l'america in polpette



 
il manifesto - 23 Aprile 2002 
 
 
MITI USA 
L'America in polpette 
BENEDETTO VECCHI
L'industria del fast-food ha appena compiuto sessant'anni ed è diventata
un'icona degli Stati uniti. Per Eric Schlosser è però qualcosa di più che
un'icona. Ed è per questo che il titolo del suo libro da poco tradotto da
Marco Tropea si intitola La nazione fast-food (pp. 385, 16,60 euro), quasi
a legittimare l'idea che McDonald's o Burger King coincidano con l'America.
Giovane giornalista free-lance, Schlosser ha passato un nutrito numero di
anni raccogliendo documenti e interviste sull'industria del fast-food,
arrivando infine a scrivere un libro che al di là dell'Oceano è diventato
un best-seller. Va subito detto che è un volume che prende l'avvio dagli
anni Quaranta, quando i due fratelli McDonald's aprirono un piccolo
ristorante nell'assolata California con l'obiettivo di pasti veloci alla
portata di milioni di americani. Ma Eric Schlosser è convinto che parlare
di fast-food vuo dire parlare di un'«economia di agglomerazione» che parte
dall'allevamento degli animali, passa per le coltivazione di patate, si
trasforma nella macellazione e nei laboratori scientifici che producono
quelle essenze che rendono così gustosi i panini e i cartocci di patatite
fritte venduti ad ogni angolo di mondo. La nazione fast-food è un libro
indispensabile per capire come sono cambiati gli Stati uniti, i rapporti di
«complicità» tra grandi corporation e governo federale, la crescita
dell'esercito dei working poor, cioè di lavoratori e lavoratrici che hanno
salari al di sotto di quanto prevede la legge americana, la marginalità del
sindacato. E il sindacato è stata infatti una delle prime, illustri,
vittime della nascente «nazione fast-food». Serrate, uso scientifico dei
crumiri o di forza-lavoro minorile o migrante, ingenti donazioni ai
candidati al congresso in cambio di leggi a favore dell'industria del
fast-food: tutto è stato usato per ridurre all'obbedienza la forza-lavoro.
E quando a Eric Schlosser viene detto che l'associazione milanese di
lavoratori precari Chainworkers considera il suo libro come un manuale per
denunciare i comportamenti antisindacali delle grandi catene di
distribuzione o del fast-food il suo viso si allarga in un sorriso
divertito. Sorriso che sfocia in una risata quando apprende che ci sono
stati degli scioperi in alcuni McDonald's italiani. «Dovrebbero andare
negli Stati uniti e aiutare i lavoratori americani a organizzare scioperi.
Sarebbe una grande cosa». Intervistarlo è quindi come aprire una finestra
su un mondo di cui si hanno solo immaggini frammentarie, abbacinanti o
sfocate. Alla fine il panorama è funestato da nuvole nere, ma almeno si ha
una visione chiara, con le sue luci e le sue moltissime zone d'ombra.

Il suo libro più che un'analisi critica sull'industria del fast-food, è un
fosco affresco sulla storia degli Stati uniti in questi ultimi venti anni.
Quel che ne esce fuori è un panorama costellato da fast-food, highways e
povertà. Inoltre, nel paese del libero mercato impazzano grandi oligopoli,
mentre le grandi corporation dipendono dai fondi erogati in loro favore
dallo stato federale e dalla deregolamentazione del mercato del lavoro. Ma
ciò che lei sottolinea è il ruolo di traino del complesso militare
industriale.....

L'intervento dello stato nell'economia risale alla grande depressione e
alle politiche di New Deal intraprese allora dal presidente democratico
Franklin Delano Roosevelt. Da allora il governo statunitense ha sempre
aiutato le grandi corporation attraverso investimenti volti alla
costruzione di grandi infrastrutture o con politiche finanziarie in loro
favore, indipendentemente da chi sedeva alla Casa Bianca. Per quanto
riguarda il cosiddetto complesso militare-industriale, il punto di svolta
c'è stato dopo la fine della seconda guerra mondiale e con l'elezione di
«Ike» Eisenhower, il quale ha favorito le industrie legata alla difesa
nazionale. Allo stesso tempo, durante i suoi due mandati è stata portata a
compimento la costruzione di un sistema capillare di superstrade.
Ironicamente, definisco quegli anni come gli anni del «socialismo
interstatale».

Ma l'aiuto del governo americano ha riguardato anche l'industria del
fast-food. Possiamo dire che dal «socialismo interstatale» gli Usa sono
passati al «socialismo del cheeseburger»?

Siamo ancora in una fase di transizione. Siamo cioè con un piede nel
«socialismo interstatale» e l'altro nel «socialismo del cheesburger».

