una pensione al prezzo di due



     
 
il manifesto - 02 Giugno 2002
 
Una pensione al prezzo di due 
Due rapidi conti per capire le conseguenze della decontribuzione e le
dimensioni della rapina del tfr
SERGIO CESARATTO
L'ammissione del ministro del welfare Roberto Maroni, che in futuro la
pensione Inps ai giovani «non sarà garantita dalle norme, ma dalle concrete
possibilità esistenti in quel momento in termini di finanza pubblica»,
chiarisce finalmente, anche a chi non voleva vederlo, il senso della delega
previdenziale, che è quello di cominciare a smantellare il sistema
pubblico. Molti economisti (anche noi su il manifesto), l'ex ragioniere
dello Stato prof. Monorchio lo scorso inverno, e la stessa relazione
tecnica del ministero del welfare lo scorso marzo, denunciarono gli effetti
nefasti che la decontribuzione di 3-5 punti percentuali sui nuovi assunti,
prevista dalla delega, avrebbe prodotto sui conti previdenziali. Tali
effetti non si produrranno, naturalmente, se le pensioni future verranno
corrispondentemente ridotte via via che il flusso contributivo si
assottiglia. Nei giorni scorsi vi è stato un goffo tentativo della
Confindustria di ridimensionare la portata del buco che si produrrebbe
senza un corrispettivo taglio delle pensioni future. Il balletto delle
cifre è impressionante perché segnala una certa malafede che gira. Al
recente convegno della Sapienza sulla previdenza, Gianpaolo Galli,
direttore del servizio studi di viale dell'Astronomia, ha quantificato il
buco in 0,3-0,6 punti percentuali del Pil. Di fronte alle obiezioni di
Pizzuti, Galli ha concesso poi un 0,7, che ritorna tuttavia al 0,3 nella
cronaca del solerte giornalista de Il Sole-24 Ore. Le cifre (ufficiali) del
welfare erano 0,3 per una decontribuzione di 3 punti, 0,8 per 5 punti.
Quisquilie per Galli e Cazzola (Il Sole, 23-5); un'enormità per i conti
pubblici, dell'Inps in particolare. Maroni ha comunque tagliato la testa al
toro annunciamdo che le pensioni pubbliche verranno in futuro
conseguentemente ridotte. Confindustria lo sapeva bene, avendo suggerito lo
scorso inverno che l'invarianza delle pensioni future - scritta nella
delega - a fronte del calo della contribuzione doveva essere intesa come
diminuzione delle pensioni pubbliche, compensata da una maggiore pensione
complementare da ottenersi con il famoso utilizzo del tfr. Successivamente
il dott.Galli ha anche inteso convincerci che questo risulterebbe
conveniente per i lavoratori: «un lavoratore ...che vada in pensione a 60
anni con 35 anni di contributi, avrebbe diritto, in base alle norme in
vigore, ad una pensione pari al 65% dell'ultima retribuzione. Riducendo i
contributi di 5 punti e investendo il tfr nei fondi pensione, questa
percentuale salirebbe al 73%, ... nell'ipotesi che il rendimento reale del
fondo sia solo del 2,5%» (L'Unità, 20-3). Due conti della serva ci dicono
che Galli non la racconta giusta.

Attualmente 5 lire di una busta paga lorda di 100 lire versati per 35 anni
(cui il lavoratore rinuncerebbe, con la decontribuzione, a favore delle
imprese) e capitalizzate ad un tasso reale dell'1,5% (come grosso modo
avviene per le pensioni pubbliche), danno 231,38 lire. Correntemente,
inoltre, il lavoratore accumula 7 lire di salario ciascun anno come tfr che
capitalizzate al tasso reale del 1% (il tfr rende 1,5% più i 2/3 del tasso
di inflazione) danno 294,54 lire. La somma di queste due voci dà 525,92
lire - cui il lavoratore rinuncerebbe con la riforma. A fronte di ciò,
investendo il tfr nei fondi al tasso di interesse del 2,5% ipotizzato da
Galli il lavoratore otterrebbe un montante di 394,11 lire. La differenza
tra ciò a cui si rinuncia (525,92 lire) e ciò che si guadagna (394,11 lire)
è una perdita secca di 131,81 lire rispetto a prima. Il trucco di Galli è
chiaro, e non serve aver studiato ad Harvard per scoprirlo: è vero che il
tfr investito nei fondi dà un montante (394,11 lire) superiore a quello che
si perde con la decontribuzione (231,38 lire). Ma con la riforma il
lavoratore perde anche il tfr investito nell'impresa (294,54 lire). Il
dott.Galli ci vende uno al prezzo di due, bell'affare!

Con una decontribuzione di solo 3 punti la perdita è ancora di 39,26 lire.
Ipotizzando rendimenti reali più alti la perdita si può trasformare in un
guadagno (con una decontribuzione di 5 punti e un rendimento dei fondi del
5% reale il vantaggio netto è di 137,94 lire). Si tratta tuttavia di
rendimenti difficilmente ipotizzabili, anche per i maggiori costi
gestionali dei fondi pensione rispetto a Inps e all'attuale impiego del tfr
(nel 2000 i fondi di categoria hanno reso al massimo quanto il tfr).
Elevati rendimenti dei fondi sarebbero inoltre probabilmente associati ad
una economia che tira. Ma questo comporterebbe anche un più elevato
«rendimento» delle pensioni pubbliche (oltre il modesto 1,5% da noi
ipotizzato).

Alle probabili perdite future corrisponde già da ora un trasferimento secco
della decontribuzione dai salari lordi ai profitti. La pretesa della
Confindustria e del suo governo è naturalmente che la decontribuzione porti
ad un accrescimento dell'occupazione, non solo dei profitti, ma siamo
nell'ambito dei pii desideri. Vi è solo da domandarsi dove siano i
dirigenti dell'Ulivo, a cominciare da quel Giuliano Amato che fece perdere
alla sinistra il Comune di Bologna annunciando una futura riduzione delle
pensioni pubbliche. La verità è che sono silenti perché le loro idee, e
quelle dei loro consiglieri economici, non sono molto diverse da quelle qui
denunciate.