ostacolo fiat per il governo



  
il manifesto - 21 Maggio 2002 
 
Ostacolo Fiat per il governo 
Prodi sbatte la porta in faccia alla Fiat: dall'Europa niente aiuti per
Torino Sul lavoro sommerso Maroni smentisce Tremonti: l'emersione va a
rilento E oggi il ministro del lavoro incontra i sindacati dei metalmeccanici
ANDREA COLOMBO
ROMA 
Non ci saranno aiuti europei per la Fiat. Lo ha detto Romano Prodi,
presidente della commissione europea, a Reggio Emilia. «Non credo -
dichiara - che si possano prendere misure speciali. In passato ci sono
stati tanti settori che hanno fronteggiato problemi di ridimensionamento o
trasformazione. L'automobile è uno di questi. Ci saranno tutte le misure
necessarie per fronteggiare la trasformazione, ma non per frenarla o
rallentarla». Difficile immaginare una porta sbattuta in faccia più
fragorosamente, non solo per i contenuti ma anche per la forma del
messaggio. L'ipotesi di un intervento europeo, d'altra parte, era ben poco
probabile. Diverso il discorso per quanto riguarda il governo italiano. Per
il momento, tuttavia, non è stata presa nessuna decisione. «L'orientamento
- prende tempo il ministro per la Attività produttive Antonio Marzano - è
quello di incentivare il settore delle innovazioni. Abbiamo chiesto alla
Fiat il suo progetto di ristrutturazione, e opereremo in coerenza con quello».

A muoversi sarà intanto il ministro Maroni. Oggi incontra i sindacati
metalmeccanici, giovedì sarà a Torino per fare il punto con i responsabili
della Regine, della Provincia e soprattutto con il sindaco Chiamparino.
Sull'esito della crisi Fiat, il ministro del Welfare giura di essere
ottimista. «Ha affrontato difficoltà anche più gravi - dice - e ne è sempre
uscita». L'ottimismo del ministro, nonostante le rassicurazioni d'obbligo,
scema però notevolmente quando si arriva al conto dei lavoratori a rischio.
Sulle cifre, Maroni non si sbilancia, si limita a negare che il rapporto
uno a tre ipotizzato dai sindacati (tre licenziamenti nell'indotto per
ognuno all'interno della Fiat) sia ancora valido.

Sta di fatto però che Paolo Fresco, presidente della Fiat, afferma a chiare
lettere che le cifre della Cgil sono probabilmente precise. «Non è folle -
dichiara da Hong Kong - pensare che l'impatto sia vicino ai 10mila
lavoratori».

Sta di fatto anche che lo stesso Maroni, pur minimizzando le dimensioni
della crisi, finisce poi per occuparsi solo delle strade studiate dal
governo per affrontarla. «Stiamo pensando - racconta - all'ipotesi di
applicare ammortizzatori sociali anche per i lavcoratori dell'indotto
licenziati, ma se e quali ammortizzatori utilizzare verrà deciso solo dopo
un'attenta valutazione della situazione».

Le confederazioni, da parte loro, bocciano il piano industriale della Fiat,
con i suoi 2887 esuberi. Al governo Cofferati chiede «di mettere a
disposizione strumenti per aiutare l'azienda nella costruzione di un piano
industriale» e di «darsi un orientamento di politica industriale che oggi
non ha». E' sin troppo evidente che, dopo le elezioni, la crisi Fiat
diventerà un ulteriore agomento rovente nei rapporti tra governo e
sindacati, da aggiungersi allo scontro sull'art. 18. In entrambi i casi
Berlusocni dovrà scegliere tra procedere ignorando del tutto i sindacati,
come ha fatto sinora, o cambiare strada.

Un'ipotesi, qust'ultima, molto improbabile. Maroni insiste nel mostrare
anche qui l'ottimismo d'ordinanza: «Troveremo molto presto una soluzione».
Nulla però sembra giustificare la sua fiducia. I sindacati hanno respinto
al mittente, senza neppure scomodare i propri massimi vertici, la proposta
del ministro Tremonti: alzare cioè il tetto delle aziende sottratte
all'art. 18 rispetto al limite attuale, che comprende le aziende con meno
di 15 dipendenti. Le confederazioni ribattono che la nuova soluzione si
differenzia da quella prospettata nella delega sul lavoro solo formalmente:
la sostanza resta invariata. «Quella di Tremonti - dichiarano dunque
esponenti sia della Cgil che della Cisl e Uil- non è nemmeno un'apertura».
Ma lo stralcio, richiesto anche ieri dai Ds (con Fassino) e dalla
Margherita (con Treu) nella Casa delle libertà convince solo i centristi
dell'Udc, che non hanno certo la forza per imporlo.

Ottimista a tutti i costi sulla Fiat e sull'art. 18, neppure Roberto Maroni
riesce però a reggere il gioco sull'emersione del lavoro sommerso, campagna
fondamentale per l'esecutivo sia per questioni di sostanza che d'immagine.
«Stiamo assistendo - canta vittoria il ministro dell'Economia Tremonti - a
uno straordinario fenomeno d'emersione del lavoro sommerso, dovuto agli
incentivi fiscali, ai nuovi contratti, ma anche all'attenzione del
governo». E stavolta a smentirlo è proprio Maroni: «Nessun fallimento del
governo, ma i provvedimenti, purtroppo, si sono dimostrati insufficienti. I
percorsi d'emersione non bastano, ci deve essere un grande patto nazionale
che cooinvolga tutti». L'opposizione, è ovvio, si è affrettata a
sottolineare come il ministro del Lavoro abbia candidamente tracciato un
bilancio opposto a quello del ministro dell'Economia. Ma quel che è più
preoccupante, per Berlusconi, è che l'economia e le relazioni industriali
si stiano trasformando ogni giorno di più in una palude dalla quale palazzo
Chigi teme di non riuscire più a tirarsi fuori.