Nell'industria del fast-food i salari di gran parte dei lavoratori e delle
lavoratrici sono al di sotto della soglia della povertà. E' un fenomeno che
si è fermato o l'esercito dei «working poor» continua ad aumentare?

Con l'attuale amministrazione di George W. Bush continuerà ad aumentare.
Una delle storie a cui tengo di più è quella che si riferisce ai lavoratori
della macellazione. Va ricordato che negli anni Cinquanta e Sessanta,
nell'industria della macellazione erano infatti pagati alti salari, la
forza-lavoro aveva la pensione e l'assistenza sanitaria assicurata. Da
venti, trenta anni a questa parte la situazione si è pressoché ribaltata:
oggi i lavoratori di questo settore sono tra i peggio pagati, le condizioni
di lavoro possiamo definirle bestiali e gran parte della forza-lavoro non
ha nessun sistema di protezione sociale. Ho inoltre documentato che gli
orari di lavoro vanno ben oltre quello che stabilisce la legge, che il
pagamento degli straordinari è una merce rara, che i ritmi di lavoro sono
così massacranti che esiste ormai una relazione diretta tra la produttività
e gli infortuni sul lavoro. Spesso, nei macelli, che funzionano come una
catena di montaggio a ciclo continuo - la macellazione si ferma solo quelle
tre, quattro ore necessarie alla pulizia degli stabilimenti -, più si
squartano animali più la forza-lavoro si ritrova con schiene rotte, dita
tagliate, tagli profondi sul corpo. Inoltre, per disinfettare gli
stabilimenti vengono usate sostanze chimiche che bruciano i polmoni dei
«pulitori».

Nel libro racconto la vicenda di un dipendente, bianco, che comincia a
lavorare in una impresa di macellazione. Lavora sodo, non si tira mai
indietro perché ritiene che i manager sono sempre nel giusto. Fa il crumiro
durante uno sciopero, ha un incidente sul lavoro, ma dopo le prime cure al
pronto soccorso ritorna alla catena. E' indicato dalla corporation come un
«eroe del lavoro». Soffre di terribili mal di schiena, ha un altro
incidente, questa volta quando gli viene chiesto di pulire gli
stabilimenti. Ha quasi i polmoni bruciati. A questo punto la corporation lo
licenza senza troppi complimenti: alla fine scopre che all'età di
quarantanni è un «rottame» senza nessuna speranza di trovare lavoro.
L'industria della macellazione è quindi paradigmatica di ciò che è accaduto
nel business americano.

Nella «nazione del fast-food» vivono anche i «profumatori», cioè i
ricercatori che si affannano per produrre essenze che diano agli hamburger
quel sapore pieno sbandierato dalla pubblicità. Accanto a questo sforzo
della ricerca scientifica per rendere appetitoso un hamburger, c'è una
altrettanto sofisticata attenzione per indurre all'obbedienza la
forza-lavoro. Possibile che non ci sia una qualche forma di resistenza a
tutto ciò?

E' vero ciò che dice sulla ricerca scientifica e sulla ricerca
dell'obbedienza. Negli Usa le grandi corporation hanno una strategia
antisindacale che non lascia respiro. Ad esempio alla minima possibilità di
sindacalizzazione, può chiudere il fast food se è di sua proprietà. Altre
volte, quando il fast-food è in franchising può minacciare l'affittuario
disponibile ad accettare il sindacato di rompere il contratto e sloggiarlo
dai locali che rimangono sempre di proprietà della corporation. Ricordiamo,
ma questo è un fatto oramai noto, che il logo più famoso del fast-food ha
un manuale di centinaia di pagine in cui sono dettagliati tutti i
comportamenti che un front-line deve avere con il cliente. Ogni deroga
viene sanzionata nelle interminabili riunioni delle crew (gruppo di lavoro,
ma anche banda, ndr) in cui il manuale è il vangelo sbandierato dai manager
per decidere se sei in linea oppure no. Inoltre, l'organizzazione degli
orari espone all'arbitrio: puoi lavorare quattro ore un giorno, nove il
sucessivo, con i turni che cambiano continuamente e che sono comunicati
giorno per giorno. Sono fattori che rendono un inferno la tua vita e
difficile la sindacalizzazione.

La nazione del fast-food diventa tale con l'arrivo a Washington di Ronald
Reagan. Ma dopo l'inverno reaganiano c'è stato o no il disgelo clintoniano?

Durante la sua presidenza, sono sempre stato piuttosto critico nei
confronti dell'operato di Bill Clinton. Devo però riconoscere che ha
ottenuto alcuni risultati: è riuscito ad aumentare un poco il salario
minimo, ha fatto approvare dal Congresso leggi tese a un maggiore controllo
sanitario nella preparazione del cibo nei fast-food. Il terzo fattore su
cui c'è stato uno sforzo dell'amministrazione clintoniana riguarda le
condizioni di lavoro. Certo, poco rispetto a quanto sarebbe necessario, ma
dopo Reagan e Bush padre un miglioramento c'è stato.

