donne prima il lavoro poi la famiglia



dalla stampa di mercoledi 22 maggio 2002
 IL RAPPORTO ANNUALE DELL’ISTAT: COSÌ I COMPORTAMENTI FEMMINILI CAMBIANO LA
VITA QUOTIDIANA
Donne, prima il lavoro poi la famiglia

22 maggio 2002 

di Chiara Saraceno

Dal 1993 al 2001 in Italia ci sono state forti trasformazioni sul mercato
del lavoro: sul lato della domanda, ma anche della offerta. Esse segnalano
mutamenti non solo economici e produttivi, ma anche nella organizzazione
familiare e della vita quotidiana. È quanto emerge dal Rapporto Annuale
dell'Istat. Al centro di queste trasformazioni stanno i mutati
comportamenti delle donne. Mentre l'occupazione maschile, dopo il periodo
di forte declino dei primi anni del periodo, ha recuperato per attestarsi
su valori sostanzialmente simili a quelli iniziali, quella femminile è
aumentata del 14%. 

Questo aumento ha origine non solo nelle mutate caratteristiche della
domanda, ma nell'aumento del tasso di attività delle donne, ovvero della
quota di donne che si presentano sul mercato del lavoro e si aspettano di
rimanervi. Ciò in parte spiega perché sia contestualmente aumentato anche
il tasso di disoccupazione femminile, che rimane consistentemente più alto
di quello maschile (13% di contro a 7%). Esso è anche nettamente superiore,
a differenza che per quello maschile, alla media europea, che è attestata,
per le donne, attorno al 9%. Per altro, le donne sono coinvolte più degli
uomini in rapporti di lavoro di breve durata. E ricevono in media una
remunerazione più bassa del 25-40%.

L'aumentata partecipazione delle donne al mercato del lavoro, pur in
condizioni di persistente disuguaglianza, ha consolidato una tendenza
iniziata già a partire dagli anni 70: le donne non lavorano più per il
mercato prevalentemente da giovani e nubili, per abbandonare poi quando si
sposano ed hanno figli. Come i loro coetanei maschi, oggi entrano più tardi
(perché stanno più a scuola) nel mercato del lavoro e ci rimangono anche
durante le fasi di formazione della famiglia; benché non manchino uscite
per cause familiari che segnalano la persistente difficoltà delle donne
italiane nel conciliare lavoro e famiglia.

Le differenze territoriali si intrecciano a, e insieme scompigliano, quelle
tra uomini e donne. Basti pensare che nel Centro-Nord il tasso di
disoccupazione femminile, 7,2%, è meno della metà di quello maschile nel
Mezzogiorno. Ma anche nel Mezzogiorno il comportamento femminile è in forte
cambiamento, trascinato, come e più che nel resto del paese, dall'aumento
della scolarità femminile. 

La bassa scolarità, insieme alla condizione familiare, sta emergendo come
il fattore di maggiore differenziazione tra comportamenti e opportunità
femminili. Nonostante l'aumento della partecipazione femminile nelle età
centrali e in tutte le condizioni familiari, queste ultime infatti
continuano a costituire un forte elemento di differenziazione a parità di
età. Tra le donne single tra i 30 e i 39 anni il tasso di attività è vicino
al 90%, e non molto distante da quello maschile; scende di 10 punti tra
quelle in coppia senza figli e non supera il 56% tra quelle con figli. 

Tra queste ultime è anche più diffuso il part-time. Di più, le donne con
figli hanno anche un tasso di disoccupazione più alto sia delle single sia
delle coniugate senza figli. Il lavoro familiare, in altri termini, non
solo continua a differenziare le donne dagli uomini, le mogli dai mariti,
ma anche le donne tra loro rispetto alla possibilità di rimanere sul
mercato del lavoro remunerato. Queste differenze appaiono più nette nei
confronti territoriali, ma anche tra donne con titolo di studio diversi. 

Non sorprendentemente, le donne con titolo di studio più elevato riescono a
conciliare meglio responsabilità familiari e partecipazione al mercato del
lavoro. Dalla prospettiva delle famiglie, questi mutamenti nei
comportamenti delle donne implicano un aumento delle famiglie in cui vi è
più di un lavoratore e soprattutto in cui lavora la moglie-madre; anche se
la loro percentuale è ancora lontana dalla media europea. 

Ciò ha conseguenze non solo sulla disponibilità di reddito, ma anche sulla
disponibilità di lavoro familiare e di cura, nonché sulla domanda di
servizi e di organizzazione dei tempi di lavoro e di vita. Tra il 1993 e il
2001 le famiglie con più di un occupato sono aumentate di oltre 671 mila
unità, arrivando alla cifra di 5 milioni e 400 mila famiglie. Viceversa
sono rimaste stabili le famiglie senza nessun occupato tra le persone in
età da lavoro. 

Data la diversa distribuzione territoriale del fenomeno, mentre nel
Centro-Nord sono molto aumentate le famiglie con due occupati, senza
tuttavia provocare una polarizzazione tra famiglie con più di un occupato e
famiglie senza occupati, nel Mezzogiorno è avvenuto precisamente questo:
sono cioè aumentati entrambi i tipi di famiglie e quindi anche il livello
di disuguaglianza.

Di più, nel Mezzogiorno è anche alta la quota di famiglie (8%, il doppio
che nel Nord) in cui tutti gli occupati hanno un contratto di lavoro
atipico, laddove nelle altre regioni il lavoro atipico all'interno della
famiglia si combina molto più spesso con la presenza di lavoratori che
viceversa hanno contratti standard. 

Il forte grado di omogamia matrimoniale, unito ai mutamenti nella domanda
di lavoro, infatti, oggi più di un tempo produce una polarizzazione tra le
famiglie sulla base delle risorse dei loro diversi componenti, in
particolare della coppia: con conseguenze sugli stili di vita, il livello e
il tipo di consumi, ma anche sul destino dei figli.

A livello nazionale le famiglie con componenti in età di lavoro in cui
nessuno è occupato costituiscono il 4,6%, ma il 9,6% nel Mezzogiorno, a
fronte dell'1,6-1,9% del Nord e al 3,3% del Centro. Si tratta di dati
ancora relativamente contenuti, a motivo della prolungata permanenza dei
giovani in famiglia e alla minore incidenza, nel nostro paese, del fenomeno
della instabilità coniugale, ma in crescita.