliberiste di privatizzazione
generalizzata. L'Acquedotto pugliese, il più grande d'Europa, è oggetto di
mire nonostante il pessimo servizio che fornisce. La causa del pessimo
servizio, si sostiene da parte neoliberista, è che i costi non sono coperti
dalle tariffe e dunque la liberalizzazione dei prezzi dovrebbe garantire il
recupero dell'efficienza, e generare profitti. La lotta per impedire la
privatizzazione delle acque e delle infrastrutture di servizio è centrale,
l'acqua è un diritto e va garantita a tutti. L'inquinamento delle acque è
dovuto sia ai consumi urbani sia all'impiego di concimi e pesticidi
sintetici: abbattere l'inquinamento e risanare il territorio
permetterebbero la salvaguardia e il ripristino delle falde acquifere. 

Beni da produrre e risorse si tengono in un unico discorso, che consente di
designare e sperimentare un'altra economia. Il "rosso-verde" è uno dei fili
conduttori dell'alternativa, e uno degli strumenti di ricerca e di lotta è
il Forum ambientalista. 


 

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