Lei dedica pagine molto belle alla storia di un allevatore di bestiame
ecologicamente compatibile. Sembra di leggere l'epopea americana di spiriti
liberi, orgogliosamente legati alla terra e ostili allo strapotere delle
grandi compagnie. Un individualismo a tutto tondo, ma solidale con chi è
nelle stessa condizione. Eppure quel personaggio, Hank, si uccide. Il suo
suicidio vuol dire la morte dello spirito americano?

Lo spirito americano non è morto, ma è agonizzante. Questo non vuol dire
che non ci siano più allevatori come Hank. Ma il loro numero diminuisce
sempre di più e quelli che rimangono sono in forte difficoltà. Cresce il
loro indebitamento con le banche, aumenta la competitività verso le grandi
fattorie industrializzate che fanno ingrassare i loro animali in capannoni
nutrendoli con mangimi prodotti industrialmente e che riciclano carcasse di
polli, pecore, mucche. Le figure come Hank possono apparire come il passato
che non potrà mai più tornare. Ma forse il futuro del fast-food sono
proprio loro. La maggiore sensibilità ambientalista e sulla qualità
alimentare ha fatto crescere negli ultimi anni catene di fast-food che
utilizzano solo alimenti coltivati o allevati biologicamente. Inoltre, la
crescita dei movimenti sociali contro gli sweetshops che utilizzano il
lavoro nero hanno incoraggiato le azioni di boicottaggio di alcune
associazioni di consumatori nei confronti di catene che usano lavoro nero o
minorile.

Tutta l'industria del fast-food sembra ruotare attorno alla cittadina di
Colorado Spring, luogo topico della frontiera e della nazione americana.
Cowboy, mucche, intraprendenza individuale, etica del lavoro. Ora, al posto
dei cowboy c'è una base militare; le mucche sono state sostituite da decine
e decine di fast-food, mentre la retorica della comunità e del buon
vicinato trova il suo simulacro nelle sette evangeliche. Un'America
irriconoscible. Ma è irriconoscibile anche per gli americani?

Tutto quello che lei dice è vero. L'ideologia feroce del libero mercato ha
stabilito che il «risultato funzionale» delle corporation è prioritario su
tutto e su tutti. Ma le ideologie nascono, si affermano e poi declinano. E'
quello che sta accadendo negli Usa. La retorica del libero mercato ha
infatto perso molto del suo glamour. Il problema è quanto tempo occorrerrà
per cambiare la rotta. A Colorado Sping sono cresciuti movimenti che
puntano a migliorare l'assetto urbanistico della città; c'è chi punta a
ridimensionare il peso della base militare nell'economia della città. Le
sette evangeliche che annunciano la fine del mondo e la salvezza per un tot
di dollari hanno perso terreno. Rispetto a qualche anno fa la situazione è
migliorata. Lo stesso mutamento di clima c'è stato in tutti gli Usa. Per
questo, credo che Bush jr. non sarà rieletto, anche se la sua popolarità è
cresciuta dopo l'attentato dell'11 settembre.

Il clima patriottico è un potente collante di questa amministrazione, ma
sono convinto che i problemi reali ritorneranno al centro della scena
politica. Prendiamo ad esempio lo scandalo che ha coinvolto la compagnia
Enron. La denuncia dell'operato di questa grande corporation che doveva
fornire l'energia ha incontrato il consenso popolare. L'11 settembre è
stato un atto che ha gettato gli Stati uniti in una profondo stato di
inquietudine. Ma questo non significa che ha cancellato le critiche nei
confronti dell'amministrazione Bush, considerata da molti il padrino
politico della Enron. Anche se non ci sono grandi manifestazioni di
protesta, lo smottamento dell'opinione pubblica non si è fermato, neanche
con la guerra in Afghanistan. Siamo quindi nel pieno di una transizione,
anche se non sappiamo quanto durerà.

Ha annunciato che sta scrivendo un libro sulle prigioni. Stiamo passando
dalla «nazione fast-food» alla «nazione carceraria»?

Gli Stati uniti hanno una popolazione carceraria che ammonta a più di due
milioni di persone. Negli ultimi due decenni, le diverse amministrazioni
che si sono succedute alla Casa Bianca hanno destinato investimenti alla
costruzione di nuove prigioni che hanno eguagliato e in alcuni periodi
superato l'ammontare dei dollari destinati al Pentagono per la difesa
nazionale. Ma anche in questo caso il peggio è passato.