l'uomo dventera' una talpa elettrica



dal messaggero di venerdi 26 aprile 2002

  

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 Venerdì 26 Aprile 2002  

Due saggi dei sociologi Zygmunt Bauman e Saskia Sassen
L’uomo diventerà una ”talpa elettrica” 
di MASSIMILIANO PANARARI 
LA globalizzazione non dà felicità. Per niente, checché ne dicano i cantori
del pensiero unico. È questo l’assunto di due importanti volumi usciti, per
una - questa sì felice - coincidenza, quasi contemporaneamente nelle
librerie, ad opera di due sociologi della globalizzazione e dell’età
postmoderna tra i più sofisticati e famosi al mondo. Entrambi, per un altro
curioso gioco del destino, cosmopoliti “cittadini acquisiti" del villaggio
globale, originari di paesi certamente non posti nel cuore di quell’Impero
che descrivono con tanta sagacia e profondità. Stiamo parlando del polacco
Zygmunt Bauman (professore emerito di Sociologia presso le Università di
Leeds e Varsavia), di cui è appena uscito il suggestivo Modernità liquida
(Laterza, 272 pagine, 15 euro) e della finlandese Saskia Sassen, docente di
Sociologia urbana a Chicago, autrice di Globalizzati e scontenti. Il
destino delle minoranze nel nuovo ordine mondiale (Il Saggiatore, 286
pagine, 14,90 euro). Quest’ultima, dividendosi tra la New York University e
la London School of Economics, è anche un prototipo della sempre più ampia
pattuglia di abitanti della “metropoli transoceanica" di Ny-Lon, l’élite
globalizzata che tiene casa e lavoro a New York e Londra. 
L’angolo visuale da cui Bauman osserva il nostro mondo investe i fondamenti
stessi della modernità che ha via via assunto un carattere “liquido", come
scrive il sociologo con metafora di notevole fascino. Un’epoca, quella
contemporanea, dunque, che ha liquefatto e parzialmente dissolto le
tradizioni e le istituzioni su cui si reggeva l’esistenza degli individui,
convertendo molte delle chiavi di lettura con le quali nel passato si
interpretava l’universo in quelle che Bauman chiama le “categorie zombie".
Tramontata la possibilità stessa del prodursi di una rivoluzione, ossia di
una emancipazione mediante la politica, l’individuo attuale vive così in
società solo in apparenza libere, ma in verità estremamente rigide,
all’interno delle quali le opzioni si sono drammaticamente ridotte proprio
per effetto della tendenza alla deregulation (dalla liberalizzazione dei
mercati finanziari allo smantellamento delle tutele del Welfare, alla
precarizzazione dei rapporti di lavoro) che costituisce il cardine
dell’ideologia neoliberista egemone. Sulla scorta di questa sociologia
critica radicale e pessimistica, il lettore viene condotto lungo un
percorso spietato ma affascinante, attraverso il sovvertimento che ha
modificato i tratti di categorie quali “emancipazione", “individualità",
“lavoro", “comunità" e, specialmente, “tempo e spazio". Una descrizione a
tinte decisamente fosche, dunque, che mette in mostra la crisi e la
dissoluzione dei legami sociali ed il rischio che l’uomo si riduca ad una
“talpa elettrica", permanentemente connessa al mondo ipertecnologico
dominato dai poteri globali, i quali disgregano le comunità e le
appartenenze per poter fluttuare e, quindi, dominare senza intralci. Un
individuo non più cittadino, ma nuovamente suddito, questa volta
all’insegna dell’illusione liquida di una libertà che, a ben guardare, si
traduce in prigionia. 
Sassen ci propone un’analisi interdisciplinare, che spazia dall’economia
politica sino alla teoria della cultura, della imprescindibilità delle
“città globali" - da New York, centro del saggio, a Tokyo, da Londra a
Francoforte - nella riorganizzazione del potere nel pianeta ormai
unificato. Facendo attenzione, più di quanto accadesse in altre sue opere,
alla condizione concreta degli uomini e delle donne, in particolare degli
immigrati (o migranti come direbbero, con una terminologia sempre più
diffusa, gli autori no global), senza le cui prestazioni lavorative
sottopagate e prive di diritti non potrebbero neppure esistere quegli
autentici laboratori della globalizzazione rappresentati dalle metropoli
occidentali. Il lettore abituale della sociologa finlandese, cui risultano
già familiari nozioni quali quelle di economia informale piuttosto che
quella di frammentazione della sovranità o il punto di vista femminista
sull’economia globale, trova così nel suo ultimo libro una critica serrata
dei meccanismi della mondializzazione. Una disamina capace di dimostrare,
dati alla mano, la crescita esponenziale delle disuguaglianze, il carattere
indotto dall’Occidente, bisognoso di manodopera a basso costo, delle
migrazioni e la funzione di garante dell’economia e della finanza
neoliberiste di uno Stato-nazione sì indebolito, ma assolutamente
funzionale alla direzione di marcia della globalizzazione. In poche parole,
due libri da non perdere. 


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